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martedì 16 settembre 2008

Cenerentola

Sarà perché l'altro giorno è uscita, nella collezione "Invito all'opera", "La Cenerentola" di Rossini, sarà perché tempo fa mi è capitato di vedere in televisione "I fratelli Grimm e l'incantevole strega", mi è venuta l'idea di iniziare un ciclo, pubblicato in tempi alterni, dedicato al mondo della fiaba. L'idea era già in nuce dopo la visione del film, quando, in preda a rimembranze universitarie, volli dare un'occhiata alla voce "fratelli Grimm" sull'enciclopedia, cercando corrispondenze con quanto mi ricordavo degli studi sul mondo della fiaba. Neanche a dirlo, la mia Compact del 1990, comodissima da portare a letto, era d'accordo con me nell'associare la redazione delle fiabe antiche dei Grimm con quel sentimento tipicamente tedesco del 1800 volto alla riscoperta delle origini germaniche, grazie al quale ebbero slancio gli studi di linguistica con l'elaborazione di alcune delle sue regole principali.
Non starò a ricordare la storia, che immagino sia conosciuta più o meno da tutti in versioni tra loro simili, il mio scopo sarà quello di proporre una breve panoramica sulle versioni che ci sono state tramandate dalla letteratura.
La prima volta che il personaggio di Cenerentola viene citato è stato nelle "Storie" di Erodoto (libro II, 134-135) nel trattare della piramide di Micerino  
"Alcuni Greci attribuiscono questa piramide a Rodopi, la cortigiana, ma non è vero
e ancora 
"Rodopi era di stirpe tracia, schiava di Iadmone di Samo, figlio di Efestopoli, e compagna di schiavitù di Esopo, il favolista [...] Rodopi giunse in Egitto al seguito di Xanto di Samo, vi giunse per esercitarvi l'antica professione, e vi fu riscattata per una somma enorme da un uomo di Mitilene, Carasso, figlio di Scamandronimo e fratello della poetessa Saffo ". 

Del fatto che il fratello di Saffo si fosse innamorato della schiava si può trovare corrispondenza nel frammento 5 della poetessa che recita 
"O Cipride e Nereidi, sano e salvo/Mio fratello qui datemi che torni/E quanto col suo cuor vuole gli avvenga/Tutto si compia/E sciolga il nodo degli errori un tempo/Compiuti e gioia per i suoi amici/Divenga e pena per i suoi nemici/E più nessuno". 
La storia narra che Rodopi, alla quale il padrone aveva regalato un paio di scarpette rosse, invidiata per la sua bellezza, viene sottoposta a una serie di angherie dalle altre schiave. Il dio Horus, forse impietosito, sotto le sembianze di falco, ruba le scarpette e le deposita in grembo al faraone che, interpretando l'accaduto come un segno, stabilisce di sposare la proprietaria delle scarpette. (Il topos dell'uccello rapace, determinante nelle storie di avventura e d'amore, lo ritroveremo nella letteratura romanza... ma questo sarà forse un altro soggetto per post).
E vissero felici e contenti.
Ritroviamo Cenerentola in Cina sotto il nome di Ye Xian, la trascrizione della sua storia risale al IX secolo. Figlia di un sapiente, alla morte della madre viene ridotta in schiavitù dalla matrigna. Trova consolazione nell'amicizia con un pesciolino, reincarnazione della madre, che un bel giorno viene pescato e servito come pranzo. Alla disperazione segue un sogno in cui la madre le dice di seppellire le sue lische in vasi posti agli angoli del suo letto. C'è anche qui un ballo importante al quale le viene impedito di partecipare per non concorrere con le sorellastre ma la madre invita Yen a disseppellire i vasi di lische che si sono trasformati, nel frattempo, in splendidi vestiti, ricchi gioielli e scarpette dorate. Il resto è come lo conosciamo: lei va al ballo e ammalia il principe, perde una scarpetta, il principe la cerca e la trova.
E vissero felici e contenti. Possibile che da questa leggenda sia nata la passione dei Cinesi per i piedi piccoli fino a trasformarsi in tortura?
Finalmente la fiaba approda in Italia con Gianbattista Basile che nel 1634-36 pubblica una raccolta di fiabe sullo stile del Boccaccio, "Lo cunto de li cunti", tradotto dal napoletano in italiano da Benedetto Croce che lo definì "il più antico, il più ricco e il più artistico fra tutti i libri di fiabe popolari...". In questa raccolta figura "La gatta Cenerentola", altrimenti detta "Zezolla", ritenuta fonte primaria della versione di Perrault.
La storia narra di Zezolla, figlia di un principe vedovo che si era risposato con una donna perfida. La poverella si confida con la sua tutrice che, vedendo la possibilità di sposare il padre di Zezolla, la istiga a uccidere la matrigna. Detto, fatto,  il padre si risposa con la tutrice che sembra amare la figliastra, almeno finché non si ricorda di avere delle figlie, fino ad allora tenute nascoste, che prendono presto il primo posto nella vita coniugale lasciando Zezolla alle ceneri del focolare e per questo viene chiamata in famiglia Gatta Cenerentola.
Ricordate il pesciolino della fiaba cinese? Qui diventa colomba e dice alla giovane che, qualora avesse bisogno di aiuto, si deve rivolgere alla colomba delle fate nell'isola di Sardegna. Dopo aver subito a lungo la sua triste sorte si rivolge alla Colombella che le fa dono di oggetti magici e la istruisce su di una formula magica da pronunciare nel caso desideri qualcosa. Arriva finalmente il momento in cui si indice un grande ballo, anzi, a dire il vero i balli si susseguono, Zezolla appare vestita di tutto punto e, al momento di lasciare la festa, riesce a seminare gli informatori che il re gli mette alle calcagna perché invaghito di lei. Dopo il terzo ballo e la terza fuga Cenerentola perde una scarpetta che viene raccolta da uno dei servitori del re che la porta al suo padrone. Il re allora indice un bando per il quale tutte le giovinette del reame si devono presentare a Sua Altezza. Il resto è come si ricorda: il re vede la ragazza, la riconosce e si sposano. E vissero tutti felici e contenti. Il testo è carino, il suo passaggio in Occidente lo ha forse fatto diventare un po' più truce con l'episodio dell'omicidio della matrigna ma la lingua è agevole, la narrazione scorrevole e contiene quel tocco di volgarità sufficiente per scatenare il comico.
Nella tradizione di Perrault (1628-1703) ritroviamo la versione più nota e, forse, più cortese, racchiusa nel celebre libro di fiabe "I racconti di mamma Oca". Qui gli animali magici e parlanti lasciano il posto a una figura umana in carne e ossa, una Fata; compare la zucca che si trasforma in carrozza e compaiono i topolini trasformati in bellissimi cavalli mentre in cocchiere viene trasformato un bel sorcione, e sei lucertole faranno da lacchè. Le scarpette si fanno di vetro e, per la prima volta viene stabilito il limite della mezzanotte come scadenza dell'incantesimo. Perrault, ricalca Basile, anche nella sua versione, infatti, i balli sono due, e, proprio durante il suo ritorno a casa dopo il secondo ballo Cenerentola perde la scarpetta. Tutto viene raccontato secondo la versione che conosciamo ma è da sottolineare che per la prima volta viene inserita, in appendice alla storia, una morale, anzi due: nella prima si esalta la bellezza esteriore come specchio di quella interiore, nella seconda si esalta il privilegio di avere delle comari fidate.
Nella versione dei fratelli Grimm la storia ricalca la tradizione di Perrault salvo che per alcuni particolari. Un giorno il padre, che si doveva recare in città, domanda alle figlie cosa desiderino, le figlie di secondo letto chiedono vestiti e gioielli, Cenerentola gli chiede di portarle "il primo rametto che vi urta il cappello". Al ritorno del padre Cenerentola riceve un rametto di nocciolo che va a piantare sulla tomba della madre e innaffia con le sue lacrime. Il rametto cresce e diventa un albero sul quale si posa un uccellino bianco che, se ella esprimeva un desiderio, le gettava quello che chiedeva. 
Ed ecco che ritorna l'immagine dell'animale magico che, per rispondere a un suo desiderio, le fa cadere addosso dal nocciolo vesti dorate, gioielli e scarpine d'argento e di seta. Come in Basile e Perrault le feste sono più di una e, a ogni ritorno a casa, Cenerentola depone le vesti ai piedi del nocciolo dove vengono prese dall'uccellino che gliele restituisce il giorno dopo prima della festa. Al terzo ballo il principe, stufo di vedersi sfuggire la sua amata, per impedirla nei movimenti cosparge la scalinata del palazzo di pece e una scarpina vi rimane attaccata. Nella versione dei Grimm il principe è un po' tonto e si lascia trarre in inganno dai trucchi che le due sorellastre escogitano, tra mille patimenti, per calzare la scarpetta. Prima una, poi l'altra, le carica sul cavallo e fa per portarsele a castello ma viene avvertito dall'uccellino: l'amata si trova ancora nella casetta. Una volta trovata la vera proprietaria della scarpetta si celebra il matrimonio. In questa versione la morale non viene pronunciata esplicitamente ma si fa orrida punizione perpetrata dagli uccellini che prima l'uno, poi l'altro, strappano gli occhi alle sorellastre.

Vi sono molte altre versioni di questa fiaba, che si possono trovare sul sito www.parole d'autore.net

Immagine: "Cendrillon", incisione di Gustave Doré