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venerdì 9 agosto 2019

Lezioni Americane - architettura in letteratura


Un'opera di letteratura è come un castello di carta che per reggersi ha bisogno di una combinazione di elementi tra i quali la leggerezza, la rapidità, l'esattezza, la visibilità e la molteplicità.
Fondamentale è anche e soprattutto iniziare e finire bene.

Lezioni americane l'ho recepito come un manifesto non solo della scrittura del Calvino narrativo ma anche del Calvino maestro, c'è una lezione sottotraccia che non viene discussa ma corre lungo tutte le sue lezioni: la semplicità.

1) Leggerezza: per descrivere la pesantezza del mondo c'è bisogno di scostarcene e reagire, innalzarsi con un balzo e narrare con distacco. Tra gli esempi citati da Calvino più di tutti ho apprezzato la sua lettura dell'amore in Romeo e Giulietta di Shakespeare che contrappone il fardello sotto cui si trova il cuore di Romeo alle ali ai piedi di Mercuzio che gli permettono di volare. 

2) Rapidità: prendendo spunto dalle narrazioni popolari Calvino si sofferma sulla velocità data dalla selezione delle parti del racconto, dalla concatenazione logica degli eventi tra di loro, e dalle transizioni da un episodio all'altro che fungono da collante della struttura. Un esempio estremo di velocità nella narrazione è Le mille e una notte in cui Sherazade riesce a catturare l'attenzione del re incatenando una storia all'altra e interrompendosi al momento giusto.

3) Esattezza: significa un disegno dell'opera ben calcolato e l'evocazione di immagini visuali nitide con un linguaggio che sia il più preciso possibile in cui nessuna parola o espressione possa essere considerata sostituibile. L'immagine che racchiude in sé queste caratteristiche è quella del cristallo: estremamente complesso eppure lo si può tenere in una mano e ammirarne la complessità. Calvino sottolinea come, nel XX secolo, in un'epoca in cui il linguaggio perde progressivamente la sua forza conoscitiva, ci sia estrema necessità di utilizzare parole precise e insostituibili.

4) Visibilità: l'essenza visiva della letteratura. Per Calvino ogni narrazione inizia con una visione ed è questa visione che si deve trasmettere al lettore attraverso la scrittura. Calvino fa riferimento soprattutto a San Tommaso d'Aquino, a Loyola, a come il primo teorizzasse una visione proveniente da Dio e il secondo invitasse, nei suoi Esercizi spirituali, alla contemplazione di Dio come visibile. L'autore, nel capitolo, si interroga su cosa possa accadere all'immaginazione in un mondo in cui le immagini ci bombardano quotidianamente. 

5) Molteplicità: ambizione di un'opera dovrebbe essere quella di contenere in sé stessa l'intera realtà conosciuta, se la letteratura non si ponesse obiettivi inarrivabili non potrebbe sopravvivere. Il problema potrebbe insorgere nel momento in cui non si riuscisse a contenere la materia all'interno dei confini del testo, per questo è indispensabile progettare l'opera letteraria sin dall'inizio. Come fece Proust: la sua Recherche  nacque tutta insieme, inizio e conclusione, per poi espandersi dall'interno.

6) Cominciare e finire: questa lezione avrebbe dovuto aprire il ciclo di conferenze ma venne poi scartata per confluire nella sesta lezione che rimase incompiuta. Iniziare uno scritto significa per prima cosa distaccarsi dalle innumerevoli possibilità letterarie, stabilire i confini e la posizione in cui si dovrà collocare l'opera. 

In questo testo Calvino ha spiegato con una semplicità disarmante i meccanismi che fanno di un romanzo (o un racconto) un'opera d'arte, un classico: l'ispirazione è quasi secondaria, c'è attesa, dedizione, minuzia, cesello, ampliamento. 
C'è coerenza, c'è tensione verso un punto ben preciso che mai deve essere dimenticato.
C'è un che di matematico in questa opera, una scienza della letteratura. 
Fare di ogni parola una parola insostituibile, di ogni evento una necessità.

sabato 2 dicembre 2017

Storia dei Longobardi - Jorg Jarnut

Corona_ferrea,_monza Da: G. Pischel, ''Storia Universale dell'Arte'', Vol. 1, Mondadori, Verona 1966

Iniziato con questo libro l'intrippamento storico medievale 2017 che vede un programma di lettura abbastanza tosto ma fattibile per comprendere meglio l'evoluzione della letteratura romanza dal 1100 circa fino all'apoteosi rinascimentale che si concluderà con lo studio dell'Orlando Furioso con le sue "dame, i cavallier, l'arme, gli amori".
Perché fare questo? Sfida personale, percorso di lettura studiato per non annoiarmi, perché ne avevo voglia. La lista delle opere nel programma di lettura si trova qui ed è in costante aggiornamento.

Da dove cominciare però?

Quale poteva essere considerato il punto di rottura tra la storia classica mediterranea e quella moderna europea?

Lo spunto mi venne dalla notizia dell'inaugurazione, a Pavia, di una mostra sui Longobardi. Sapevo pochissimo di questo popolo, reminiscenze di studi superficiali, così approfondii un poco e mi decisi a iniziare da qui il cammino, proprio da un popolo che in realtà non lasciò tracce scritte, non produsse letteratura se non in latino, ma che impresse una svolta drastica alla storia d'Italia: a partire dall'arrivo dei Longobardi nella nostra penisola il lunedì di Pasqua del 568 d.C. e per i due secoli che li videro protagonisti nel nostro Paese i cambiamenti etnici, sociali ed economici furono così importanti che a mio giudizio si può far risalire a questo popolo l'inizio del Medioevo italiano.

Due sono le caratteristiche principali degne di nota:

  • Dopo un periodo di migrazione che affonda le sue radici nel mito per cause e scopi i Longobardi si stanziano in Italia e si tratta di una migrazione totale di guerrieri, famiglie, schiavi e bestiame che si fanno strada dal Nord Europa "riempiendo" i vuoti lasciati da altri popoli fino a giungere in Italia devastata dalla Guerra Gotica per stanziarvicisi definitivamente. Si può infatti dire che lo Stato longobardo nasca e muoia in Italia in due secoli, dal 568 al 774 d.C.
  • Continuamente, a seguito di spostamenti e battaglie, venivano arruolati schiavi che combattendo acquistavano la libertà per sé e per la propria discendenza così da caratterizzare il popolo longobardo di un profondo multiculturalismo che ne è stato al contempo forza motrice e rovina. 

Il saggio si dipana agilmente in 137 pagine, estremamente maneggevole dunque e di scorrevole lettura, la fonte principale è naturalmente la Historia Longobardorum di Paolo Diacono, epurata dalle infinite seppur preziosissime digressioni di cui è costituito che dilatano parecchio la narrazione. Altre fonti rilevanti sono il Libri Historiarum di Gregorio di Tours soprattutto per la parte relativa alle migrazioni e agli incontri/scontri con le altre popolazioni in Europa, il De Bello Gothico di Procopio di Cesarea riguardo i primi anni di insediamento in Italia) e il Liber Pontificalis, citato in modo assai ricorrente a partire dal regno di Liutprando a testimonianza di come e quanto la storia dei Longobardi si sia legata a quella della nascita dello Stato della Chiesa.


Si può dire infatti che proprio la presenza dei Longobardi in Italia, relegati i Bizantini a scarsissima influenza, sia stata di fondamentale importanza per l'autonomia di Roma e del Papa che sempre più divenne autorità riconosciuta in Europa al di sopra degli stessi sovrani, garante degli equilibri tra stati nonché potenza creatrice di re d'Europa o, nel caso dei Longobardi, distruttrice di re.

La storia dei Longobardi è un susseguirsi di colpi di scena e cambi di alleanze che hanno come scopo il mantenimento dell'unità del regno longobardo da una parte e la realizzazione di autonomie delle sue provincie dall'altra in un periodo storico in cui l'influenza di Bisanzio in Europa sta velocemente scemando, grazie soprattutto ai Longobardi che ne conquistano i territori, e due future potenze stanno nascendo:

  • la Repubblica Cristiana, così Gregorio Magno chiama il futuro stato della Chiesa in una lettera a Teodolinda moglie di Autari e Agiulfo
  • il regno dei Franchi di Carlo Magno

Sarà proprio Carlo Magno, chiamato da Papa Adriano I a porre fine al Regno dei Longobardi assumendo da allora il titolo di Rex Francorum et Langobardorum.


Ritornando alla descrizione del saggio di Jarnut, l'autore ha redatto un'opera davvero completa mettendo a confronto diverse fonti: quella longobarda per eccellenza di Paolo Diacono dalla quale prende le maggiori informazioni nonché la struttura dell'opera, quella papale e fonti franche, soppesa attentamente gli scritti degli uni e degli altri cercando e trovando un equilibrio sufficientemente realistico.
Come la Historia Langobardorum di Paolo Diacono si struttura in sei capitoli arrivando fino alla conquista di Carlo Magno che Diacono però non racconta poiché la sua narrazione si ferma all'apoteosi del regno longobardo con Liutprando. In ognuno dei sei capitoli, dopo una narrazione scorrevole delle vicende storiche, vengono analizzati aspetti importanti della cultura Longobarda e la sua evoluzione: il passaggio da popolazione di guerrieri in marcia a regno strutturato, da insieme di popoli con religioni diverse a stato cattolico, dalla tradizione prevalentemente orale dei miti delle origini e delle leggi all'elaborazione di un codice di leggi e di almeno due opere storiche sul popolo dei longobardi: quella di Paolo Diacono e la Historiola de Langobardorum Gestis di Secondo di Non, consigliere spirituale e politico della regina Teodolinda, che rappresenta la fonte primaria dello stesso Diacono fino alla storia de secolo VII e poi ancora analisi della progressiva romanicizzazione dei Longobardi.

Per approfondire il parallelo tra Diacono e Jarnut può essere utile questo specchietto, soprattutto per comprendere la differente importanza data dai due autori ai diversi capitoli della storia dei Longobardi.


Decisamente un testo ben fatto.
Cosa manca per essere perfetto? 
- Una lista dei sovrani longobardi (che però si può ritrovare su Wikipedia qui): ci sono momenti in cui si inizia a far fatica nel ricostruire i legami di parentela, soprattutto nella seconda metà del VII secolo.
In fondo al testo una follia: il tentativo di ricostruire la lista dei sovrani con relative figlianze e matrimoni da Ibor e Aio a Desiderio 😱😱😱. Alla fine viene riportato tra i figli di Desiderio anche Ermengarda, data in sposa a Carlo Magno e da lui ripudiata in seguito al cambio delle alleanze. Il nome Ermengarda è quello che ha consegnato alla storia il Manzoni, altri la citano come Desideria, in realtà quel matrimonio fu cancellato dalla storia e così il nome della donna.
- Un indice dei nomi che renda immediata la ricerca
- Una cartina che riassuma il tragitto del popolo longobardo dalla Scania all'Italia.






domenica 21 maggio 2017

Elogio dell'Imperfezione - La Quest per il NGF


Se non fosse un'autobiografia potrebbe benissimo essere un romanzo d'avventura, una Quest, una Cherche, la Ricerca del Sacro Graal della neuroembriologia, Il NGF, il fattore di crescita nervoso, una proteina studiata ancora oggi per trovare la cura ad alcune delle più gravi malattie che colpiscono il sistema nervoso, come la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), la malattia di Alzheimer e i tumori.
Tutto ebbe inizio al capezzale della sua tata, Giovanna, che prestava servizio in casa come governante. Rita aveva appena terminato il liceo femminile che a quell'epoca non dava accesso all'università, per tentare l'esame di ammissione alla facoltà di medicina doveva mettersi in pari nelle materie che al liceo femminile erano trascurate: latino, greco e matematica, dopo otto mesi trascorsi sui libri grazie a insegnanti privati nell'autunno del 1930 superò l'esame e fu ammessa all'università, all'epoca le ragazze del primo e secondo anno erano sette, tra loro Rita Levi -Montalcini e sua cucina Eugenia, tra le matricole come lei spiccava un sedicenne che primeggiava su tutti in materie come biologia, fisica e chimica, era Renato Dulbecco, Nobel per la medicina nel 1975.
Al secondo anno di medicina l'incontro con il mentore di tutta la sua vita, Giuseppe Levi, anche lui ebreo, si rincorsero, raggiunsero separarono e riavvicinarono per tutta la vita, fu lui ad assegnarle come primo compito il conteggio e l'analisi delle cellule nervose, attività che la scienziata portò avanti per tutta la vita.
Nel 1936 la laurea in medicina poi, con la promulgazione dell leggi razziali prese la decisione di trasferirsi in Belgio, dove già si era trasferito il professor Levi, all'avvento dell'occupazione nazista fece ritorno a Torino ma non potendo fare ricerca né esercitare la professione medica si costruì un laboratorio in casa a Torino e il professore si unì a lei e alle sue ricerche sugli embrioni di pollo.
Una strana coppia che di fronte all'orrore e all'ingiustizia imperanti tutt'attorno reagiva tuffandosi nella ricerca scientifica per trovare uno scopo al loro attaccamento alla vita.

"A distanza di tanti anni mi sono molte volte domandata come potessimo dedicarci con tanto entusiasmo all’analisi di questo piccolo problema di neuroembriologia, mentre le armate tedesche dilagavano in quasi tutta l’Europa disseminando la distruzione e la morte e minacciando la sopravvivenza stessa della civiltà occidentale. La risposta è nella disperata e in parte inconscia volontà di ignorare quel che accade, quando la piena consapevolezza ci priverebbe della possibilità di continuare a vivere."

Un simile distacco emotivo traspare dalle parole scelte in due punti importanti della narrazione: quando descrive per la prima volta la gemella Paola e quando narra della malattia e morte di suo padre. Nel descrivere la sorella utilizza termini impersonali "Questa era soltanto una delle differenze, palesi sin dai primi anni di vita tra noi. Le altre non meno significative, che rivelavano a prima vista la nostra gemellanza biovulare, trasparivano dall'aspetto fisico, dal carattere e dal comportamento". L'utilizzo del termine tecnico di "gemellanza biovulare", suona pesante e sgraziato, troppo lontano dalla percezione di come dovrebbe essere descritta una sorella, a maggior ragione gemella. 
Nella seconda occasione scrive "Alla fine di maggio papà soffrì per la prima volta di fenomeni circolatori cerebrali di brevissima durata" e poi "Il 30 luglio sopravvenne durante la notte una grave crisi anginosa... si aggiunse un dolore acuto all'emitorace destro". La Levi-Montalcini sta descrivendo la morte di suo padre e sembra invece che scriva di un paziente qualunque, come se con questo linguaggio impersonale si costruisca una barriera tra sé e la sua emotività, impedendosi di rievocare, a tanti anni dall'accaduto, emozioni che la turberebbero così come durante la seconda guerra mondiale si rifugiava davanti al suo microscopio per sfuggire alla barbarie. Gigi Magri la descrisse come "una specie di seppia pronta a schizzare inchiostro contro chi ti avvicinava", questa repulsione verso il contatto sia fisico sia emotivo potrebbe essere tra i motivi che consentirono all'amicizia/collaborazione con Giuseppe Levi di protrarsi così a lungo, fino agli ultimi anni di vita di lui che la vide sempre come una studiosa mettendo le sue capacità in primo piano rispetto alla persona.

Il libro scorre con una velocità straordinaria, scorrendo le pagine mi torna in mente Frodo e la Compagnia dell'Anello mentre affrontano mille ostacoli per portare a termine la sua missione: le leggi razziali, la guerra, la fuga a Firenze, l'attività di falsaria di documenti, la parentesi nella Croce Rossa e poi, finalmente, gli Stati Uniti dove potersi dedicare totalmente alla sua Quest senza più ostacoli. Etnia, sesso, ceto... nulla più contava, solo l'impegno, la dedizione, l'intuito.
E la squadra.
Nella Cherche classica l'eroe è soprattutto solo. Solo era Ulisse, soli erano Orlando, Perceval e Galahad. Con Tolkien la missione diventa di squadra, di Compagnia. Rita Levi-Montalcini ebbe notevoli compagni d'avventura: Giuseppe Levi, Renato Dulbecco, Viktor Hamburger, Herta Meyer e a ognuno di loro rende omaggio nella sua autobiografia sottolineando come i risultati ottenuti dalla ricerca siano possibili solo con la collaborazione, con lo scambio continuo di informazioni, idee, materiali. Se Herta Meyer non avesse messo a disposizione di Rita la sua unità di colture in vitro a Rio de Janeiro i successi della ricerca sarebbero stati molto più lenti.
Lo ammetto, a distanza di più di dieci anni mi brucia ancora. Mentre preparavo la mia tesi di laurea avevo raccolto materiale in mezza dozzina di biblioteche del Nord d'Italia, ero riuscita a ottenere microfilm di manoscritti trecenteschi e quattrocenteschi da Londra, Parigi, Madrid e New York. Ma una stronza di professoressa torinese mi negò il microfilm e altro materiale in suo possesso. Materiale pubblico pagato con le tasse di cui si era appropriata e che custodiva gelosamente nel suo studio. A distanza di più di dieci anni penso ancora a quel rifiuto che altro non è se non lo specchio dell'egoismo e dell'individualismo che dilaga in certe facoltà italiane. Parentesi personale chiusa.

A tratti fiaba, a tratti avventura, in ogni capitolo della prima metà dell'autobiografia si insinua la rivolta discreta e silenziosa. E tutto ha origine nelle parole di suo padre, uomo vittoriano in tutto quel che riguardava il lavoro e le relazioni familiari, manifesta atteggiamenti anarchici quando si tratta  di religione:
"Voi siete liberi pensatori. Quando avrete compiuto ventun anni deciderete se continuare così o se invece aderire alla fede ebraica o cattolica. Ma non ti preoccupare, se te lo chiedono, devi rispondere che sei una libera pensatrice"Così feci da allora, suscitando grande perplessità in chi mi rivolgeva la domanda, che non aveva mai sentito parlare di questo tipo di religione... Così eravamo diventati, prima ancora di imparare a leggere, scrivere e tanto meno pensare, "liberi pensatori", una situazione che rendeva ancora più acuto il senso di isolamento che nostro padre con questo compromesso sperava di evitarci.
Con una premessa simile e un'indole non propensa alla maternità o alla vita familiare queste parole si manifestano, contrariamente alle stesse intenzioni del padre, come un lasciapassare per decisioni future prese in autonomia, sfuggendo agli stereotipi dell'educazione vittoriana impartitale che, come scriveva Ruskin nel suo libro Sesame and Lilies "deve essere diretta non allo sviluppo della donna ma alla rinunzia di se stessa. Mentre l'uomo deve sforzarsi di approfondire le sue conoscenze in tutte le branche dello scibile, la donna si limiti a concetti generali della letteratura, arte, musica o natura. Questo le servirà a rendersi conto dell'immensa piccolezza del suo orizzonte e della sua nullità di fronte al Creatore".
Le parole del padre devono aver continuato ad affacciarsi alla sua mente se a distanza di tanti anni, tra le poche pagine dedicate al padre scomparso quando era ragazzina, c'è proprio questa esortazione, ripetuta due volte a poche pagine di distanza. Probabilmente lui aveva maturato questo concetto riferendolo esclusivamente alla religione perché era uomo e dunque aveva già tutta la libertà di pensare e manifestare il suo pensiero e la sua natura senza restrizione alcuna. Ma le stesse parole, liberate dal contesto religioso e applicate a ogni campo della vita, devono per forza aver avuto per la giovanissima Rita l'aspetto di un faro nella nebbia dei suoi anni di formazione. A volte semplici frasi ascoltate distrattamente in gioventù riescono a segnare lo svolgersi di una vita. Ripenso al libro di Michael Ende La Storia Infinita e alla scritta sul retro dell'Auryn, l'amuleto in grado di proteggere chi lo indossa, "Fa' ciò che vuoi" inteso come "Compi la tua vera volontà", una frase che silenziosamente mi ha accompagnata per tutta la vita senza che me ne accorgessi e che ha discretamente segnato il mio cammino. Ma non coscientemente bensì in modo latente come un istinto primordiale cui non si riesce a dare spiegazione ma si accetta e si contiene finché un giorno, per caso, mi tornò alla mente e mi tornò alla mente il libro da cui era tratta e ogni giorno ringrazio il suo autore per avermi indicato la via. "Fa' ciò che vuoi" è l'amuleto che mi protesse sempre e che mi protegge ancora, soprattutto dai cattivi pensieri :)

Nel terzo capitolo della parte quarta della sua autobiografia "Il miracolo del demone di Maxwell" viene narrato il suo rientro in Italia e l'inevitabile confronto con il contesto universitario e di ricerca statunitense, la carenza di fondi, la mancanza di considerazione, il servilismo dei sottoposti e l'anarchia di ricercatori e tecnici, così distante dal clima di collaborazione e gruppo che consentì alla loro attività di mantenersi a un livello molto superiore rispetto a quello dei colleghi. Di nuovo il gruppo, la Compagnia che per sei mesi dirigeva lei e sei mesi il collega Pietro Angeletti conosciuto alla Washington University con il quale si alternava anche oltre oceano. La sua fama e la fama del NGF attirarono laureandi e neolaureati che con spirito di volontariato contribuirono alla ricerca, senza paga se non la speranza di poter trascorrere un semestre con la ricercatrice oltre oceano, Mecca della ricerca scientifica.

In chiusura lascio le parole che Rita Levi-Montalcini dedica alla cerimonia del Premio Nobel che la vide protagonista. Parole dolci, fiabesche quasi, cariche di poesia, nelle quali si manifesta tutta la devozione e il rispetto per l'oggetto della ricerca cui ha dedicato la vita.

"Nella vigilia del Natale 1986, il NGF apparve di nuovo in pubblico sotto la luce dei riflettori, nel fulgore di un salone addobbato a festa alla presenza dei reali di Svezia, dei principi, di dame in festosi abiti di gala e gentiluomini in tuxedo. Avvolto in un mantello nero, il NGF s'inchinò al re e per un attimo abbassò la visiera che gli copriva il viso. Ci riconoscemmo nella frazione di pochi secondi, quando vidi che mi cercava tra la folla che lo applaudiva. Rialzò la visiera, e scomparve così come era apparso. Ritornò alla vita errabonda nelle foreste popolate dagli spiriti che di notte vagano sui laghi gelati del Nord dove ho trascorso tante ore solitarie della mia prima giovinezza? Ci rivedremo ancora, o in quell'attimo è stato esaudito il mio desiderio di tanti anni di incontrarlo e se ne perderanno definitivamente le tracce?"

La citazione dei laghi gelati del Nord è un ritorno alla sua infanzia e alla sua famiglia, un ricordo della sorella Anna, Nina, che voleva diventare una scrittrice come la sua beneamina Selma Lagerlöf, autrice di La saga di Gösta Berling di ambientazione scandinava che le sorelle Levi-Montalcini leggevano e rileggevano.

L'autobiografia si apre e si chiude in Scandinavia. Si apre con i sogni di bambina e si chiude con il successo di una grande donna di scienza.

martedì 18 aprile 2017

L'Amica - Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento


Che libro meraviglioso!
Che donna meravigliosa!
Daniela Pizzagalli ricostruisce a partire dalle lettere private della contessa Clara Maffei il risorgimento milanese, quello straordinario crogiuolo di politica e letteratura che accese per due decadi i cuori di Milano.
Ne "La vita letteraria", scritto del romanziere Roberto Sacchetti in occasione dell'Esposizione Universale di Milano del 1881 la Contessa Maffei viene così descritta:

"Nel celebre crocchio delle contessa Maffei, tutte le arti hanno ormai delle tradizioni, perché da quasi mezzo secolo quei due salottini […] hanno ospitato tutte le notorietà italiane e tutti gli stranieri distinti che sono venuti a Milano"
"Uomini diversissimi per animo, intelletto, occupazioni, diversi nel terreno dell'arte, della scienza, delle convinzioni, degli interessi, s'incontrano in casa della contessa e diventano garbati fra loro, quasi cordiali. Molti non si parlano mai altrive che fra quelle pareti; fuori di là non si conoscono più."

Di lei Honoré de Balzac dice
"Parlava il francese con la grazia e l'eleganza di una parigina, col fuoco e la vivacità di un'italiana. Aveva familiarità con la nostra letteratura (...) Fatta per brillare in pubblico, per produrre effetto nei salotti più brillanti (...) Avrei dato dieci anni della mia vita per essere amato da lei per tre mesi."

Milano stava per esplodere. Nei caffè, nei teatri, nei salotti si incontravano e scontravano i più illustri rappresentanti della vita politica e artistica dell'epoca, nasceva l'editoria come la conosciamo oggi e ognuno apportava il proprio contributo alla causa italiana. C'erano salotti monarchici, altri repubblicani, salotti letterari o musicali ma quello della contessa Maffei non aveva pari per accogliere ogni tradizione e ogni novità con lo stesso delizioso garbo.
Grossi, Hayez, Liszt, Balzac, Manzoni, Verdi e poi Carcano, D'Azeglio, Cattaneo... una sola condizione veniva rispettata nella selezione degli ospiti del suo salotto: erano tutti rigorosamente antiaustriaci.

Quando ebbero inizio le cinque giornate di Milano il 18 marzo 1848 il salotto di Clara era il centro dell'attività letteraria e politica della città, il fervore della Maffei è reale e la speranza di libertà incendia gli animi delle signore milanesi che visitano gli ospedali, organizzano raccolte fondi, fabbricano bende con la biancheria di casa. 
Tutta la prima metà del libro è un ribollire di patriottismo e di speranza, prima mazziniana, poi sabauda, il fermento di quegli anni è tangibile nelle pagine e coinvolgente, sottolineato dai successi di Giuselle Verdi che le fu amico a distanza, anche lui catturato dalla sua irresistibile benevolenza.

La seconda parte del libro è più posata, conquistata l'unità d'Italia il fervore degli anni passati si affievolisce, irrompe la difficoltà della politica del nuovo regno dalle lettere dei suoi amici a Roma, le serate si fanno meno intense ma tutta Milano ancora riconosce alla contessa un ruolo dominante nella vita culturale del paese tanto che fu tra i pochi ad assistere il Manzoni nelle sue ultime ore.

Una donna esemplare, si separa giovane dal marito col quale non ha affinità e intraprende una dolce relazione con Carlo Tenca, letterato, giornalista e patriota italiano, ma nonostante questo mai si osò biasimare la sua condotta morale per questo. Discreta, colta, gentile, civetta quanto bastava per attirare l'attenzione degli uomini ma non abbastanza per suscitare biasimo nelle donne, mise a disposizione dell'Italia casa sua e lì l'Italia vi nacque tra musica, poesie e giornali. Come disse Tullo Massarani al funerale della contessa

"La Contessa Clara Carrara Spinelli Maffei ha in tutto il corso della sua rimpianta esistenza mostrato, senza quasi addarsene e certamente senza ostentarlo, come una donna, pur serbando il profumo di un fragile e raro fiore di serra, possa essere una forza, un impulso, un valore vero e vivo nelle grandi evoluzioni della storia"


IN QUESTA CASA
DIMORO' TRENTASEI ANNI E MORI' IL 15 LUGLIO 1886
LA CONTESSA CLARA MAFFEI
IL CUI SALOTTO, ABITUALE RITROVO DI INSIGNI PERSONALITA'
DELL'ARTE, DELLA LETTERATURA E DELLA MUSICA
FU PURE, TRA IL 1850 ED IL 1859
CENACOLO DI ARDENTI PATRIOTI TENACI ASSERTORI
DELLA INDIPENDENZA E DELLA UNITA' D'ITALIA

domenica 16 aprile 2017

L'Idea di Medioevo - NON LEGGERLO!


7,23€ spesi per... niente!



Un libro superfluo, utile solo a rimpinguare le casse della casa editrice Donzelli, i 7,23€ peggio spesi in libri della mia vita e una giornata di lettura che è servita solo a procurarmi gastrite.

In realtà la colpa è mia. In quarta di copertina è precisato chiaramente che lo scritto è stato concepito e pubblicato come introduzione al Manuale Donzelli di Storia Medievale ma le promesse erano di capire quale fosse il senso del Medioevo, il suo retaggio, il motivo per cui è importante studiarlo e insegnarlo... bene, queste risposte probabilmente si trovano in un altro libro. Non in questo.

Totale assenza di note
Totale assenza di spiegazioni
I fatti storici vengono citati come patrimonio comune assodato e si deve fare continuo ricorso ad altri testi (benedetta Wikipedia! Quando leggi fuori di casa ringrazi in ogni momento per la sua esistenza) perché si dà per scontato che il lettore sia già al corrente di tutto ma... se il lettore è già un medievista incallito di sicuro non ha bisogno di queste settanta pagine per ampliare le sue conoscenze. Inoltre per più di metà libro l'autore più che inseguire l'idea di Medioevo ci parla delle fondamenta medievali del concetto di Europa e di Europei: Carlo Magno, le Crociate, la cristianità... ma allora cambiategli il titolo e chiamatelo L'Idea di Europa!
Insomma, poche idee e ben confuse, settanta pagine che così, slegate dall'opera principale, non hanno senso di esistere. Per la maggior parte delle pagine viene descritto ciò che il Medioevo NON è e la fantomatica Idea di Medioevo proprio non si delinea.

Alcuni passi sono piacevolmente interessanti ma il testo rimane sfuggente: non solo non approfondisce, non ci si può aspettare questo da un libretto così minuto, ma nemmeno accenna eventi storici che meriterebbero almeno un paragrafo.

Cosa salvo?
- Capitolo terzo: Formazione e sviluppo di un concetto storiografico. L'altalenante concezione negativa, poi positiva, poi di nuovo negativa del periodo medievale nei secoli successivi.
- Capitolo quarto: Secoli non solo germanici né solo romani. Il differente approccio delle popolazioni germaniche a contatto con la latinità ovvero perché i Goti fallirono e i Franchi ebbero successo.
- Capitolo sesto: Il medioevo come infanzia di Europa. il concetto di Europa e di Auropei accomunati soprattutto dalla fede cristiana, un'unione culturale, non politica e non geografica.
- Capitolo ottavo: Il medioevo cristiano. L'accentramento della Chiesa avviene nel IX secolo e  nel XII si pone come potere complementare a quello imperiale rafforzando la sua unità e osteggiando gli indipendentismi religiosi con il denaro con conseguente declino di abbazie come Cluny.
- Capitolo nono: Il medioevo comunale. Interessante soprattutto per quanto riguarda l'Italia, la nascita dei comuni e la loro autonomia garantita da Federico I barbarossa a seguito della pace di Costanza con la Lega Lombarda. la figura del Podestà come professionista e lo spostamento del potere dalla nobiltà alla borghesia di mercanti e banchieri.

In soldoni.
Racchiudere mille anni di storia europea sotto il comune cappello di Medioevo è un'assurdità (grazie... fin lì ci arrivavamo pure noi)
La valutazione negativa del Medioevo avviene principalmente in due epoche per due motivi:
  • Umanesimo 1400-1500: la riscoperta dell'Età Classica è così sorprendente (caduta di Costantinopoli 1453 e conseguente migrazione di studiosi e testi in Europa) che quanto avvenuto nei secoli precedenti viene visto come barbarie, imbruttimento, decadenza e oscurità; nel guardarsi indietro l'uomo del Quattrocento vedeva solo gli ultimi secoli, quelli successivi alla crisi del Trecento, le pestilenza, le carestie
  • Illuminismo 1700: il medioevo viene visto come l'origine del feudalesimo come prevaricazione e disuguaglianza, il sistema che sarà poi abbattuto dalla Rivoluzione Francese, tralasciando l'aspetto principale della società feudale ovvero la reazione alla decadenza del potere centrale romano e la nascita di nuove signorie che avevano anche il compito di amministrare e proteggere i propri vassalli.
E se siete arrivati a leggere fino a qui potete risparmiarvi l'acquisto.

venerdì 8 agosto 2008

Zeno, la sua coscienza e la mia



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Dopo pranzato, sdraiato comodamente su una poltrona Club, ho la matita e un pezzo di carta in mano. La mia fronte è spianata perché dalla mia mente eliminai ogni sforzo. Il mio pensiero mi appare isolato da me. Io lo vedo. S’alza, si abbassa… ma è la sua sola attività. Per ricordargli ch’esso è pensiero e che sarebbe suo compito manifestarsi, afferro la matita. Ecco che la fronte si corruga perché ogni parola e composta di tante lettere e il presente imperioso risorge ed offusca il passato.
Italo Svevo – La coscienza di Zeno.

Un viaggio nell’oscurità della psiche, riflesso delle zone d’ombra della società borghese del primissimo Novecento. L’immagine della Belle epoque è simile a quella di Dorian Grey, sotto la facciata dorata senza macchia si nasconde il mostro e la perdizione.
L’unico merito di Zeno Cosini è proprio quello di avere avuto il coraggio di guardare oltre la superficie per tuffarsi nell’oscurità della mente, nell’essenza dell’uomo borghese senza qualità.
L’inettitudine diventa un valore, la rinuncia al dovere decisionale diventa l’unico modo per sopravvivere nel nuovo mondo, dove gli eroi si sono definitivamente estinti, un passepartout per la serenità. E’ qui che si dimostra che la serenità ottenuta grazie all’assenza di sofferenza non è vera serenità. Le lotte e le passioni fanno apprezzare meglio la vita proprio come lo stato di malattia porta l’uomo ad apprezzare la salute. Zeno potrebbe essere felice, ha tutto per esserlo, un lavoro, una famiglia, tranquillità… eppure non è felice perché la sua situazione non è frutto di una volontà attiva ma di mera casualità.
Fu Italo Svevo a far conoscere la psicanalisi di Freud all’Italia, fu lui il primo a capire che poteva essere materia utile per l’opera letteraria, e altrettanto inutile nella vita reale.
Tante volte questo libro mi è tornato alla mente come monito. Il vantaggio di averlo letto in età adolescenziale ha fatto sì che potessi correggere in corsa la mia vita. La figura di questo personaggio che non si staglia dal paesaggio circostante me che ne è tutt’uno, un ombra grigia tra le ombre grigie, mi ha talmente infastidita che giurai a me stessa che non avrei fatto la sua stessa fine, non sarei stata un’ombra e soprattutto AVREI DECISO.
Decidere è uno stato mentale, o ci appartiene o non ci appartiene, o si decide o non si decide, davvero qui non ci sono scale di grigi ma solo bianco e nero.
E’ facile lasciarsi portare dalla corrente:
Ho vent’un anni, studio, quindi mi sposo poi.
Ho ventisei anni, sono sposata da cinque, quindi faccio un figlio
Che palle!
Decido che a vent’un anni, con gli studi ancora da concludere voglio iniziare a trascorrere la mia vita con un’altra persona. Allora me la sposo, basta, niente pugnette mentali: lo voglio, lo faccio.
Decido che sono troppo giovane e troppo egoista per avere un figlio e non lo faccio. Prima voglio vedere con gli altri e poi ci penso… mi viene da ridere perché mi ricordo la battuta che faceva il mio professore delle superiori: “Armiamoci… e partite”. Come con la tecnologia: che siano computer o ogm, prima vediamo se funziona poi, una volta raccolti dati a sufficienza e analizzati i risultati, posso scegliere. Non fa certamente per me imboccare una strada solo perché è la più affollata o la più in discesa… preferisco viaggiare con la cartina (non con il navigatore perché non mi fido).

Foto: Strada tracciata tra i campi a Bellocchi

domenica 3 agosto 2008

Medioevo - Una passione contagiosa






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Ki Deus ad duné escience
E de parler bone eloquence
Ne s’en deit taisir ne celer,
Ainz se deit voluntiers mustrer
Maria di Francia – Lais

Colui che ha avuto da Dio la scienza e una buona eloquenza per esporla non deve tacere né nascondersi ma mostrarsi volentieri.

Johan Huizinga è stato certamente dotato di una buona eloquenza e di una mente capiente per accogliere cultura. Nella sua più celebre opera, l’Autunno del Medioevo, dottrina, poesia, favola e sogno sembrano costituire parti fondanti della Storiografia di questo particolare periodo storico scardinando totalmente la visione della storiografia canonizzata. Ivi abbondano simbolismi e leggende che si integrano alla perfezione con il multi sfaccettato pensiero medievale.
Non si può davvero considerale un libro di storia, piuttosto un romanzo storico in cui il protagonista è il tempo stesso, la sua epoca, le cronache e le favole che donano colore a quest’epoca generalmente definita come “Secoli bui”.
Nello scenario da lui dipinto la civiltà nasce come gioco, come distacco dalla vita reale nella quale entrano i Cavalieri con il loro codice d’onore, i loro stemmi, la loro divisione il caste, anche loro avvinti dallo spirito dei giochi e dei tornei e, contrariamente a quanto si pensa, spinti da un forte desiderio di individualismo, desiderio che viene generalmente negato allo spirito medievale e consegnato interamente all’anima rinascimentale. Ma è qui che prende forma il Rinascimento, dalle ceneri del medioevo che volge al termine e che si distacca dalla realtà bidimensionale nella quale viene relegato dalla storiografia. Nella visione di Huizinga tutto è correlato, il basso con l’alto medioevo, il medioevo con il rinascimento, e tutto prende forma dall’anima di Roma che ha dettato i canoni dell’umanistica. Siamo figli del Medioevo come siamo figli di Roma e di Atene, le stesse leggi morali ci legano, nella pantomima religiosa leggiamo le tracce della rappresentazione romana e del romanzo del Seicento. Con Huizinga acquistano valore la microstoria, le usanze popolari, la vita quotidiana, non solo imprese ed eroi dunque ma la normalità che si fa foriera di tendenze, mode ed eventi storici, la vera spinta data all’umanità per distaccarsi dalla realtà trascendente ed entrare nell’immanente.
Dopo una breve introduzione sulla vita quotidiana si descrive la vita cavalleresca, l’idea di amore, di morte, di religione e di arte.
Fino all’alba dei vent’anni ho considerato il Medioevo un’epoca buia, triste, priva di avvenimenti degni di nota e di cultura.
Il Medioevo mi è stato raccontato come un succedersi di avvenimenti nei quali non riuscivo a intravvedere un filo conduttore, un’interminabile sequenza di date da imparare a memoria e gestire in qualche modo. Carlo Magno, Pipino il Breve, Avignone e il doppio Papa, Barbari che si riuniscono in regni. Il tutto era confuso, dieci secoli di passaggio tra l’Età romana e il Rinascimento nei quali non accadde sostanzialmente nulla degno di nota.
Poi cominciai a studiarne le lingue e le loro evoluzioni, dal latino al francese, allo spagnolo, all’inglese che non si capiva da dove venisse. Questo mi aprì tutta una sequenza di connessioni impensabili fino a poco tempo prima… quella disarmonica sequenza di date e nomi cominciava a prendere una fisionomia.
Venne il tempo poi della letteratura medievale, un mondo di fiabe e sogni, di viaggi reali e immaginari, di Marco Polo e Mandeville. Esseri reali e storici che prendevano vita nel medesimo contesto, unicorni e viaggiatori, draghi e santi, cavalleria e religione… un mondo variopinto che sbucava fuori dalla fuliggine della storiografia convenzionale propugnata nei licei. Non era così bello ai tempi di scuola… perché ogni cosa sembra prendere forma e colore solo al di fuori delle quattro mura del liceo? Perché i miei professori non hanno saputo trasmettermi la visione di questo mondo incantato?
E venne il tempo dello studio della cultura, del modo di trasferirla da un uomo all’altro, da un’epoca all’altra… tra le mura dei conventi benedettini si elaboravano opere d’arte, miniature preziosissime di oro e lapislazzuli che consegnavano alla storia le vite dei santi e le opere dei maestri antichi, considerate inviolabili e ricopiate con estremo rigore.
Possibile che non si sappia che la nascita delle edizioni tascabili ebbe origine allora, così come le edizioni scolastiche, gli assegni, la Borsa, la prospettiva, il colore.
Se guardo nella mia enciclopedia tascabile, la voce Medioevo è spiegata in diciassette righe nelle quali viene racchiuso un periodo di mille anni, la voce Rinascimento in ottantacinque, ottantacinque per meno di un secolo.
E’ troppo tardi per rivalutare questa epoca storica? Per renderle giustizia? Per riconsegnarla alla gloria che merita?
Io spero di no, è contagiosa questa epoca, quando la si scopre la si ama, quando la si ama la si vorrebbe condividere con altri. Speriamo che basti.

Foto: miniatura da "I Viaggi di Jean de Mandeville"