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domenica 5 aprile 2009

Cappuccetto rosso

Immagine: illustrazione di Gustave Doré

Cappuccetto Rosso è un racconto di tradizione popolare che ha conosciuto numerose varianti nel corso dei secoli, si ritrovano tracce della storia sparse per l'Europa risalenti fino al XI secolo. In una di queste versioni orali tramandate il Lupo, arrivato a casa della nonna, la divora lasciandone tuttavia un po' da parte. Quando Cappuccetto Rosso arriva il Lupo offre alla bambina un po' di carne e vino, corpo e sangue della nonna.

In Italia si conoscono tre versioni regionali di questa fiaba: una abruzzese e una lombarda.

La finta nonna, fiaba di origine abruzzese, narra di una bambina mandata dalla nonna a svolgere una commissione. Durante il tragitto deve attraversare il Fiume Giordano e la Porta Rastrello che, per farla passare, le chiedono di avere un po' del cibo che sta portando alla nonna.
Una volta arrivata a destinazione trova, un'Orchessa che la nonna se l'era mangiata tutta intera tranne i denti, messi a bollire in un pentolino, e le orecchie, che aveva fatte fritte. L'Orchessa, non riconosciuta dalla nipote, invita la bambina a mangiare quello che cuoce sul fuoco ma la bimba declina e s'infila nel letto con quella che crede sua nonna. Nota le mani e il petto peloso ma l'Orchessa, con una scusa, la convince che è tutto normale, quando però si accorge che l'Orchessa ha una coda si insospettisce e, con la scusa di dover fare i bisogni esce dal letto e scappa. Tornando a casa deve percorrere lo stesso tragitto dell'andata e il fiume, riconoscente verso la bambina, che aveva diviso con lui la merenda, la lascia passare ma sommerge l'Orca e la trascina lontano.
E' singolare notare come, con un atteggiamento molto mediterraneo, la bambina sulla riva si soffermi a "prendere a sberleffi" l'Orchessa che viene trascinata dalla corrente del Fiume Giordano.

Nella versione lombarda, "Il lupo e le tre ragazze", originaria dell'area del Lago di Garda, si parla di tre sorelle che si devono recare dalla mamma malata per portarle generi di conforto, due sorelle si lasciano spaventare da un lupo che sbarrò loro la strada, la terza, prima di partire, cuoce una torta piena di chiodi, e quando viene bloccata nella foresta dal lupo, gli dà da mangiare la torta chiodata. Il lupo però trama vendetta, si reca dalla mamma malata, la inghiotte tutta intera e si mette nel letto al suo posto. Quando la fanciulla arriva a casa della mamma viene anche lei mangiata dal lupo ma gli abitanti del paese, impauriti nel vedere un lupo in città, lo uccidono, gli aprono la pancia salvando madre e figlia.
Anche in questa versione si può sottolineare l'arroganza della bambina che, tornata a casa con la mamma, sottolinea il suo successo a fronte del fallimento delle sorelle.

Fu Charles Perrault  a rendere celebre la fiaba di Cappuccetto Rosso trascrivendola nei suoi "Racconti di mamma Oca" del 1697. In questo racconto viene congelata le versione che vede la mamma di Cappuccetto inviare la figlia dalla nonna malata. Cappuccetto incontra il Lupo che si mostra amichevole nei confronti della bambina, tanto da farle rivelare dove viva la nonna. Si lasciano con una sfida a chi arriva primo dalla nonna. Il Lupo è più veloce, arriva a casa della vecchietta, la mangia in un sol boccone e aspetta la bambina che avrà la stessa sorte della nonna.
In questa versione non c'è salvezza: nonna e nipote muoiono nella pancia del Lupo e Perrault conclude con tono moraleggiante:
"Da questa storia si impara che i bambini, e specialmente le giovanette carine, cortesi e di buona famiglia, fanno molto male a dare ascolto agli sconosciuti; e non è cosa strana se poi il Lupo ottiene la sua cena. Dico Lupo, perché non tutti i lupi sono della stessa sorta; ce n'è un tipo dall'apparenza encomiabile, che non è rumoroso, né odioso, né arrabbiato, ma mite, servizievole e gentile, che segue le giovani ragazze per strada e fino a casa loro. Guai! a chi non sa che questi lupi gentili sono, fra tali creature, le più pericolose!"

La versione dei Fratelli Grimm, "Kinder und Hausmarchen", ricalca la storia come viene narrata da Perrault ma la tramanda con un finale diverso: il Lupo, dopo aver mangiato nonna e nipote, si mette a dormire russando rumorosamente, questo insospettisce un cacciatore che entra in casa della nonna per accertarsi che stia bene e trova al suo posto il lupo con la pancia piena. Insospettito apre la pancia del Lupo dalla quale escono nonna e nipote, al loro posto vengono messe delle grosse pietre e per il grande peso il Lupo, fermatosi a bere al fiume, viene trascinato nelle acque e muore. 
Nella redazione della loro versione, i Fratelli Grimm raccolsero in verità due versioni tedesche, una delle due versioni fu trasformata nella storia principale, l'altra nel seguito che vede nonna e nipote nuovamente minacciate da un lupo ma, avendo fatto tesoro della precedente esperienza, riescono a trarlo in inganno e ucciderlo.

Nei precedenti post dedicati alle fiabe non mi sono soffermata, volontariamente, sulle interpretazioni che sono state loro date, soprattutto nel XX secolo, e non lo farò neanche questa volta ma c'è da riportare almeno il fatto che questa fiaba, vuoi per il colore rosso del cappuccio, vuoi per l'antitesi bosco-villaggio, vuoi per la figura maschile del cacciatore, sia stata la più soggetta ad analisi psicologiche, sociali e sessiste. Ho letto cose atroci a riguardo e ve le risparmio di cuore, lasciandovi solo solo immaginare come possa essere l'interpretazione chimico-metallurgica di questa fiaba.

martedì 28 ottobre 2008

Il Gatto con gli Stivali




La fiaba del Gatto con gli stivali viene resa nota per la prima volta da Giovanni Francesco Straparola, autore della raccolta di novelle Piacevoli notti , pubblicata a Venezia nel 1550. La novella s'intitola La Gatta, è ambientata nelle terre di Ripacandida e narra di un bambino, Fortunio, che alla morte della madre Soriana riceve in eredità una gatta mente i suoi fratelli ottengono beni più utili. I fratelli riescono a sopravvivere con quel poco che frutta l'eredità mentre Fortunio patisce i tormenti della povertà, tanto che la gatta, impietosita, promette di aiutarlo. Il felino si reca nel bosco, cattura una lepre e lo porta al re di Ripacandida dicendogli che è un dono di Messer Fortunio. Il siparietto si ripete più volte e più volte la gatta rubacchia da palazzo cibi e bevande per portarle al fanciullo. Tuttavia, il gatto è un animale di natura pigra e indolente così, stufa di quella fatica, convinse Fortunio a gettarsi in un fiume senza vestiti e urlare, proprio in quel momento passò il re con la sua corte e la gatta gli raccontò che il suo padrone, mentre si recava dal re a portargli ricchezze è stato derubato e gettato nel fiume. Impietosito e grato al fanciullo il re lo invita a palazzo e gli da in sposa la figlia. Sorge il problema di dove portare la sposina, che sicuramente si aspetta un castello e non l'ombra degli alberi. Veloce la gattina si precipita nelle campagne, precedendo il corteo nuziale che dovrebbe portare gli sposi nella loro dimora, convince con minacce cavalieri, mandriani e agricoltori a dire che tutto nei dintorni è proprietà di Messer Fortunio, persino il castello abbandonato che troneggia su quelle terre. E' così che la corte avanza e si sistema nella dimora procurata dalla gatta. Straparola poi risolve la questione della proprietà del castello dicendo nel finale che apparteneva a un anziano signore che lo aveva abbandonato e mai più reclamato.

Il tema del gatto industrioso ricompare con le novelle del Pentamerone di Giambattista Basile, già citato nel post su Cenerentola, sotto il titolo "Cagliuso", anche qui il gatto è in realtà una gatta e anche qui non si fa parola di stivali. 

L'incipit ve lo lascio perché è veramente un inno alla verve comica del Basile:

Era 'na vota a la cettà de Napole mio 'no viecchio pezzente pezzente, lo quale era cossì 'nzenziglio, sbriscio, grimmo, granne, lieggio, e senza 'na crespa 'n crispo a lo crespano, che ieva nudo comme a lo peducchio.

I fratelli sono due e, come nella tradizione di Straparola, uno eredita beni utili e l'altro una gatta. Il bosco si trasforma nel porto di Napoli e la cacciagione in pescato, il re è il re di Napoli e Messer Fortunio, il signor Cagliuso, di qui il titolo della novella. Cagliuso riesce a sposare la figlia del re, grazie alla gatta che ha messo in atto le stesse astuzie della sua compare veneta, con la dote della figlia del re si compra un po' di terre in Lombardia dove divenne barone. A questo punto, dove termina la fiaba di Straparola, si fa avanti la morale di Basile: Cagliuso promette alla gatta fortuna eterna, anche dopo la morte ma, quando lei si finge morta, lui non ci pensa due volte e fa per buttarla dalla finestra. La morale è affidata alla bocca della gatta che maledice Cagliuso:

Dio te guarde de ricco 'mpoveruto
e de pezzente quanno è resagliuto.

Arriviamo quindi a Monsieur Perrault e alla sua versione edita ne "I racconti di mamma oca". 

E' lui che consegna alla storia l'immagine del gatto maschio con un bel paio di stivali che spaccia il suo padrone per il marchese di Carabà, ed è lui a inserire nella fiaba la figura dell'orco. Sì, perché tutte le terre di cui il sedicente marchese millanta il possesso sono in realtà di proprietà di un terribile orco, capace di trasformarsi in ogni specie di animale... era evidente che la storia dell'anziano signore scomparso non poteva avere fortuna. Con lusinghe e ruffianerie proprie della natura felina convince l'orco a trasformarsi prima in un leone e poi in un topolino e il gatto, tutto contento della sua opera, gli si avventa contro e se lo pappa.

Il finale di Perrault è quello che preferisco: ovviamente il marchese sposa la figlia del re, il gatto diventa gran signore, continua a dare la caccia ai topi ma solo per divertimento.

C'è da dire che, a differenza delle due precedenti versioni, dove il fanciullo non era altro che uno zoticone ignorante pieno di pulci e preoccupato solo di soddisfare i suoi bisogni primari, questo marchese di Carabà sembra meno ingenuo: Fortunio e Cagliuso tenevano quasi sempre la bocca chiusa lasciando parlare la gatta, le poche parole che osavano pronunciare erano sempre fuori luogo e il più delle volte la gatta li doveva zittire per evitare che tutto andasse alla malora. Il marchese invece parla propriamente e intrattiene il re con la sua eloquenza.

Il gatto è l'animale che per eccellenza ha incarnato, nell'immaginario umano, poteri magici e divini, basti pensare al culto a lui dedicato nell'Antico Egitto sotto le sembianze della dea Bastet. Il mito del gatto con gli stivali trova corrispondenze anche nei paesi scandinavi, popolati dai gatti delle foreste norvegesi. Questi animali si contraddistinguono per avere baffi lunghissimi, coda voluminosa e... un bel paio di pantaloncini: delle coulottes che "indossano" in inverno per proteggersi dal freddo. Le contaminazioni tra testi di diverse tradizioni sono molto frequenti nella letteratura europea, non è da escludere dunque che l'irruzione degli stivali che distinguono la fiaba di Perrault dalle precedenti siano dovuti all'incrocio di testimonianze provenienti dal Nord.

Questo meraviglioso animale compare anche in una raccolta curata da Peter Christian Asbjornsen e Jorgen Moe, una sorta di risposta norvegese ai fratelli Grimm, interessati al folklore della loro terra percorsero la Norvegia in lungo e in largo visitando villaggi per raccogliere le fiabe tramandate oralmente. Il titolo della fiaba è The Cat on the Dovrefjill e narra di un orso chiamati Kitty che mette in fuga dei trolls. Per questo i trolls avranno sempre paura dei gatti. Mi dispiace dire che di questa versione, per ora, non ho possibilità di trattare direttamente.

La testimonianza riguardo il gatto che ho trovato più curiosa è contenuta nell'Edda in prosa di Snorri Sturluson, storico e poeta islandese del XII secolo.

nel capitolo 49 di quest'opera poetica si parla di Freyja che guida un carro trainati da gatti e nel capitolo 46 il gatto fa parte delle prove cui viene sottoposto Thor, dio del tuono per i Germani, che deve riuscire a sollevare un gatto pesantissimo (in realtà un essere mutaforme gigantesco trasformato in gatto) e non ci riesce.

Ecco una traduzione del passo:

Quindi balzò in mezzo alla sala un gatto grigio piuttosto grosso. Þórr gli andò vicino, gli mise la propria mano sotto la pancia e lo sollevò, ma il gatto inarcava la schiena tanto quanto Þórr sollevava la mano. Quando Þórr aveva sollevato la mano più in alto che poteva, il gatto aveva alzato solo una zampa e Þórr non riuscì ad avanzare oltre in questa prova.

Avete mai provato a sollevare un gatto norvegese?
Ricoperto da un foltissimo pelo e dotato di una natura melliflua, il gato sfugge dalla presa, scivola, si travasa da una parte all'altra del braccio tanto da rendere quasi impossibile la presa con un solo braccio.
Chi non ci crede può provare a sollevare il mio e affrontare, come Þórr, la terribile prova del gatto.

Grazie a Mantis - Luca per il prezioso suggerimento relativo all'Edda. Ricambierò.

martedì 16 settembre 2008

Cenerentola

Sarà perché l'altro giorno è uscita, nella collezione "Invito all'opera", "La Cenerentola" di Rossini, sarà perché tempo fa mi è capitato di vedere in televisione "I fratelli Grimm e l'incantevole strega", mi è venuta l'idea di iniziare un ciclo, pubblicato in tempi alterni, dedicato al mondo della fiaba. L'idea era già in nuce dopo la visione del film, quando, in preda a rimembranze universitarie, volli dare un'occhiata alla voce "fratelli Grimm" sull'enciclopedia, cercando corrispondenze con quanto mi ricordavo degli studi sul mondo della fiaba. Neanche a dirlo, la mia Compact del 1990, comodissima da portare a letto, era d'accordo con me nell'associare la redazione delle fiabe antiche dei Grimm con quel sentimento tipicamente tedesco del 1800 volto alla riscoperta delle origini germaniche, grazie al quale ebbero slancio gli studi di linguistica con l'elaborazione di alcune delle sue regole principali.
Non starò a ricordare la storia, che immagino sia conosciuta più o meno da tutti in versioni tra loro simili, il mio scopo sarà quello di proporre una breve panoramica sulle versioni che ci sono state tramandate dalla letteratura.
La prima volta che il personaggio di Cenerentola viene citato è stato nelle "Storie" di Erodoto (libro II, 134-135) nel trattare della piramide di Micerino  
"Alcuni Greci attribuiscono questa piramide a Rodopi, la cortigiana, ma non è vero
e ancora 
"Rodopi era di stirpe tracia, schiava di Iadmone di Samo, figlio di Efestopoli, e compagna di schiavitù di Esopo, il favolista [...] Rodopi giunse in Egitto al seguito di Xanto di Samo, vi giunse per esercitarvi l'antica professione, e vi fu riscattata per una somma enorme da un uomo di Mitilene, Carasso, figlio di Scamandronimo e fratello della poetessa Saffo ". 

Del fatto che il fratello di Saffo si fosse innamorato della schiava si può trovare corrispondenza nel frammento 5 della poetessa che recita 
"O Cipride e Nereidi, sano e salvo/Mio fratello qui datemi che torni/E quanto col suo cuor vuole gli avvenga/Tutto si compia/E sciolga il nodo degli errori un tempo/Compiuti e gioia per i suoi amici/Divenga e pena per i suoi nemici/E più nessuno". 
La storia narra che Rodopi, alla quale il padrone aveva regalato un paio di scarpette rosse, invidiata per la sua bellezza, viene sottoposta a una serie di angherie dalle altre schiave. Il dio Horus, forse impietosito, sotto le sembianze di falco, ruba le scarpette e le deposita in grembo al faraone che, interpretando l'accaduto come un segno, stabilisce di sposare la proprietaria delle scarpette. (Il topos dell'uccello rapace, determinante nelle storie di avventura e d'amore, lo ritroveremo nella letteratura romanza... ma questo sarà forse un altro soggetto per post).
E vissero felici e contenti.
Ritroviamo Cenerentola in Cina sotto il nome di Ye Xian, la trascrizione della sua storia risale al IX secolo. Figlia di un sapiente, alla morte della madre viene ridotta in schiavitù dalla matrigna. Trova consolazione nell'amicizia con un pesciolino, reincarnazione della madre, che un bel giorno viene pescato e servito come pranzo. Alla disperazione segue un sogno in cui la madre le dice di seppellire le sue lische in vasi posti agli angoli del suo letto. C'è anche qui un ballo importante al quale le viene impedito di partecipare per non concorrere con le sorellastre ma la madre invita Yen a disseppellire i vasi di lische che si sono trasformati, nel frattempo, in splendidi vestiti, ricchi gioielli e scarpette dorate. Il resto è come lo conosciamo: lei va al ballo e ammalia il principe, perde una scarpetta, il principe la cerca e la trova.
E vissero felici e contenti. Possibile che da questa leggenda sia nata la passione dei Cinesi per i piedi piccoli fino a trasformarsi in tortura?
Finalmente la fiaba approda in Italia con Gianbattista Basile che nel 1634-36 pubblica una raccolta di fiabe sullo stile del Boccaccio, "Lo cunto de li cunti", tradotto dal napoletano in italiano da Benedetto Croce che lo definì "il più antico, il più ricco e il più artistico fra tutti i libri di fiabe popolari...". In questa raccolta figura "La gatta Cenerentola", altrimenti detta "Zezolla", ritenuta fonte primaria della versione di Perrault.
La storia narra di Zezolla, figlia di un principe vedovo che si era risposato con una donna perfida. La poverella si confida con la sua tutrice che, vedendo la possibilità di sposare il padre di Zezolla, la istiga a uccidere la matrigna. Detto, fatto,  il padre si risposa con la tutrice che sembra amare la figliastra, almeno finché non si ricorda di avere delle figlie, fino ad allora tenute nascoste, che prendono presto il primo posto nella vita coniugale lasciando Zezolla alle ceneri del focolare e per questo viene chiamata in famiglia Gatta Cenerentola.
Ricordate il pesciolino della fiaba cinese? Qui diventa colomba e dice alla giovane che, qualora avesse bisogno di aiuto, si deve rivolgere alla colomba delle fate nell'isola di Sardegna. Dopo aver subito a lungo la sua triste sorte si rivolge alla Colombella che le fa dono di oggetti magici e la istruisce su di una formula magica da pronunciare nel caso desideri qualcosa. Arriva finalmente il momento in cui si indice un grande ballo, anzi, a dire il vero i balli si susseguono, Zezolla appare vestita di tutto punto e, al momento di lasciare la festa, riesce a seminare gli informatori che il re gli mette alle calcagna perché invaghito di lei. Dopo il terzo ballo e la terza fuga Cenerentola perde una scarpetta che viene raccolta da uno dei servitori del re che la porta al suo padrone. Il re allora indice un bando per il quale tutte le giovinette del reame si devono presentare a Sua Altezza. Il resto è come si ricorda: il re vede la ragazza, la riconosce e si sposano. E vissero tutti felici e contenti. Il testo è carino, il suo passaggio in Occidente lo ha forse fatto diventare un po' più truce con l'episodio dell'omicidio della matrigna ma la lingua è agevole, la narrazione scorrevole e contiene quel tocco di volgarità sufficiente per scatenare il comico.
Nella tradizione di Perrault (1628-1703) ritroviamo la versione più nota e, forse, più cortese, racchiusa nel celebre libro di fiabe "I racconti di mamma Oca". Qui gli animali magici e parlanti lasciano il posto a una figura umana in carne e ossa, una Fata; compare la zucca che si trasforma in carrozza e compaiono i topolini trasformati in bellissimi cavalli mentre in cocchiere viene trasformato un bel sorcione, e sei lucertole faranno da lacchè. Le scarpette si fanno di vetro e, per la prima volta viene stabilito il limite della mezzanotte come scadenza dell'incantesimo. Perrault, ricalca Basile, anche nella sua versione, infatti, i balli sono due, e, proprio durante il suo ritorno a casa dopo il secondo ballo Cenerentola perde la scarpetta. Tutto viene raccontato secondo la versione che conosciamo ma è da sottolineare che per la prima volta viene inserita, in appendice alla storia, una morale, anzi due: nella prima si esalta la bellezza esteriore come specchio di quella interiore, nella seconda si esalta il privilegio di avere delle comari fidate.
Nella versione dei fratelli Grimm la storia ricalca la tradizione di Perrault salvo che per alcuni particolari. Un giorno il padre, che si doveva recare in città, domanda alle figlie cosa desiderino, le figlie di secondo letto chiedono vestiti e gioielli, Cenerentola gli chiede di portarle "il primo rametto che vi urta il cappello". Al ritorno del padre Cenerentola riceve un rametto di nocciolo che va a piantare sulla tomba della madre e innaffia con le sue lacrime. Il rametto cresce e diventa un albero sul quale si posa un uccellino bianco che, se ella esprimeva un desiderio, le gettava quello che chiedeva. 
Ed ecco che ritorna l'immagine dell'animale magico che, per rispondere a un suo desiderio, le fa cadere addosso dal nocciolo vesti dorate, gioielli e scarpine d'argento e di seta. Come in Basile e Perrault le feste sono più di una e, a ogni ritorno a casa, Cenerentola depone le vesti ai piedi del nocciolo dove vengono prese dall'uccellino che gliele restituisce il giorno dopo prima della festa. Al terzo ballo il principe, stufo di vedersi sfuggire la sua amata, per impedirla nei movimenti cosparge la scalinata del palazzo di pece e una scarpina vi rimane attaccata. Nella versione dei Grimm il principe è un po' tonto e si lascia trarre in inganno dai trucchi che le due sorellastre escogitano, tra mille patimenti, per calzare la scarpetta. Prima una, poi l'altra, le carica sul cavallo e fa per portarsele a castello ma viene avvertito dall'uccellino: l'amata si trova ancora nella casetta. Una volta trovata la vera proprietaria della scarpetta si celebra il matrimonio. In questa versione la morale non viene pronunciata esplicitamente ma si fa orrida punizione perpetrata dagli uccellini che prima l'uno, poi l'altro, strappano gli occhi alle sorellastre.

Vi sono molte altre versioni di questa fiaba, che si possono trovare sul sito www.parole d'autore.net

Immagine: "Cendrillon", incisione di Gustave Doré