Il primo romanzo di Kafka che di kafkiano ha ben poco mentre invece ha tanto di Dickens.
No, ok, di kafkiano c'è tanto ma è tenuto a bada, celato dietro l'inaspettato ottimismo, l'intraprendenza del protagonista Karl.
Karl viene per tre volte accusato, per lo più ingiustamente, e tre volte cacciato. Una triplice colpa che lascia spiazzato protagonista e lettore ma è giovane, come è giovane l'autore del resto, si ritiene pieno di risorse, non si arrende, non si abbatte e ogni volta cerca altrove la sua strada, ogni volta si riempie di speranza e si tuffa in una nuova vita, il suo sguardo è rivolto costantemente al futuro e alla possibilità di migliorare la sua condizione (cfr. Dickens), si volta indietro una sola volta, ripensando ai suoi genitori dei quali conserva una foto, poi questa foto viene smarrita e con essa viene smarrita quasi anche la loro memoria.
E' un romanzo strano da leggere dopo aver conosciuto l'autore per opere come Il Processo o Il Castello, c'è ancora la speranza di giustizia: traspare dall'arringa di Karl a favore del fuochista Schubal, dai discorsi che precedono la sua seconda cacciata, quella dello zio ricco e dai pensieri durante il processo sommario della terza cacciata.
Tre volte pare risiedere nel Paradiso e tre volte ne viene cacciato. Poiché il romanzo è un'opera incompiuta non ci è dato sapere se ci sia anche una quarta colpa e una quarta cacciata ma di sicuro alla fine c'è una fuga, finalmente volontaria, che porterà il lettore in un viaggio verso un'America sconosciuta, fatta di paesaggi naturali, di terre aperte, di nuove speranze... Tutto si interrompe con questo ultimo viaggio, non c'è un finale e l'impressione che ho avuto è che l'autore stesso si sia stancato della sua creatura e l'abbia abbandonata al suo destino per concentrarsi sugli scritti che in seguito lo hanno reso famoso.
Onestamente l'opera procede con difficoltà e non decolla mai. Karl è odioso, non prova empatia per il prossimo e non ne suscita nel lettore. E' presuntuoso, snob, usa affibbiare etichette al prossimo, è permaloso ma troppo presuntuoso per ammetterlo. La narrazione si dipana a scatti, episodi, quadri mal legati tra loro, non è un romanzo ben coeso ma sono piuttosto quattro racconti tenuti insieme precariamente e non credo che Kafka sarebbe contento di sapere che lo stiamo leggendo non tanto perché incompiuto ma per la totale mancanza di una revisione finale che leghi i diversi episodi.
Positivo, molto positivo invece è il mio giudizio sulle descrizioni della scena urbana americana: l'attenzione è rivolta alle persone che si muovono sulla scena più che agli oggetti o all'ambiente, la città americana appare un formicaio di macchine e persone operose, veloci, in constante movimento dentro e fuori dagli edifici. Si avverte la velocità delle macchine nelle scene esterne, il brulicare di persone come insetti e nelle scene di interni l'impressione del movimento e della velocità è, se possibile, ancora più forte, come l'acqua in un tubo scorre più veloce nei punti in cui la sezione del tubo si restringe così nelle scene d'interno tutto sembra muoversi più velocemente, cose, persone e pensieri.
E' la velocità di questo Mondo Nuovo stereotipato, mai visto dall'autore ma sentito narrare da chi c'era stato. E' all'Hotel Continental che il movimento raggiunge l'apoteosi con decine di persone che vanno o aspettano e quando aspettano si percepisce la fretta, l'ansia quando l'attesa si prolunga, tutto al ritmo di lavoratori, fattorini, ascensoristi, portieri, clienti, tutti indaffarati, tutti risucchiati in un vortice inarrestabile.
Il contrasto di questo eterno movimento con i dialoghi bizzarri e inconcludenti ha l'effetto di una brusca frenata improvvisa, l'opera procede così: accelerazioni e frenate, accelerazioni e frenate e mentre di solito il lettore è portato a saltare le descrizioni per tuffarsi nei dialoghi e nell'azione dei personaggi nella lettura di questo libro si prova il desiderio contrario: il desiderio di saltare il racconto bizzarro per concentrarsi piacevolmente sulle descrizioni, una finestra aperta sull'America immaginata da Kafka.
Il monito per il lettore potrebbe essere quello di farsi i fatti suoi e non impicciarsi delle opere che gli autori hanno lasciato incompiute.
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