C'è poco da dire su questo testo
Molto... molto poco. La cosa principale è che si tratta di un'opera non pubblicata che forse Verga non avrebbe mai voluto leggessimo poiché in seguito ci rimise mano completamente pubblicandolo con il titolo "Tigre Reale"
Siamo nel 1873, Verga ha passato la trentina e ha già pubblicato Storia di una Capinera con Lampugnani, adesso è nelle mani dell'editore Treves, alla ricerca della ricetta per il romanzo perfetto, l'intento è ambizioso e il risultato... una catastrofe, un orrore letterario che vira pesantemente al comico quando vorrebbe essere tragico.
E' un'opera che si legge con infinita tenerezza, si vede che Verga prova in tutti i modi a sfondare: sceglie un tema in voga, la mondanità russa, la malattia letteraria per ecellenza, la tisi, un linguaggio pieno di aggettivi aulici, sceglie di interpuntare l'opera con epistole nel tentativo forse di rendere più verosimile il racconto e catturare la partecipazione del lettore. Sceglie lo stereotipo della donna gatto e dell'innamorato perduto per compiacere il più possibile il lettore, viaggi in treno, frenesia ma quello che ottiene è un gran papocchio a tratti illeggibile, scoordinato, a tratti parodico dei grandi romanzi ottocenteschi, una macchietta.
E non stupisce che non sia stata pubblicata: questa storia era vecchia ancora prima di essere scritta.
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