Ho lasciato l'Italia che ci saranno stati 25 gradi.
Arrivo a Bruxelles.
Escursione termica di 13 gradi.
Bene.
Mi mancava l'autunno.
Durante tutto il tragitto dall'aeroporto alla stazione è un continuo scambio di messaggini sulla Furmula Uno.
Non riesco davvero a capacitarmi di avre deciso di partire proprio il giorno della finale del mondiale e mi do dell'idiota.
Arrivata alla stazione non ce la faccio più e chiamo il Teo che non mi fa capire nulla, dice
solo "Non ci credo, non ci credo", alza il volume della tele e avvicina il microfono del cellulare, io ascolto, salto e urlo "Quanto manca?".
Poi non sento più niente e domando "E' campione del mondo? Siamo campioni del mondo?".
La risposta la sanno tutti.
Fossi stata a Londra sarei stata guardata forse con un po' di disprezzo: questa Italian girl che si agita e alza la voce al cellulare... i bruxellesi invece non si scompongono: ci conoscono troppo bene, guardano e sorridono, magari hanno anche capito qualcosa di quello che dicevo al telefono.
Io arrivo in albergo e mi consolo con un invitante pezzo di torta che mia suocera mi aveva infilato nella borsa prima che partissi.
La pappa di casa.
Quanto fa italiano.
La mattina mi sveglio di buon ora con l'intento di scoprire un po' la città prima di cominciare a lavorare, mi affaccio alla finestra che dà su una viva piazzetta, dalle cinque strade che si affacciano formicolano ondate di persone che, come seguendo il pifferaio magico, si incanalano nella strada che porta alla stazione.
Non resisto e mi tuffo in questo mare.
Indosso la mia migliore maschera di turista e procedo a passo lento mentre la folla si apre attorno per poter continuare a fluire.
Galerie de la Reine, Galerie du Roi, attorno a me è un fiorire di cioccolaterie dalle vetrine illuminate. Ancora chiuse... va bene, troverò un momento per fare razzia.
In fondo alla galleria c'è un giornalaio che pare una boutique. Mi fermo per leggere i titoli in tutte le lingue: europee, asiatiche, russe... io prendo solo la Gazza, esco dalla boutique, la apro per bene e mi metto a leggere il resoconto del GP.
Quanto fa italiano.
Scendo in rue des Bouchers che si sta svegliando, la strada odora ancora, o di già, di cibo ed è un pullulare di furgoncini che riforniscono i ristoranti. Accanto a uno di questi non resisto e infilo il naso dentro, il profumo di pane è meraviglioso e intenso. Il ragazzo che fa il rifornimento capisce subito, prende una baguette da un metro e me la passa.
Incredula torno in albergo con la gazza da un lato e la baguette dall'altro.
Sorrido come una bimba davanti a un gelato.
E' bella Bruxelles, con questa aria perennemente autunnale e l'umidità che si trasforma in migliaia di minuscole goccioline sulla pelle. La forte umidità, fattasi nebbia, mi fa vedere solo cinque delle palle dell'Atomium.
E' cambiata Bruxelles, l'ultima volta l'Atomium era grigio e opaco, dimenticato dai suoi stessi concittadini. Oggi brilla e rispecchia l'ambiente circostante. Prendo un pacchetto di fritese maionese e me lo mangio sotto di lui. E lui rimanda la mia immagine distorta e godereccia.
Avevano ragio
ne in Pulp Fiction: ci ricoprono tutto con quella roba gialla.
Durante la settimana ritorno in rue des Bouchers per cenare, l'aspetto è completamente mutato. La strada è tutta una luminaria variopinta, si restringe per via dei tavolini all'aperto e dei cartelloni poggiati per terra che illustrano i piatti del giorno. Dalle entrate dei ristoranti si affacciano i camerieri nel tentativo di rimorchiare clienti e lo fanno in tutte le lingue che conoscono. Mi guardano e mi danno la Buonasera, devo averlo scritto in faccia che sono italiana, del resto non è difficile distinguermi dalla massa, con tutti i cambiamenti che hanno fatto i belgi sull'abbigliamento sono ancora decisamente arretrati e le strade sono un'esplosione di paperine rosse sformate.
Nelle tre sere trascorse in rue des Bouchers ho provato tre posti differenti e tutti con un gradevole risultato gastronomico. No, non ho ordinato la pasta, nè la pizza. Quando mi trovo al nord ne approfitto per farmi una bella scorpacciata di carne e pesce.
Un solo rimpianto: non essere riuscita a beccare aperta la libreria Tropismes in Galerie des Princes che dalla vetrina illuminata lasciava intravedere uno stupendo soffitto a cassettoni e in un angolo lontano la collezione delle opere della Pléiade.
Meglio per le mie tasche.
Provvisoriamente.
Tanto ci ritorno.