lunedì 17 aprile 2017

Shakespeare e la Original pronnciation

E' un post segnaposto, interessante come la pronuncia originale della lingua di Shakespeare fosse in costante mutamento al tempo.

Shakespeare: Original pronunciation



Why people enjoy hearing Shakespeare in its Original Pronunciation



David Crystal, author of The Oxford Dictionary of Original Shakespeare Pronunciation talks about Original Pronunciation (OP) performances and their power to connect with audiences today, very few of whom speak ‘Received pronunciation’.

domenica 16 aprile 2017

L'Idea di Medioevo - NON LEGGERLO!


7,23€ spesi per... niente!



Un libro superfluo, utile solo a rimpinguare le casse della casa editrice Donzelli, i 7,23€ peggio spesi in libri della mia vita e una giornata di lettura che è servita solo a procurarmi gastrite.

In realtà la colpa è mia. In quarta di copertina è precisato chiaramente che lo scritto è stato concepito e pubblicato come introduzione al Manuale Donzelli di Storia Medievale ma le promesse erano di capire quale fosse il senso del Medioevo, il suo retaggio, il motivo per cui è importante studiarlo e insegnarlo... bene, queste risposte probabilmente si trovano in un altro libro. Non in questo.

Totale assenza di note
Totale assenza di spiegazioni
I fatti storici vengono citati come patrimonio comune assodato e si deve fare continuo ricorso ad altri testi (benedetta Wikipedia! Quando leggi fuori di casa ringrazi in ogni momento per la sua esistenza) perché si dà per scontato che il lettore sia già al corrente di tutto ma... se il lettore è già un medievista incallito di sicuro non ha bisogno di queste settanta pagine per ampliare le sue conoscenze. Inoltre per più di metà libro l'autore più che inseguire l'idea di Medioevo ci parla delle fondamenta medievali del concetto di Europa e di Europei: Carlo Magno, le Crociate, la cristianità... ma allora cambiategli il titolo e chiamatelo L'Idea di Europa!
Insomma, poche idee e ben confuse, settanta pagine che così, slegate dall'opera principale, non hanno senso di esistere. Per la maggior parte delle pagine viene descritto ciò che il Medioevo NON è e la fantomatica Idea di Medioevo proprio non si delinea.

Alcuni passi sono piacevolmente interessanti ma il testo rimane sfuggente: non solo non approfondisce, non ci si può aspettare questo da un libretto così minuto, ma nemmeno accenna eventi storici che meriterebbero almeno un paragrafo.

Cosa salvo?
- Capitolo terzo: Formazione e sviluppo di un concetto storiografico. L'altalenante concezione negativa, poi positiva, poi di nuovo negativa del periodo medievale nei secoli successivi.
- Capitolo quarto: Secoli non solo germanici né solo romani. Il differente approccio delle popolazioni germaniche a contatto con la latinità ovvero perché i Goti fallirono e i Franchi ebbero successo.
- Capitolo sesto: Il medioevo come infanzia di Europa. il concetto di Europa e di Auropei accomunati soprattutto dalla fede cristiana, un'unione culturale, non politica e non geografica.
- Capitolo ottavo: Il medioevo cristiano. L'accentramento della Chiesa avviene nel IX secolo e  nel XII si pone come potere complementare a quello imperiale rafforzando la sua unità e osteggiando gli indipendentismi religiosi con il denaro con conseguente declino di abbazie come Cluny.
- Capitolo nono: Il medioevo comunale. Interessante soprattutto per quanto riguarda l'Italia, la nascita dei comuni e la loro autonomia garantita da Federico I barbarossa a seguito della pace di Costanza con la Lega Lombarda. la figura del Podestà come professionista e lo spostamento del potere dalla nobiltà alla borghesia di mercanti e banchieri.

In soldoni.
Racchiudere mille anni di storia europea sotto il comune cappello di Medioevo è un'assurdità (grazie... fin lì ci arrivavamo pure noi)
La valutazione negativa del Medioevo avviene principalmente in due epoche per due motivi:
  • Umanesimo 1400-1500: la riscoperta dell'Età Classica è così sorprendente (caduta di Costantinopoli 1453 e conseguente migrazione di studiosi e testi in Europa) che quanto avvenuto nei secoli precedenti viene visto come barbarie, imbruttimento, decadenza e oscurità; nel guardarsi indietro l'uomo del Quattrocento vedeva solo gli ultimi secoli, quelli successivi alla crisi del Trecento, le pestilenza, le carestie
  • Illuminismo 1700: il medioevo viene visto come l'origine del feudalesimo come prevaricazione e disuguaglianza, il sistema che sarà poi abbattuto dalla Rivoluzione Francese, tralasciando l'aspetto principale della società feudale ovvero la reazione alla decadenza del potere centrale romano e la nascita di nuove signorie che avevano anche il compito di amministrare e proteggere i propri vassalli.
E se siete arrivati a leggere fino a qui potete risparmiarvi l'acquisto.

sabato 15 aprile 2017

America - Franz Kafka - Un romanzo che non dovremmo leggere




Il primo romanzo di Kafka che di kafkiano ha ben poco mentre invece ha tanto di Dickens.

No, ok, di kafkiano c'è tanto ma è tenuto a bada, celato dietro l'inaspettato ottimismo, l'intraprendenza del protagonista Karl.


Karl viene per tre volte accusato, per lo più ingiustamente, e tre volte cacciato. Una triplice colpa che lascia spiazzato protagonista e lettore ma è giovane, come è giovane l'autore del resto, si ritiene pieno di risorse, non si arrende, non si abbatte e ogni volta cerca altrove la sua strada, ogni volta si riempie di speranza e si tuffa in una nuova vita, il suo sguardo è rivolto costantemente al futuro e alla possibilità di migliorare la sua condizione (cfr. Dickens), si volta indietro una sola volta, ripensando ai suoi genitori dei quali conserva una foto, poi questa foto viene smarrita e con essa viene smarrita quasi anche la loro memoria.

E' un romanzo strano da leggere dopo aver conosciuto l'autore per opere come Il Processo o Il Castello, c'è ancora la speranza di giustizia: traspare dall'arringa di Karl a favore del fuochista Schubal, dai discorsi che precedono la sua seconda cacciata, quella dello zio ricco e dai pensieri durante il processo sommario della terza cacciata.
Tre volte pare risiedere nel Paradiso e tre volte ne viene cacciato. Poiché il romanzo è un'opera incompiuta non ci è dato sapere se ci sia anche una quarta colpa e una quarta cacciata ma di sicuro alla fine c'è una fuga, finalmente volontaria, che porterà il lettore  in un viaggio verso un'America sconosciuta, fatta di paesaggi naturali, di terre aperte, di nuove speranze... Tutto si interrompe con questo ultimo viaggio, non c'è un finale e l'impressione che ho avuto è che l'autore stesso si sia stancato della sua creatura e l'abbia abbandonata al suo destino per concentrarsi sugli scritti che in seguito lo hanno reso famoso.


Onestamente l'opera procede con difficoltà e non decolla mai. Karl è odioso, non prova empatia per il prossimo e non ne suscita nel lettore. E' presuntuoso, snob, usa affibbiare etichette al prossimo, è permaloso ma troppo presuntuoso per ammetterlo. La narrazione si dipana a scatti, episodi, quadri mal legati tra loro, non è un romanzo ben coeso ma sono piuttosto quattro racconti tenuti insieme precariamente e non credo che Kafka sarebbe contento di sapere che lo stiamo leggendo non tanto perché incompiuto ma per la totale mancanza di una revisione finale che leghi i diversi episodi.


Positivo, molto positivo invece è il mio giudizio sulle descrizioni della scena urbana americana: l'attenzione è rivolta alle persone che si muovono sulla scena più che agli oggetti o all'ambiente, la città americana appare un formicaio di macchine e persone operose, veloci, in constante movimento dentro e fuori dagli edifici. Si avverte la velocità delle macchine nelle scene esterne, il brulicare di persone come insetti e nelle scene di interni l'impressione del movimento e della velocità è, se possibile, ancora più forte, come l'acqua in un tubo scorre più veloce nei punti in cui la sezione del tubo si restringe così nelle scene d'interno tutto sembra muoversi più velocemente, cose, persone e pensieri. 

E' la velocità di questo Mondo Nuovo stereotipato, mai visto dall'autore ma sentito narrare da chi c'era stato. E' all'Hotel Continental che il movimento raggiunge l'apoteosi con decine di persone che vanno o aspettano e quando aspettano si percepisce la fretta, l'ansia quando l'attesa si prolunga, tutto al ritmo di lavoratori, fattorini, ascensoristi, portieri, clienti, tutti indaffarati, tutti risucchiati in un vortice inarrestabile.

Il contrasto di questo eterno movimento con i dialoghi bizzarri e inconcludenti ha l'effetto di una brusca frenata improvvisa, l'opera procede così: accelerazioni e frenate, accelerazioni e frenate e mentre di solito il lettore è portato a saltare le descrizioni per tuffarsi nei dialoghi e nell'azione dei personaggi nella lettura di questo libro si prova il desiderio contrario: il desiderio di saltare il racconto bizzarro per concentrarsi piacevolmente sulle descrizioni, una finestra aperta sull'America immaginata da Kafka.

Il monito per il lettore potrebbe essere quello di farsi i fatti suoi e non impicciarsi delle opere che gli autori hanno lasciato incompiute.


martedì 4 aprile 2017

La leggenda di San Giuliano l'ospitaliere - un gioiello nascosto



Lo shopping compulsivo randomico del black friday su IBS mi ha portato a casa questo gioiellino, piccolo e curato, di Gustave Flaubert.

Nei testi di letteratura francese studiati non se ne fa parola quasi, viene accennato nell'introduzione di Un coeur simple ma niente più. Non aggiunge nulla all'idea che ci si può fare dell'autore ma è una delizia tutta da leggere, proprio perché ricercata e accurata fino ai più sottili dettagli. La concezione e la stesura è un continuo tira e molla: ogni volta crede di essere sul punto di terminarlo e ogni volta ci rimette le mani o viene preso da altri progetti. E poi ritorna alle fonti, riguarda gli appunti, spulcia decine di testi, molti del tutto inutili allo scopo. Infine chiude il progetto e ci consegna un testo di una cinquantina di pagine davvero delizioso.

Sin dalle prime parole il lettore viene catapultato in un mondo surreale, non si tratta di una semplice agiografia: siamo di fronte a un sublime falsario.

Il tono non è quello delle classiche agiografie ma è da leggenda, Flaubert immerge il lettore nel pieno Medioevo, in quello più bello, ricco di luce e avventure, lo fa tramite un linguaggio ricco di arcaicismi e con minuziose descrizioni di aspetti della vita medievale, elenchi di animali, di pietre, popoli, di oggetti quotidiani ormai superati, e poi viaggi e avventure della sua vita da mercenario... sembra troppo? In realtà tutto è dosato con estremo equilibrio, non ci sono parti prolisse anzi, in alcuni punti si desidera che la narrazione si soffermi un po' di più, almeno è quello che ho desiderato io per quanto riguarda le avventure di Giuliano come mercenario ma forse dipende dal mio gusto personale tendente più alla narrazione di gesta che alle storie di Santi.
In tanti momenti della lettura mi sono tornati in mente la Lettera del Prete Gianni del XIIIs. o I viaggi di Mandeville del XIVs. o ancora il Milione di Marco Polo, Flaubert dipinge un delizioso affresco medievale con pochi tratti in quaranta scorrevoli pagine e alla fine poco o nulla importa se la storia di San Giuliano non è stata riportata secondo il canone.

Non c'è in realtà molto da dire su questa opera tranne che per un'appassionata di Medioevo come me è stata sorprendentemente piacevole, piena atmosfere familiari, di rimandi alla letteratura odeporica, cortese... un bel tuffo in un laghetto di ricordi.

Riflessione che c'entra poco ma non posso fare a meno di esporla: pare che una delle fonti d'ispirazione principali dell'opera, se non proprio la fonte d'ispirazione principale, sia stata la leggenda di San Giuliano raffigurata sulle vetrate della cattedrale di Rouen... Come si fa allora a non pensare a Notre Dame de Paris di Victor Hugo, al passo sulle cattedrali, sui libri di pietra, i libri del volgo... 

"Dall'origine delle cose fino al quindicesimo secolo dell'era cristiana incluso, l'architettura è un gran libro dell'umanità, l'espressione principale dell'uomo nei suoi diversi stadi di sviluppo, sia come forza, sia come intelligenza."

La storia che si fa vetro e poi si fa libro e tutti i dettagli che sulla vetrata vengono raffigurati in mille colori o immaginati prendono forma nelle parole di Flaubert e quasi mi dispiace non aver trovato un'edizione accompagnata dalle immagini delle vetrate di Rouen, avrebbe certamente impreziosito l'opera.

domenica 15 gennaio 2017

Il Trono di Spade - A volte c'è bisogno di una storia


A volte c'è bisogno di una storia, perché non di sola realtà può vivere l'uomo.

Per anni, quattro anni, le storie si erano limitate ad affacciarsi per un'oretta al giorno quando andava bene. Qualche telefilm, qualche lettura di articoli di riviste storiche, qualche approfondimento, per lo più storico, sempre veloce, su enciclopedie cartacee o online.
Prima di questo periodo di disintossicazione dalla lettura avevo inanellato una serie di libri sicuramente bellissimi, dottissimi, altissimi che mi aveva saturata, ero passata dall'Idiota di Dostoevskij a  un saggio sulla più bella giornata di Luigi XIV a Quenau.
Era diventato un leggere per leggere, per accumulare spunte, per spolverare il migliaio e passa di libri che compongono la mia libreria, non c'era quasi più piacere, gli autori non mi parlavano più come un tempo e davanti a me incombeva l'Arcipelago Gulag di Solženicyn come una minaccia, come un dovere.
Poi sono arrivate le bimbe e se ne è andata la concentrazione, quelle ore trascorse da sola con un libro e una buona musica nelle orecchie, silenzio attorno, casa pulita e in ordine, un gatto sulla pancia.
... End of games, era arrivato il caos.
Oppure il caos è stata la mia giustificazione: ero semplicemente intossicata dalle parole e non trovando qualcuno su cui riversarle per compartirne il peso ho lasciato che fossero argomenti più leggeri a prendere spazio nei miei pensieri. 
Cioè... non è che ti puoi mettere a parlare di epifanie proustiane al parco mentre tua figlia cerca di ammazzarsi da uno scivolo di due metri. E quando sei a casa e benefici di quei famosi cinque minuti di silenzio dedicandoti magari a depilarti le sopracciglia sai già che te la faranno pagare e che quando avrai finito mezza lettiera sarà finita a ostruire lo scarico della vasca da bagno (vita vera).

Caos o intossicazione che fosse sono trascorsi quattro anni senza un libro tra le mani.
Poi è arrivata una storia, sono arrivati dei personaggi. 
Un'amica di liceo mi consiglia di guardare un telefilm fantasy e io annuisco, faccio finta che la cosa mi interessi e che andrò immediatamente a guardarmelo.
Sì, sì, come no!

Fantasy?

Se non è Tolkien non vale la pena e Il Signore degli Anelli l'ho letto solo perché era Tolkien, per lo studio della linguistica, per l'interpretazione in chiave borghese contro il comunismo proletario, per ricercare le tracce del medioevo germanico e bla bla bla...
Mica perché mi piacciono le fatine!

Poi un giorno mi guardo la prima puntata...
poi la seconda... la terza...
Non resisto, vado su Amazon e carico il carrello con la pentalogia completa del Trono di Spade, qualche giorno dopo mio marito mi fa il regalo più bello da... anni: i sei CD della colonna sonora di Ramin Djawadi. 
In tre giorni arrivano i libri, leggo sempre, ovunque, è la prima cosa che faccio quando mi sveglio e l'ultima prima di addormentarmi, leggo in pausa pranzo, mentre cucino, mentre prendo un caffè al bar, mentre spingo il carrello dal supermercato alla macchina. Il collo emette strani rumori quando si muove, il coccige si appiattisce, ogni volume peserà circa un chilo, mi fanno male le dita nel tenerli in mano e la spalla perché me li porto sempre dietro nella borsa anche quando so che non riuscirò a leggere ma non importa: devono stare con me e anche quando sono chiusi so che sono lì e che potrei aprirli in qualunque momento. Mi sembra di essere tornata ai tempi del liceo quando leggevo sull'autobus da Veronetta alla succursale del Maffei attorcigliata a uno dei pali centrali.
Negli occhi le pagine. 
Pagine e parole in un alternarsi di bianco e nero, nelle orecchie fiati, archi, percussioni delle musiche di Djawadi e sulla pelle brividi... taaaaaanti brividi.

Mi sentivo come se avessi percorso chilometri per giorni sotto il sole senza bere e poi mi avessero porto una bottiglia d'acqua. Ho bevuto con avidità, come se non esistesse altro, mi sono ingozzata fino a farmi scoppiare lo stomaco.


In una settimana finisco di leggere il primo volume, in due mesi fagocito tutto: carta, parole, pensieri, personaggi, mappe, appunti, teorie, castelli, rocche, draghi, ghiaccio e fuoco.


Ma perché? 
Perché affascina tanto? Cosa c'è in questo prodotto di tanto irresistibile?

Se si guarda alla serie televisiva non gli si può fare nessun appunto: il prodotto è confezionato benissimo, ottima scelta degli attori e se guardato in lingua originale la potenza delle loro voci per lo più basse, l'armonia dell'accento BBC English e la definizione della dizione sottolineano a ogni passo il momento narrativo conferendo spessore. Gli ambienti sono minuziosamente ricreati in digitale sovrapposti a scenografie reali. La colonna sonora è... uno spettacolo, la diversità e l'armonia dei temi musicali proposti da Ramin Djawadi regge benissimo il confronto con compositori come Williams e Morricone.

Nel libro però non ci sono attori, non ci sono paesaggi, non c'è musica, tutto il merito risiede nella penna di Martin e mi sono chiesta quale, concretamente, fosse questo merito.

Ho letto molte critiche sul suo stile narrativo rozzo, sulla limitatezza del suo vocabolario e sulla ripetizione delle similitudini (tutto vero) ma non sono riuscita a trovare analisi che spiegassero perché la lettura delle Cronache risultasse così accattivante nonostante sia contenuta in cinque libroni enormi che solo a leggere il numero di pagine, 5000 circa, passa la voglia. Quella che posso dare è la mia spiegazione, dopo averci meditato per qualche tempo.

Nessuna parola è lasciata al caso, nessun paragrafo è trascurabile. Mi è capitato spesso di incontrare nelle opere di grandi autori ridondanza di aggettivi, avverbi, interminabili descrizioni laddove l'idea dell'autore era quella di donare al lettore un'immagine quanto più possibilmente realistica dell'ambiente in cui si muovono i personaggi (Zola ne sa qualcosa). Qui tutto è scarno, al lettore vengono fornite poche informazioni dal punto di vista descrittivo, l'intera narrazione viene retta dalle azioni, dai ricordi e soprattutto dai pensieri dei personaggi, punti di vista diversi descrivono la stessa azione, lo stesso avvenimento in modo da dare al lettore una conoscenza estesa dei fatti e di comprendere meglio la psicologia dei personaggi.
Questa assenza di orpelli rende ogni paragrafo, ogni parola fondamentale ai fini della comprensione degli avvenimenti, episodi, miti, racconti insignificanti, buttati a caso apparentemente per riempire dello spazio vengono recuperati successivamente cosicché il lettore si trova obbligato a non tralasciare nemmeno una riga.

La narrazione procede per punti di vista e lo stesso episodio può essere narrato da più attori svelando particolari diversi, rivelando i meccanismi emotivi dei personaggi che emergono come figure a tutto tondo, prendono forma, sostanza ed è questa la potenza dello stile narrativo di Martin che fa sentire i personaggi reali, palpabili quasi. Le azioni, anche le più contorte, trovano giustificazione nella comprensione della storia passata e della psicologia dei protagonisti.

La saga viene generalmente considerata appartenente al genere fantasy ma ne è molto lontana, per due ragioni fondamentali:
  • L'elemento fantasy è marginale, non risolve le situazioni come un deus ex machina e non le crea, semplicemente esiste, sta lì ed è coinvolto negli eventi senza però mutarli nella sostanza. Non è determinante nello svolgersi della storia: il centro della narrazione è il continente Westeros ove è quasi assente l'elemento fantastico e quando vi si trova arriva da altrove, dal passato, dal continente Essos o da oltre la barriera. Lontano dunque nel tempo e nello spazio.
  • La dicotomia bene/male tanto cara al genere è frantumata. Non esistono personaggi totalmente buoni o totalmente cattivi (beh, uno cattivo cattivo in realtà c'è), non ci sono azioni totalmente giuste o ingiuste, i protagonisti non hanno necessariamente un lieto fine, sono eroi tragici che rievocano figure come Ettore e Achille, entrambi nel giusto, entrambi nel torto e si ha qualche difficoltà a prendere totalmente le parti dell'uno o dell'altro.
E' una nuova frontiera del realismo: il REALISMO di MARTIN.
Martin è riuscito a creare una struttura psicologica per decine di personaggi, un alveare mentale straordinariamente coerente e coeso in cui le celle si incastrano l'una con l'altra senza lasciare spazi, una struttura nella quale risaltano dapprima le caratteristiche della generazione dei padri ovvero la generazione che ha avuto parte attiva alla guerra scatenata dalla Ribellione di Robert e che dalla situazione di apparente stasi in cui l'opera inizia non vuole recedere. Ma quella stasi è solo una copertura per il caos che gradatamente e con forza e velocità sempre maggiori tende a riemergere perché nel momento in cui viene messa in dubbio l'autorità delle istituzioni con l'annientamento di Casa Targaryen crolla ogni certezza, ogni diritto, ogni valore. Ecco allora i figli della Ribellione pretendere il loro spazio nell'alveare di Martin in decine di micro romanzi di formazione ed è qui che i libri surclassano la Serie TV: nel numero di storie e personaggi, volutamente tagliati o accorpati nella serie (vedi Aegon Targaryen figlio di Raeghar o Jane Poole l'amica di Sansa), nelle innumerevoli sfaccettature di questi... penso a Sir Ilyn Payne o a Ed l'Addolorato che nei libri sono protagonisti di gustosissimi lazzi di shakespeariana memoria.
Lo stesso ritmo della narrazione aggiunge una carica realista, la contemporaneità, i flashback, le visioni, i racconti narrati dai personaggi si succedono con un tempismo cinematografico e sicuramente gli anni trascorsi a lavorare come sceneggiatore a Hollywood gli sono serviti parecchio. Ogni volta che il racconto di un personaggio termina si ha la tentazione di correre al prossimo capitolo dello stesso personaggio salvo poi arrendersi all'impostazione cronologica decisa da Martin e continuare la lettura così come decisa dall'autore che bastardamente decide di spezzare i libri 4 e 5 dedicando il 4 Il Banchetto dei Corvi soprattutto al continente Westeros e il 5 La Danza dei Draghi principalmente a Essos... E' l'apoteosi della suspance. E' qui che avviene la separazione tra serie TV e libri, si ha l'impressione che il mondo delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco proceda su due universi paralleli e che la storia allo stesso finale vi giunga per vie differenti agganciandosi alla τύχη greca, la sorte ineluttabile già scritta in cui eventi diversi portano inesorabilmente allo stesso destino.

...

In attesa della settima stagione televisiva prevista nell'estate/autunno 2017 o del sesto libro della saga, Winds of Winter, previsto... boh, rimugino sugli aspetti che più mi hanno colpita della saga, salto da una teoria all'altra (quel Mance Rayder non mi convince... o forse mi convince troppo...) e schivo spoiler come Neo le pallottole in Matrix. Almeno altri due spunti mi frullano nella testa, questo post, iniziato mesi fa e lasciato decantare, è stato già diviso in due parti... forse avrei dovuto ricavarne una terza ma non me la sono sentita... con Martin ci rivedremo, spero, prima della settima stagione.