venerdì 8 agosto 2008

Zeno, la sua coscienza e la mia



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Dopo pranzato, sdraiato comodamente su una poltrona Club, ho la matita e un pezzo di carta in mano. La mia fronte è spianata perché dalla mia mente eliminai ogni sforzo. Il mio pensiero mi appare isolato da me. Io lo vedo. S’alza, si abbassa… ma è la sua sola attività. Per ricordargli ch’esso è pensiero e che sarebbe suo compito manifestarsi, afferro la matita. Ecco che la fronte si corruga perché ogni parola e composta di tante lettere e il presente imperioso risorge ed offusca il passato.
Italo Svevo – La coscienza di Zeno.

Un viaggio nell’oscurità della psiche, riflesso delle zone d’ombra della società borghese del primissimo Novecento. L’immagine della Belle epoque è simile a quella di Dorian Grey, sotto la facciata dorata senza macchia si nasconde il mostro e la perdizione.
L’unico merito di Zeno Cosini è proprio quello di avere avuto il coraggio di guardare oltre la superficie per tuffarsi nell’oscurità della mente, nell’essenza dell’uomo borghese senza qualità.
L’inettitudine diventa un valore, la rinuncia al dovere decisionale diventa l’unico modo per sopravvivere nel nuovo mondo, dove gli eroi si sono definitivamente estinti, un passepartout per la serenità. E’ qui che si dimostra che la serenità ottenuta grazie all’assenza di sofferenza non è vera serenità. Le lotte e le passioni fanno apprezzare meglio la vita proprio come lo stato di malattia porta l’uomo ad apprezzare la salute. Zeno potrebbe essere felice, ha tutto per esserlo, un lavoro, una famiglia, tranquillità… eppure non è felice perché la sua situazione non è frutto di una volontà attiva ma di mera casualità.
Fu Italo Svevo a far conoscere la psicanalisi di Freud all’Italia, fu lui il primo a capire che poteva essere materia utile per l’opera letteraria, e altrettanto inutile nella vita reale.
Tante volte questo libro mi è tornato alla mente come monito. Il vantaggio di averlo letto in età adolescenziale ha fatto sì che potessi correggere in corsa la mia vita. La figura di questo personaggio che non si staglia dal paesaggio circostante me che ne è tutt’uno, un ombra grigia tra le ombre grigie, mi ha talmente infastidita che giurai a me stessa che non avrei fatto la sua stessa fine, non sarei stata un’ombra e soprattutto AVREI DECISO.
Decidere è uno stato mentale, o ci appartiene o non ci appartiene, o si decide o non si decide, davvero qui non ci sono scale di grigi ma solo bianco e nero.
E’ facile lasciarsi portare dalla corrente:
Ho vent’un anni, studio, quindi mi sposo poi.
Ho ventisei anni, sono sposata da cinque, quindi faccio un figlio
Che palle!
Decido che a vent’un anni, con gli studi ancora da concludere voglio iniziare a trascorrere la mia vita con un’altra persona. Allora me la sposo, basta, niente pugnette mentali: lo voglio, lo faccio.
Decido che sono troppo giovane e troppo egoista per avere un figlio e non lo faccio. Prima voglio vedere con gli altri e poi ci penso… mi viene da ridere perché mi ricordo la battuta che faceva il mio professore delle superiori: “Armiamoci… e partite”. Come con la tecnologia: che siano computer o ogm, prima vediamo se funziona poi, una volta raccolti dati a sufficienza e analizzati i risultati, posso scegliere. Non fa certamente per me imboccare una strada solo perché è la più affollata o la più in discesa… preferisco viaggiare con la cartina (non con il navigatore perché non mi fido).

Foto: Strada tracciata tra i campi a Bellocchi

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