lunedì 13 agosto 2012
Twitter, #SkyOlimpiadi e il futuro dei mezzi d'informazione
E' trascorso anche il sedicesimo giorno di olimpiadi non-stop con buona pace del coniuge che al quarto già non ne poteva più.
A differenza delle passate edizioni queste sono decisamente Twittolimpiadi con commenti real-time che ti aggiornano sui risultati di tutti gli atleti. La medaglia d'oro dell'informazione olimpica spetta di diritto a @SkySport che con i suoi cinguettii a raffica ha fornito agli appassionati un newsfeed indispensabile.
Qual è la novità visto che di cinguettii olimpici è pieno il web? L'innovazione sta nel coinvolgimento degli spettatori, invitati a twittare con l'hashtag #SkyOlimpiadi. Ai tweet più simpatici, coinvolgenti, emozionati o emozionanti spetta l'onore del retweet, a fine giornata si tirano le somme e la rete assegna le medaglie d'oro argento e bronzo agli utenti più retwittati ed è questa l'arma vincente di Sky Sport: più guardi e più twitti e più ti retwittano più guardi. Cronisti e commentatori rispondono se interpellati e, ammettiamolo, un conto è se ti risponde il tuo vicino di casa, un altro è se a prenderti in considerazione sono LiaCapizzi o i fratelli Marconi.
Gli altri?
Dinosauri.
I media delle news ignorano i loro follower: Gazzetta, Ansa, Rai ignorano i loro utenti che rilanciano e commentano le notizie cadendo miseramente nel vuoto. I giornalisti sportivi delle altre reti? Mummie. Cercano disperatamente di creare dei meme ma non se li fila nessuno e del resto neanche loro si cagano i follower. Al massimo si limitano a rispondersi e retwittarsi tra di loro (o a riportare onanisticamente i complimenti ricevuti).
Durante gli Europei di calcio avevo letto Zazzaroni dire che non prendeva in considerazione commenti da chi non aveva visto giocare qualche calciatore del passato il cui nome si perde nella storia degli album Panini, Paola Ferrari si è messa in testa di querelare Twitter scatenando così un effetto Streisand senza precedenti in Italia (cercate #querelaconPaola per credere). Nel frattempo Selvaggia Lucarelli @stanzaselvaggia, in barba a tutti i signori commentatori del pallone, riusciva a coinvolgere le femminucce con l'hashtag #eurofighi e ricomponeva così le coppiette che normalmente in tempi di calcio scoppiano: gli ometti a tifare e le donnine a twittare, tutti uniti davanti al calcio (dispiace dire che il successivo #fighiolimpici non ha avuto lo stesso eclatante successo).
Pensando a tutto questo mi chiedo se sia questo il futuro dell'informazione.
Se da una parte si cerca di imbavagliare la libertà di espressione con la bandiera del diritto d'autore dall'altra, sempre di più, i media prendono spunto da siti come Youtube e Youreporter per i loro servizi, i blog sono visti sempre di più come punto di riferimento e social come Twitter riescono a diffondere informazioni anche in casi estremi o quando le redazioni dormono (si pensi ad esempio all'importanza che ha rivestito in occasione dello Tzunami del 2011 o del terremoto d'Emilia).
L'informazione diventa social. Questo non vuol dire che ognuno dice quel che gli pare e assurge direttamente a fonte: se dici sciocchezze resti un cazzaro, con o senza Twitter. Significa semplicemente che forse in futuro i media saranno destinati sempre di più a lanciare le notizie... e a noi il gusto di commentarle, di essere rilanciati, smentiti o sputtanati (è un'arma a doppio taglio), a noi il compito di porre domande per ottenere risposte. Se questo è il futuro dell'informazione beh, mi piace.
Alle cariatidi dell'informazione/tv/stampa suggerisco un bell'articolo di Jericho Technology, uno che mi sono ritrovata tra i follower e che ho iniziato a seguire (perché un follow non si nega a nessuno, tanto poi ci sono le liste che filtrano quello che non voglio leggere), svela i sette segreti per un marketing efficiente via Twitter, e può interessare sia alle aziende sia ai personaggi vìppese. Io a questo eptalogo aggiungerei solo un "tweek back".
E adesso scusate tanto ma un minimo di autocelebrazione ci vuole.Della serie "popolare per un giorno", sabato 4 agosto ho avuto decisamente il mio momento di gloria grazie a un cinguettio su Jessica Rossi, medaglia d'oro e record mondiale nella specialità fossa olimpica: 86 retweets, 10 nuovi followers una ventina di preferiti, medaglia d'argento nei retweets di SkyOlimpiadi e citazione in diretta alla trasmissione Terzo Tempo di Sky Sport. Domenica pure la citazione nell'articolo "Medaglia d'oro a Twitter, ma certi twitteri sono da squalifica" su Quale Futuro. Non paga di ciò mi sono beccata una nuova citazione ieri sera su SkySport prima e dopo la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi.
SO' SODDISFAZIONI
PS. L'immeginetta carina l'ho presa da qui.
lunedì 24 ottobre 2011
Il tempo crea gli eroi
Solo il tempo ci dirà se domenica 23 ottobre 2011 è nato un mito.
Solo il tempo ci darà l'eredità di Sic.
Io me ne sto ancora nel limbo, tra incredulità e rassegnazione.
Perché quando se ne va una persona cara c'è rabbia e disperazione ma quando a lasciarci è un eroe non so davvero cosa pensare.
Marco Simoncelli era un eroe, come tutti quei ragazzi che domano i cavalli a bordo delle due ruote a 300 all'ora. Quelli che quando piegano baciano l'asfalto. Quelli che scivolano e ruzzolano e si rialzano correndo con l'aria di chi ha appena preso un gran calcio nel sedere.
Illesi.
Immortali.
Perché se ti fai male non sei altro che un patacca che ancora deve imparare come cadere.
Perché la moto, da che mondo è mondo, quando la ruota perde aderenza, scivola via all'esterno: il centauro molla il gas e accompagna la moto nelle vie di fuga.
Cosa diavolo ti è passato in mente di restare aggrappato a quella manopola?
mercoledì 12 ottobre 2011
Cartier Bresson: Una questione di soggetto
Sabato 8 Ottobre 2011. Penultimo giorno per visitare la mostra di Henry Cartier-Bresson al Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri di Verona.
Giornata fresca e assolata.
Fuori, un'orda di turisti prende d'assalto la città, teleobiettivi da reporter e borse piene di shopping.
Dentro, una discreta affluenza, silenziosa, a tratti assorta, a tratti distratta.
Nel percorso le fotografie si srotolano una dietro l'altra e una sull'altra. A volte si torna indietro per afferrare qualcosa che a prima vista era sfuggito ma che rimuginando torna alla mente.
Per ogni immagine si fanno strada come un tormentone le stesse domande:
Chi è il soggetto?
Dove è il soggetto?
In alcune foto, principalmente i ritratti, il soggetto può apparire chiaro: è a fuoco, nitido, in primo piano ma sempre inquadrato nel contesto per lui più rappresentativo o familiare. Così il ritratto del filosofo-scrittore Jean-Paul Sartre potrebbe sembrare una banale fotografia dell'artista ripreso in un qualsiasi luogo di Parigi se non fosse che analizzando meglio la composizione e la geografia del luogo si scopre che il luogo della ripresa è il Pont des Arts a Parigi (e questo ce lo dice lo stesso Bresson nella didascalia della foto), la figura dell'artista è rivolta verso il Palais du Louvre e alle spalle, avvolta nel bruyard parigino, la Bibliothèque Mazarine.
William Faulkner viene ritratto nel giardino di casa sua, distrattamente impegnato a guardare altrove e dietro di lui giocano i suoi due cani; lo scultore Alberto Giacometti è ripreso impietosamente mentre attraversa la strada sotto un'intensa pioggia e Saul Steinberg rilassato in compagnia di un gatto passeggero. Non ci sono flash o luci soffuse, nessuno guarda in camera sorridendo plasticosamente. Le figure ritratte sono assorte nei loro pensieri, in conversazioni con altre persone e rimandano lo sguardo e la mente dell'osservatore (noi) ad altri luoghi, altri soggetti, altre domande. A cosa stanno pensando? Con chi stanno parlando? Cosa stanno guardando?
Nelle fotografie di paesaggi urbani molto spesso viene da chiedersi se Bresson sapesse davvero fotografare: soggetti in secondo o terzo piano, fuori fuoco, mossi, in un rimando continuo, giochi di sguardi e di rimandi che spostano l'attenzione da un punto all'altro dell'immagine alla ricerca del soggetto nel dipanarsi delle geometrie urbane di linee rette, oblique, curve che a volte sostengono e altre ingannano lo sguardo del fruitore.
Talvolta non è tanto il "cosa" o "chi" che importa. E' il "come".
Come - in movimento - a dispetto della staticità dell'ambiente circondante.
Come - assorto - in pensieri che rimandano altrove.
Come - attento - coinvolto emotivamente in qualcosa che si svolge oltre l'obiettivo, oltre la scena, alle spalle del fotografo.
Bresson sa cosa attira lo sguardo dei soggetti ma non gli interessa. I soggetti osservano uno spettacolo, un personaggio, un evento di importanza storica che assorbe totalmente la loro attenzione mentre per il fotografo ciò che è veramente importante è la reazione dell'Uomo a ciò che accade oltre l'obiettivo. E' la micro-Storia degli uomini che viene ritratta a discapito della Storia degli Eventi e dei Personaggi.
Giornata fresca e assolata.
Fuori, un'orda di turisti prende d'assalto la città, teleobiettivi da reporter e borse piene di shopping.
Dentro, una discreta affluenza, silenziosa, a tratti assorta, a tratti distratta.
Nel percorso le fotografie si srotolano una dietro l'altra e una sull'altra. A volte si torna indietro per afferrare qualcosa che a prima vista era sfuggito ma che rimuginando torna alla mente.
Per ogni immagine si fanno strada come un tormentone le stesse domande:
Chi è il soggetto?
Dove è il soggetto?
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Henri Cartier-Bresson 1946 FRANCE. Paris. Pont des Arts.French writer and philosopher, Jean-Paul SARTRE. 1946. |
William Faulkner viene ritratto nel giardino di casa sua, distrattamente impegnato a guardare altrove e dietro di lui giocano i suoi due cani; lo scultore Alberto Giacometti è ripreso impietosamente mentre attraversa la strada sotto un'intensa pioggia e Saul Steinberg rilassato in compagnia di un gatto passeggero. Non ci sono flash o luci soffuse, nessuno guarda in camera sorridendo plasticosamente. Le figure ritratte sono assorte nei loro pensieri, in conversazioni con altre persone e rimandano lo sguardo e la mente dell'osservatore (noi) ad altri luoghi, altri soggetti, altre domande. A cosa stanno pensando? Con chi stanno parlando? Cosa stanno guardando?
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Henri Cartier-Bresson 1933SPAIN. Andalucia. Seville. 1933. |
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Henri Cartier-Bresson FRANCE. The Var department. Hyères. 1932. |
Come - in movimento - a dispetto della staticità dell'ambiente circondante.
Come - assorto - in pensieri che rimandano altrove.
Come - attento - coinvolto emotivamente in qualcosa che si svolge oltre l'obiettivo, oltre la scena, alle spalle del fotografo.
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Henri Cartier-Bresson 1969 FRANCE. Haute-Garonne. Toulouse. Municipal stadium. 1969. Semi-final of the French Rugby Championship, 1st division. Bègles is playing against Dax. |
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Henri Cartier-Bresson BELGIUM. Brussels. 1932. |
Altre volte il fulcro dell'attenzione si trova al di là di un muro, una barriera, ed è sconosciuta allo stesso fotografo che tuttavia non se ne cura.
Tra le tante fotografie poi, una micro-storia tutta per noi.
Ci fermiamo attratti da una didascalia, "L'Aquila degli Abruzzi 1959". Mia mamma la guarda, sorride e racconta la sua infanzia a Ortona, in Abruzzo, quando la mattina del giorno di festa le donne del paese abbigliate di nero portavano le ramine (per noi teglie), piene di ogni leccornia, al forno per la cottura. Per le strade era un frusciare di abiti neri da lavoro, veloci e indaffarati e uno scorrere di profumi misti dolci e salati.
La fotografia non può rendere il suono del frusciare degli abiti né i profumi del forno, né i discorsi delle massaie.
Per quello servono i ricordi e chi li racconta.
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Henri Cartier-Bresson L'Aquila degli Abruzzi 1959 |
Tra le tante fotografie poi, una micro-storia tutta per noi.
Ci fermiamo attratti da una didascalia, "L'Aquila degli Abruzzi 1959". Mia mamma la guarda, sorride e racconta la sua infanzia a Ortona, in Abruzzo, quando la mattina del giorno di festa le donne del paese abbigliate di nero portavano le ramine (per noi teglie), piene di ogni leccornia, al forno per la cottura. Per le strade era un frusciare di abiti neri da lavoro, veloci e indaffarati e uno scorrere di profumi misti dolci e salati.
La fotografia non può rendere il suono del frusciare degli abiti né i profumi del forno, né i discorsi delle massaie.
Per quello servono i ricordi e chi li racconta.
lunedì 21 giugno 2010
Giovediamoci al Balì - Il cielo di Dante

In realtà non è che durante l'inverno me ne sia stata con le mani in mano e le zampe in casa ma con il sole tutto diventa più facile, persino svegliarsi la mattina dopo le uscite serali infrasettimanali che evito sin dai tempi del liceo.
Giovedì 17 c'è stata un'interessante serata a base di Dante e astronomia che ha messo d'accordo me e il Teo. Dante per me, astronomia per il Teo. E, visto che le cose belle sono ancora più belle se condivise, ci siamo portati dietro altri due amici.
Prima parte: introduzione alla Divina Commedia, lezione sui riferimenti astronomici nella DC, emisfero boreale e australe (australe poco ma che volete nel 1300), escursus sui personaggi che maggiormente hanno contribuito a darci la visione del cielo che conosciamo e spiegazione di molti di quei termini infernali che una persona a digiuno di cielo come me conosce per sentito dire e niente più.
Seconda parte: Planetario. Abbiamo percorso insieme a Dante il viaggio guardando nel cielo e ritrovando le stelle e i pianeti di cui parla nella sua opera.
Ma che bellezza!!!
Tutte quelle parole che al liceo sembravano senza senso finalmente si sono svelate, dischiuse.
Sono sicura che in ambito accademico l'opera di Dante venga sviscerata come pesce pescato ma chi li sta a sentire? Molto spesso argomenti interessanti rimangono chiusi all'interno delle aule dell'università a uso esclusivo di professori tromboni che fagocitano tutto come quei lontani parenti che chissà perché hai invitato al matrimonio e che al ricevimento si abbuffano.
E' bello poi che le guide del museo del Balì (definiti, ahimè, impropriamente "animatori" neanche fossimo alla Valtur") si cimentino in opere di ricerca accattivanti che attraggono visitatori e pubblico nei musei.
Eh sì perché nemmeno la presidentessa della Fondazione Museo del Balì ha saputo trattenere il suo stupore di fronte al gran numero di uditori in sala, speriamo che questo porti ad affrontare nuovamente il binomio astronomia-letteratura (o semplicemente astronomia e arte).
Tornando a casa in macchina col Teo ci siamo confrontati su quanto visto e su quanto si potesse ancora fare o approfondire... che possiamo farci? Non ci accontentiamo mai. Mille idee e mille altre soluzioni ma... andava bene così, non si può diventare esperti con una conferenza ed è lodevole quanto sia già stato fatto.
Risultato della serata?
Ho ritirato fuori la Divina Commedia alla ricerca dei passaggi illustrati durante la lezione per vedere di cavarci fuori dell'altro e soprattutto con il solito improponibile proposito di rimettermi a leggere,
un giorno,
questa volta per davvero,
quest'opera.
Chi sa che non impari anche ad apprezzarla come dovrei rimuovendo tutti gli atroci ricordi di liceale.
martedì 8 dicembre 2009
Ciao amore mio peloso

Sei nata sotto il sole di agosto mentre dal cielo cadevano stelle e il giorno del mio compleanno sei venuta a casa con me.
C'era una cucciolata di micetti rossi, grigi, tigrati e neri, tutti bellissimi, tutti già presi in braccio dai loro futuri padroni, solo tu restavi nel cartone, guardavi in alto, buona buona, e io dissi "Voglio lei". In casa nostra non c'era nulla per te e andammo insieme a fare shopping: lettiera, ciotola, trasportino e tra gli scaffali del negozio facesti finalmente sentire la tua voce.
Micia chiacchierona.
I cuccioli di casa giocano rincorrendosi la coda nel bidè, tu lo facevi in una ciotola d'argento; hanno un collarino con sonaglio, per il mio matrimonio ti mettemmo un bel fiocco bianco al collo; mangiano per terra, tu sempre a tavola con noi e negli ultimi anni avevi scelto il mio ginocchio, dove aspettavi il tuo turno.
Gattostoviglie.
Compravo mezzo pollo e ce lo dividevamo: la polpa succosa a te e gli ossi da rosicchiare a me poi, buttati i resti, dovevo coprire la spazzatura con qualcosa di pesante per impedirti di rumarvi dentro e continuare il pasto. Mi è capitato, tuttavia, di trovare ossi in giro, sotto il lettone, confidavi nel mio sonno pesante. Rubavi il cibo da tutti i piatti, a mia nonna rubasti un'intera bistecca per mangiartela con soddisfazione sotto una poltrona della sala, anche le torte al cioccolato ti piacevano, le pizzelle, i gelati, una volta afferrasti con i denti la mia fetta di tacchino e fuggisti sotto il tavolo, ti inseguii e, tenendoti sotto il braccio sinistro, ti strappai la preda dai denti, la rimisi nel piatto e continuai a mangiare. Eravamo un po' disgustose io e te: una forchetta in due, una patatina mangiata muso a muso.
Micia famelica.
Quando eri piccola dormivi sul mio cuscino e, quando studiavo alla scrivania, sulle mie spalle. Poi non ti bastarono più e decidesti che sotto la lampada da studio era molto meglio e io cercavo di non occupare il tuo spazio coi miei libri. All'università ti facesti sfrontata e decidevi tu quando dovevo prendermi una pausa per coccolarti, ti acciambellavi sui miei testi, io ti guardavo e ti chiedevo "Beh?", tu mi guardavi e rispondevi "Meh!", dimenticavo le pagine e ti stringevo forte al petto, sotto il mio collo, e la tua soddisfazione era la mia gioia. Ma le nanne più goduriose erano quelle sul divano, nei pomeriggi del fine settimana, non bastavano mai ed ero tutta per te. Hai sempre preferito la mia spalla sinistra, col musetto sotto il collo e la zampina destra ad abbracciarmi. Sotto la copertina si raggiungevano temperature altissime, mi toglievo i calzini e lasciavo uscire i piedi dalla coperta.
In casa con Matteo vigeva per te una regola strettamente rispettata: quando tu dormivi su uno di noi, questi era costretto all'immobilità assoluta, divieto di alzarsi, anche per andare al bagno, e, se squillava il telefono, si parlava sottovoce per non disturbarti.
A Sacile avevi la tua postazione preferita: una scrivania davanti alla finestra e vicino al termosifone, vi ponemmo sopra una copertina in pile e un cuscino, ogni tanto chiamavo Matteo e dicevo "Guarda la Micia", non facevi assolutamente nulla, dormivi e russavi, ma era tanto bello guardarti che ce ne stavamo così, imbambolati, il mento sulla mano, orgogliosi della tua bellezza e appagati dalla tua serenità.
A Fano un posto caldo per te non c'era nello studio, allora mi toglievo la vestaglia, la adagiavo in terra e tu ti ci acciambellavi sopra. All'inizio quante fusa di gratitudine, poi hai cominciato a pretenderlo: ti mettevi ai piedi della scrivania e "Mao, mao, mao, mao", fino a che cedevo, mi spogliavo, buttavo i vestiti ancora caldi per terra e tu eri contenta.
La notte mi salivi sul petto , "prrrr", e nel buio vedevo i tuoi occhioni cerchiati di ombretto bianco, ti accucciavi, riponevi le zampine sotto il petto, a gallinella, e aspettavi paziente che mi svegliassi.
Micia sonnacchiosa.
Eri sempre la prima ad accogliermi alla porta, dietro di te veniva il Pelosetto che si stiracchiava. Matteo dice che sentivi che stavo arrivando con minuti di anticipo.
Qualche volta tentavi la fuga, perché le porte chiuse a te proprio non piacevano, di solito chiacchieravi, contenta di poter parlare finalmente con qualcuno, "Cosa hai fatto oggi Micia?", mi raccontavi la tua giornata e io ti raccontavo la mia "Sai, ho visto proprio un bel gattone qui sotto". Il Pelosetto vuole solo coccole, tu da me volevi di più, mi trattavi alla pari, da gatto a gatto, ci soffiavamo, ci annusavamo, ruggivamo, incrociavamo il collo sul letto. Anche con gli ospiti eri una perfetta padrona di casa, con te il comitato d'accolgienza era al completo, prima li scrutavi dal basso annusando le scarpe, poi salivi sul tavolo per metterti muso muso con i nuovi venuti, infine decidevi: o non ti interessavano e ti ritiravi nei tuoi appartamenti, oppure decidevi che potevano anche andare bene e ti accoccolavi sul divano con noi, magari sulle gambe del malcapitato che sentiva le tue unghiette perforare i jeans e sfiorare la carne e guai a toglierti, altrimenti gambe e jeans erano perduti.
Che caratterino.
Già, carattere ne avevi, una volta il veterinario di Fano, vedendoti impaurita e tutta incollata a me, per rassicurarti, volle farti una carezza e si avvicinò più di quanto tu consentissi. E' stato bravo, bravo davvero a schivare la tua zampata che mirava alla giugulare. Bruno invece eliminò il problema alla radice: eri nel suo garage per una sosta breve e lui doveva passare proprio di lì. Ti vide, minacciosa e soffiosa, con la mente lo avevi già sbranato. Tornò sui suoi passi e preferì fare il giro tutto intorno alla casa piuttosto che scontrarsi con te.
L'apice delle malefatte lo toccasti a Bellocchi: avevi un terrazzo tutto per te ed eri felice perché da lì arrivavi sul tetto e potevi scaldarti al sole sulle tegole. Matteo una volta si affacciò e scoprì che invece lassù ci andavi a fare i bisogni senza il tormento del Pelosetto. Ci volle un pomeriggio intero per ripulire tutto ma io mi ammazzavo lo stesso dalle risate.
In fondo eravamo noi i tuoi complici, come quando in due ti sorreggevamo per aiutarti ad acchiappare le farfalline attorno al lampadario. Avevi due umani al tuo servizio. Oppure quando, durante la nevicata del 1996 a Verona, la prima della tua vita, ti portai nel parcheggio e ti appoggiai sulla Uno della mamma per farti sentire la neve, non ti è piaciuto proprio, camminavi col passo dell'oca scrollando le zampine infreddolite. Poi ti riportai in casa e ti asciugai e riscaldai per benino. Davvero il freddo non ti piaceva. Avrei dovuto comprarti una casa col caminetto e accenderlo solo per te. Sai che ronfate con quel calore?
Come si fanno a descrivere quattordici anni della tua e della nostra vita?
Le fette di tacchino, i rotolini al sole di primavera, i tuoni che ti facevano fuggire nello stanzino o sotto i mobili di cucina, il rumore di scatolette aperte che ti faceva accorrere subito, il tuo sentirmi prima che arrivassi sotto il portone di casa e la tua apprensione quando mi sentivi triste. Chi sa se sapevi cosa erano le lacrime, quest'acqua salata che mi leccavi dal viso e che ti faceva fare le fusa e strusciare il tuo muso contro il mio, mi guardavi con i tuoi occhioni grandi e buoni e tornavo serena.
C'era qualcosa tra me e te.
L'ultima volta ti ho coccolata io, sul letto, ti ho portato una scatoletta di tonno in una ciotola per cena e ci hai tuffato dentro il muso, poi hai stretto i denti e non ne hai più voluto sapere. Il Panico.
La corsa dal veterinario, tu mi guardavi in macchina e miagolavi piano, avevi ancora delle cose da dirmi, il corpo ti abbandonava ma tu eri ancora lì. Sul tavolo ti accarezzavo la zampina, i tuoi grandi occhi dentro i miei e tu mi parlavi ancora. Poi ti ha portata via, giù per le scale, e io non ti ho vista più. La notte si è fatta giorno e poi ancora notte fino a che non sono caduta anch'io nel sonno.
Sento che questo dolore mi unisce ancora a te e non voglio separarmene, voglio tenermelo stretto come stringevo te, coccolarlo, come coccolavo te, nutrirlo dei tuoi e dei nostri ricordi. Mi resta questo, tre unghiette, due crocchini, un ciuffo di pelo.
Adesso è il dolore a tenermi calda la notte, ha preso il tuo posto. Tu che eri con me, su di me, dentro di me. Tu che eri amore puro, calore umano, dolcezza infinita, riempivi le mie braccia e il mio cuore... quanto le ho sentite vuote e pesanti riportando a casa la tua cuccia vuota.
Vorrei ricordarti al sole di primavera, baciata dai raggi. Tutto quello che riesco a ricordare sono i tuoi occhioni spalancati, terrorizzati, e la tua voce a dirmi "non mi lasciare", in un ultimo sguardo infinito.
Sei nata col sole e il sole è stato sempre con te, nel tuo mantello, nei tuoi occhi. Da quando sei andata via la mattina c'è un gran nebbione e di giorno solo nuvole.
Novembre fa schifo.
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