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domenica 9 luglio 2017

ModenaModenaPark! Un viaggio nel tempo


Provo da una settimana a fissare le immagini, i suoni, gli odori di una giornata memorabile, una splendida giornata come direbbe LUI.

Il Primo luglio 2017 ha avuto inizio in realtà il 30 giugno nel momento di andarsi a coricare. Tutto era pronto. Pronti i vestiti, gli zaini, le scarpe, i viveri, tappi di plastica, tutto tattico, collaudato in decine di concerti che ormai ci rendevano veterani di live. Le bimbe le avremmo portate dai nonni a mezza mattinata per poi riposarci e definire gli ultimi dettagli del viaggio.

Già.
Il viaggio.

Era sempre stata nostra intenzione partire sul tardi della mattinata, mezzogiorno circa, sapevo già che strada dovevo fare, niente parcheggi organizzati che poi non se ne esce: avevo il mio quartiere di riferimento, Villaggio Z, appena sotto il Modena Park, residenziale, sconosciuto alla maggior parte dei 220.000, dovevo solo uscire a Modena Nord, uscita 17 e poi ce l'avrei fatta. Peccato che il casello di Modena Nord fosse chiuso a ogni tipo di traffico.
Chiamo l'Ivonne, la maestra delle elementari che è stata per anni vicina di casa della mia famiglia e mi conferma che stanno chiudendo le vie, chiusa la Giardini, penso di uscire a Modena Sud e accerchiare da Baggiovara ma era chiusa anche la Formigina e Jacopo da Porto. 
Mando Matteo a dormire dal momento che il giorno dopo doveva guidare, lo avrei raggiunto di lì a poco appena mi fosse passata l'ansia... invece rimango sveglia fino alle due a fare piani d'attacco alla viabilità modenese, le provo tutte registrando itinerari su Google Maps, trascrivendoli nel malaugurato caso scoppiasse il cellulare, dall'altro capo del telefono l'Ivonne mi mandava link di aggiornamento sulla viabilità.
Alle due crollo sul divano solo per svegliarmi alle cinque e mezzo, prendere una cofana di caffè e ricominciare da capo con gli itinerari, lo zaino, i biglietti cazzo, dove ho messo i biglietti? Ah, ok, sono al solito posto. Mica per niente ma ci è già capitato: partiti da Pordenone per andare al concerto di Eros a Padova, a Treviso mi sono resa conto di aver lasciato i biglietti in cucina... 
Per tutta la mattina in casa scavo un solco dalla sala alla cucina, dalla cucina in sala di nuovo, nel frattempo si sveglia la truppa e le bimbe non vedono l'ora di andare a fare vacanza dai nonni, benissimo, le portiamo in fretta così posso tranquillamente agitarmi a casa in attesa di partire. Devo aspettare le 13, orario concordato con Michi, collega, per incontrarci con lui e un suo amico e partire. Dopo un po' lo tartasso di messaggi: ma non possiamo anticipare? 15 minuti, 10? Fortunatamente il suo cellulare è mezzo schiantato e non riceve i miei messaggi farneticanti.
13 meno dieci, non resisto più e partiamo alla volta del pieno di gpl, ci incontriamo direttamente lì, sigarettina di decompensazione e...

VIA! Partiti per il ModenaModenaPark!

Autostrada deserta, scorriamo veloci e in un'ora e mezzo arriviamo a Modena Sud... mai successo! Mai successo sulla A14! Dopo Bologna richiamo l'Ivonne che mi dà indicazioni per raggiungerla, non avendo dove scrivere appunto la strada sul Signore degli Anelli... Tolkien non se ne avrà a male, dopotutto ha infarcito l'opera di canzoni e canzoncine perciò...
Prima rotonda a destra, seconda rotonda prendere la terza uscita e poi c'è un supermercato grande sulla sinistra... gli uomini in macchina prendono per il culo i riferimenti stradali donneschi ma raggiungiamo in due secondi, increduli, viale Amendola... strada deserta, posti auto deserti... ma davvero? Ma è la città giusta? Chiediamo numi a un indigeno, siamo a circa 3km dall'ingresso e non si vede una macchina... solo un lento, festoso fiume di gente di tutte le età a piedi o in bici.
Sono le 15, sulla Giardini ci prendiamo una birretta e chiacchieriamo con la barista e un avventore. Dilatiamo l'attesa del piacere, felici, con un sorriso ebete sulle labbra. Poi ci decidiamo a partire! Loro alla volta del Pit2 ingresso A.
Noi ci andiamo a prendere un caffè dall'Ivonne. 

Perché ModenaPark non è solo un concerto, è un viaggio nel tempo, nella mia infanzia, oltre la siepe della Giardini ci sono i palazzoni blu, il numero 15, casa. 

In un flash mi torna in mente il giorno in cui levai le rotelle dalla bici, i ruzzoloni giù per il garage, le scampanellate pomeridiane al compagno di classe che abitava un piano sopra, la collinetta verde con i cespugli pieni di scarabei, i miei Tati, le tigelle della Marisa e i Lego sotto il tavolo, Mimmo che mi voleva rubare i codini per dipingerci i muri, il misterioso CB del Tato, quella bimba vicina di casa che aveva per animale da compagnia una scimmietta, le macchinine con Valeriano, He-Man, il castello medievale dei Lego, il catalogo di Natale della Giochi Preziosi...


Il caffè dell'Ivonne è il più buono del mondo.

Dopo una mezz'oretta decidiamo che è tempo di andare ma mentre stiamo per imboccare lo stradone mi sento chiamare da una stradina, via del Luzzo, la seguo per dieci passi e a destra si apre il cortile della scuola elementare Don Milani.

Boom! Altra ondata di ricordi in faccia: i giochi della gioventù, la collinetta dove facevamo le foto di classe, i muretti e gli alberi dove ci arrampicavamo, le acrobazie, i cori di Natale...
Ci fermiamo lì fuori, sono quasi le cinque e ci concediamo una pausa per pranzare. All'ombra si sta bene, in giro non c'è nessuno, davvero i modenesi sono tutti andati via.
Percorro con la mente via del Luzzo fino alla chiesa, poco prima si gira a sinistra, si percorre un centinaio di metri e si è in pasticceria... il ricordo di quei bignè alla crema mi riempie la bocca... quasi quasi...
No. Ok. Mettiamoci in marcia, ci sono i controlli e non si sa quanto tempo ci vorrà per passarli.

Ci reimmettiamo nel fiume di gente felice e canterina, saltello, canticchio, Matteo è vigile accanto a me e ci scambiamo battute sugli spudoratissimi bagarini che gridano "Biglietto!!! Vendo un biglietto!!!", i due tipi appoggiati al palo dieci metri più in là hanno sicuramente la scorta di biglietti da qualche parte.

Poco dopo siamo dentro. Facciamo un giro intorno per vedere com'è la situazione e... WOW!!!


Un carnaio.
Teste, gambe, braccia, toraci, un mare umano in estasi che mangia, beve, canta e grida
Aleee Alealeale!
Vascoooooo
Vascoooooo

Eravamo 75.000 a Reggio per Italia Loves Emilia, 150.000 dagli U2 nel 1997, qui sembriamo non finire mai.
Impossibile entrare nel cuore del Pit3, non ci proviamo neanche, ci ritroviamo in un luogo ombreggiato tra il presidio dei Vigili del Fuoco e quello della Croce Rossa e stiamo bene lì, mentre la sera cala e i raggi del sole sono ancora caldi stendiamo gli asciugamani tra gli alberi e ci godiamo il pubblico rilassati, attorno a noi famiglie, tre generazioni di vaschisti, la più piccola che vediamo sta nella fascia di una mamma mora bellissima, i più anziani invece si son appropriati di una panchina.

Un parco qualunque, un sabato qualunque, se non fosse per le magliette, fascette, cappellini tutti vaschisti e per i fiumi di carrellini carichi di birra in bottiglie di plastica che ci passano davanti.

Matteo inganna l'attesa schiacciando un pisolino, io provo a leggere, impresa ardua in presenza di tanta umanità, sgranocchio caramelle gommose, bevo acqua.
La posizione è perfetta, ogni tanto passano sopra le nostre teste gli elicotteri, quello della polizia e quello SUO che ci guarda e si prepara... e ogni volta che sento il rumore mi viene da cantare The Wall dei Pink Floyd, è più forte di me.
E poi eccolo sugli enormi schermi il sole al tramonto, le note di Also sprach Zarathustra di Strauss... Nietzsche piace al Blasco, ogni tanto lo tira fuori nei suoi post, nelle interviste.
Silenzio per un istante e poi inizia la magia.

La magia di 220.000 persone che cantano e ballano sulle stesse note
Amo i concerti! 
La musica è una ma ognuno ci ritrova un ricordo, un attimo, una persona, un luogo e gli altri scompaiono e riappaiono. Vasco nasce in me nell'infanzia, quando con le compagne delle elementari si ascoltava di nascosto Coca Cola e Jovanotti a Sanremo aveva portato un testo che recitava "No Vasco, io non ci casco", gli anni Ottanta, da un lato i Supereroi positivi e dall'altro i cattivi drogati, Vasco era della mia terra ma ne veniva sputato fuori come erba cattiva, non era impegnato come Guccini, non era intellettuale come Dalla ma in qualche modo arrivava dritto come una cannonata e quando ti prendeva era per sempre, anche se non si andava a dirlo in giro.
In quinta elementare avevo una compagna di classe con due fratelli molto più grandi di noi che ascoltavano Vasco, mi fece una o due cassettine colme di ribellione: Fegato spappolato, Liberi Liberi, Dillo alla Luna... le cantavo a squarciagola senza comprenderne il significato. Liberi liberi la intonammo il giorno dei nostri esami di quinta, correndo per i prati.
Più grande era difficile non immedesimarsi in quella Giulia che si prendeva la vita che voleva, nell'anima fragile delle delusioni adolescenziali.
Testi semplici, musica in crescendo e quegli eeeeehhhhh, aaaaahhhhhh che quando li canti non puoi fare a meno che rivolgerti al cielo e spalancare le braccia.
Il mio Vasco è così, si canta guardando il cielo, petto in fuori, braccia larghe, il sorriso sulle labbra, agitando poi le braccia su di un'invisibile batteria. 
Per me sono solo messaggi positivi, la splendida giornata, vivere una favola, ogni volta che qualcuno si preoccupa per me... e l'incredibile quotidianità dei sabato del villaggio, di quell'asciugamano passato dopo la doccia, di quel ti voglio bene non l'hai mica capito... e dove mai si erano sentiti testi del genere? 
Eliminazione di aggettivi, avverbi, soppressione di tutto ciò che non sia sostanza, pensiero ridotto all'osso che permette al messaggio di arrivare dritto come un treno nei cuori che trova disposti ad ascoltare.

E poi c'è il sax!
Il sax nella musica rock che associo solo a Vasco e al Boss.
Perché non c'è nulla di più appassionante, sensuale e libero del suono di un sax in una canzone rock.
E ogni volta che ascolto quel sax soprano in Liberi Liberi mi spuntano le ali e sono di nuovo sui prati della mia infanzia.


Il mio viaggio nel tempo si interrompe per un po' e poi ritorno nel 1997, sempre Modena, un'altra vita, un nuovo incontro...

E oggi per me si festeggia quello, un'avventura che iniziò venti anni fa in un parco di Modena, parco Amendola, a due passi dal ModenaPark, iniziato con una corsa in due in motorino e sotto il cielo limpido a parlare di Ken il Guerriero. Dopo di allora avventure, chiacchierate, viaggi, concerti, studio, lavoro, due bimbe.

E allora il ModenaPark con i suoi fuochi d'artificio sul finale di Alba Chiara è anche per noi e per tutte le volte che guardandolo dormire a Torino e in tante altre città ho canticchiato
Tu che dormivi piano
Quasi non ti sentivo
Ed allungavo la mano
Tra le lenzuola il tuo viso
Io respiravo piano
In quel silenzio calmo
Il giorno entrava dal vetro
Più che indeciso sorpreso
Illuminava scontroso il tuo viso
Geloso o forse stupito
Ma ecco i tuoi occhi si schiusero appena
da quanto tempo sei sveglio?

Io sono qui da sempre anima mia

sabato 15 ottobre 2016

In Difesa di Bob Dylan


Il Nobel per la letteratura assegnato nel 2016 a Bob Dylan ha sollevato un polverone. Non ultimo lo scrittore italiano Alessandro Baricco, autore di Novecento, si è chiesto a mezzo stampa cosa c'entri Bob Dylan con la letteratura. 
Alle sei e trenta di mattina del giorno dopo me lo chiedo pure io.
Cosa c'entrano le canzoni con la letteratura?
C'entrano tutto.
Come piccola riflessione personale potrei citare il fatto che nel mio sussidiario delle elementari era riportato, tradotto in italiano, il testo di Blowing in the Wind e se ne stava lì a testa alta insieme ad A Zacinto di Foscolo e alla canzone del partigiano...
Risposta non c'è
Ma forse chi lo sa
Perduta nel vento sarà...
Allora la conobbi come un testo scritto, la portai a casa da leggere e scoprii che in effetti nasceva in musica così il giorno dopo a scuola noi gnappetti di circa otto anni c'è ne andavamo per i corridoi intonando la sua canzone come una promessa, una speranza di un futuro migliore.
Dopo la breve digressione tutta personale torno a chiedermi cosa c'entra Dylan con la letteratura?
Ovvero
Cosa c'entrano le canzoni con la Letteratura?
Cosa è la letteratura?
Omero è letteratura?
Catullo è letteratura?
Shakespeare è letteratura?
I trobadours del 1200 sono letteratura?
Se la risposta alle ultime quattro domande è sì allora le canzoni c'entrano eccome!
Catullo.
Mùltas pèr gentès et mùlta per aèquora vèctus
àdvenio hàs miseràs, fràter, ad ìnferiàs...
Gli accenti rivelano il sistema di vocali brevi e lunghe che caratterizzavano il latino e che è rimasto sparso qua e là nelle lingue romanze. Si provi a leggerlo ad alta voce assecondando l'andamento degli accenti e si scoprirà che è ritmo e musica, distico elegiaco per l'esattezza.***


L'epiteto utilizzato per Omero, o chi per lui, è aedo. Gli aedi nell'antica Grecia erano i poeti, figure al limite del sacro spesso raffigurati come ciechi, non distratti dall'umana volgarità.

ὁ μὴ ὁρῶν (ho mè horôn) "colui che non vede" - Omero

Prima della tradizione scritta di Iliade e Odissea ci fu la tradizione orale, un'insieme di canti tramandati da generazioni. La poesia non era scritta ma orale, recitata, ricordata grazie a stratagemmi come epiteti, rime, assonanze, ripetizioni e musica, era inscindibile dall'alternanza di brevi e lunghe, inscindibile dal ritmo e dalla musica.

Se l'oralità dei poemi omerici non consentì di stabilire edizioni canoniche la tradizione scritta, nel tentativo di ricostruire un testo quanto più possibile aderente all'originale, dovette tagliare, emendare, tralasciare parti e aspetti importanti, cosicché quando il testo iniziò a circolare in Occidente dopo la presa di Costantinopoli, grazie ai profughi orientali che portarono le maggiori opere trascritte, la musicalità si era perduta, soprattutto perché nel medioevo occidentale il greco non era una lingua studiata e conosciuta, non c'era familiarità con il suo suonoe ciò che si conosceva della cultura greca erano per lo più testi tradotti in latino, scritti, letti, non decantati.


Nel basso Medioevo esistevano i trovatori, compositori ed esecutori di poesia lirica in lingua occitana nella Francia meridionale. In seguito si diffusero anche in Italia settentrionale, in Spagna e in Sicilia alla corte di Federico II di Svevia. La poesia era cantata o dagli stessi trovatori (autori) oppure dai menestrelli, era musicata, spesso con accompagnamento musicale.

Prova dell'importanza che la musica rivestiva nelle liriche dei trovatori sono due delle diciotto composizioni di Arnaut Daniel delle quali sono sopravvissute le note musicali... Arnaut Daniel, colui che Dante definì "il miglior fabbro del parlar materno"... mica pizza e fichi.


Il fatto che l'accompagnamento musicale fosse spesso improvvisato, non canonizzato, non trascritto ha fatto sì che via via si tendesse a scindere la parola scritta dalla sua forma orale cantata stabilendo, forse neanche intenzionalmente, la supremazia della prima sulla seconda.


A sottolineare lo stretto legame storico della poesia con la musica e il ritmo restano le definizioni: Iliade e Odissea sono divise in Canti, la Divina Commedia è ripartita in canti, le raccolte di poesie del medioevo vengono definite Canzonieri, componimenti medievali venivano definiti Chansons (de geste, de croisade, de toile...) Shakespeare viene definito il Bardo, proprio a sottolineare la musicalità del suo pentametro giambico (altra alternanza di accenti) ed Ezra Pound, bistrattato, dimenticato genio letterario del Novecento, ha chiamato Cantos il suo poderoso poema incompiuto proprio in relazione e devozione alle Canso medievali, un altro "miglior fabbro", questa volta secondo il giudizio di T.S Eliot.


Quindi signor Baricco Bob Dylan c'entra eccome con la letteratura. Forse quello fuori posto è lei.


*** Negli anni degli studi ci sono tante nozioni che vengono via via dimenticate, sepolte sotto valanghe di altre nozioni, ricordi, liste della spesa, fotografie. Poi ci sono lezioni che sicuramente non riuscirò a dimenticare e ritorneranno alla mia mente a novanta anni quando non sarò in grado di ricordare cosa avrò mangiato a pranzo. Tra queste la metrica latina, quando il prof. De Micheli (latinista, matematico e musicista) dirigeva dalla scrivania la classe che intonava in metrica i versi di Catullo e Tibullo.

domenica 1 febbraio 2009

Carmen





Ieri sera, al teatro della Fortuna di Fano, era in scena la Carmen di Bizet.

Sospetto che i vecchiacci dell'organizzazione volessero da principio tenersi la cosa per sé ma poi, accortisi che erano rimasti biglietti invenduti, si sono precipitati a rendere noto l'evento con manifesti e annunci su RadioFano.

Così il Teo martedì mi dice che sabato c'è la Carmen a Fano...
lo guardo un po' e gli chiedo "Perché? Ti interessa?"
Non mi fido della sua risposta e gli rifaccio la domanda almeno altre due volte "Ci vuoi andare davvero?".
Alla terza risposta affermativa mi fido e compriamo i biglietti su internet.

Risultato:
palco di primo ordine, senza possibilità di sceglier il posto, e ci ritroviamo a teatro appollaiati su sgabelli foderati di velluto a mo' di pappagalli.

Va beh! La prossima volta eviteremo di fare gli sboroni e ce ne andremo in piccionaia... lì almeno quando stai seduto non hai le gambe penzoloni.

Però il teatro è carino, piccolo, neoclassico e soprattutto privo di quella sgradevole aria, misto di vecchio e polvere, che si respira in luoghi simili, anche perché, abbattuto durante i bombardamenti tedeschi della Seconda Guerra Mondiale, ha riaperto solo negli anni Ottanta (a noi il Petruzzelli ci fa un baffo).

L'allestimento è fuori dagli schemi e ricorda, in qualche modo lontano, le rappresentazioni come dovevano essere al Globe ai tempi di Shakespeare: l'opera si svolge in platea con pochi spettatori a circondare la scena, il coro seduto ai lati, sinistra donne, destra uomini (sì, è seduto e ci rimane per tutto il tempo), l'orchestra è sotto i palchi frontali e, sul palco, un megaschermo che rimanda immagini dal vivo e immagini di repertorio.

Ed è qui il bello: la commistione di sacro e profano, tempi del canone e tempi moderni, l'opera si sradica dal contesto ottocentesco e si proietta nella Spagna di Franco, sul finire della guerra civile (1938-39), e se ne rinforza nel significato: Carmen e i briganti non sono solo ribelli ma anime della Resistenza al Regime. 

L'atmosfera franchista si respira maggiormente nel primo atto: ai lati della scena manifesti di Franco, alle spalle scorrono immagini del Regime, le parate, le rappresaglie, la guerra civile, le lavoratrici nelle fabbriche di sigarette quando il coro intona il motivo de "la fumée" e i bambini del coro che intonano "Nous marchons la tete haute / comme des petits soldats" richiamano alla memoria i piccoli Balilla e la platea rumoreggia un po' quando si atteggiano nel saluto romano.

Ma poi arriva lei, la Carmencita, e si ritorna nell'atmosfera del canone con la danza popolare Hebanera "L'amour est un oiseau rebelle".

Anna Malavasi è brava, è giovane, è bella... è Carmen come deve essere. La sua è un'interpretazione intensa e coinvolgente e il suo sguardo, rimandato dallo schermo, incanta e ammalia.

Bizet l'avrebbe amata.

Si susseguono le arie celebri, quelle che ci portiamo dentro senza nemmeno sapere da dove vengano: "Près des remparts de Séville", "Carmen, je suis comme un homme ivre" e finalmente entriamo nella taverna di Lilias Pastia, una sorta di bordello. Grazie al gruppo di ballo Balletto del Sud di Lecce l'atmosfera si scalda fino a diventare rovente, l'orchestra e il coro salgono di intensità, sulla scena prende atto un vero baccanale.


La musica è così coinvolgente che per una frazione di secondo dimentico di essere in un palco di teatro circondata da signore impellicciate, sbraccio e dondolo le gambe penzolanti, mi vorrei lanciare sul palco e abbandonare il mio trespolo infernale ma poi ritorno in me.

Perché l'opera non può essere vissuta come un concerto di musica rock? Perché non si può cantare e ballare e lasciarsi coinvolgere dalla musica? Quello che viene richiesto sul prato di uno stadio davanti a Vasco diventa sconveniente in questo contesto parruccone e bisogna celare l'entusiasmo e rimandare indietro le lacrime che montano agli occhi. Persino il Teo, durante l'ouverture, guardando la mia faccia inebetita davanti lo spettacolo, si è girato e mi ha detto di risollevare la mascella, che nel frattempo era caduta.

Quando entra Escamillo, il torero, mi sono già ripresa e subito gelata: se ne va talmente per conto suo che il direttore d'orchestra è costretto a cambiare ritmo e rallentare per farlo rientrare nella musica. Il pubblico non sembra rendersene troppo conto, del resto è l'unica imperfezione notevole della rappresentazione e viene subito dimenticata.

Alla fine del secondo atto, Carmen e i briganti decidono di rifugiarsi sulle montagne e di portare don José, brigadiere della guardia, innamorato di Carmen, con loro. Il superiore di don José tenta di fermarli ma viene bloccato, legato a una sedia e obbligato a guardare Carmen che, davanti ai suoi occhi, riduce in brandelli un manifesto di Francisco Franco, intonano il motivo di "la liberté" e il saluto romano del primo atto viene sostituito dal pugno chiuso riportandoci al tema della Resistenza.

I restanti due atti non posseggono la stessa intensità musicale dei precedenti ma non è colpa di questa messa in scena, forse semplicemente Bizet aveva già detto quello che voleva dire e doveva trovare un modo per concludere l'opera.

Accade anche nella letteratura e nel cinema che gli autori, presi da un tema coinvolgente, scoprano che il soggetto sfugge dalle mani e siano obbligati a riportarlo sui binari, a volte in modo banale. E' un difetto intrinseco di quest'opera ma non se ne può volere troppo a Bizet che, comunque, ha dato vita a un'opera coinvolgente nella trama e nelle musiche.

Nella celebrazione degli artisti la Malavasi è stata accolta da una meritata ovazione con lancio di rose.

Per un attimo mi sono aspettata che l'orchestra si rimettesse a suonare il tema della Corrida con battimani del pubblico a tempo come al concerto di capodanno di Vienna sulla marcia di Radetzky.

Ma non siamo davanti a Vasco, siamo all'opera, e bisogna frenare l'entusiasmo.

sabato 3 gennaio 2009

Where the Hell is Matt? (2008)

Buon anno a tutti.

Di sicuro i viaggi danzanti di Matt intorno al mondo non sono una novità dopo che sono stati riportati da giornali e televisione.

Lo riporto anch'io su queste pagine come augurio pe un sereno 2009, a passo di danza e tempo di musica.

E' che c'è qualcosa di magico, di ipnotico e commuovente in questo ballerino che percorre il mondo con il suo stacchetto, sempre uguale, sempre sorridente, solo o circondato da bambini, tra monumenti antichi e nuovi, nell'attualità di Panama e dei suoi container, a gravità zero con gli astronauti della NASA o con le ballerine indiane.

Non so perché ma c'è poesia in tutto questo ed è con la poesia che voglio aprire questo 2009, con la speranza che Matt venga a ballare anche qui da noi.

sabato 11 ottobre 2008

Nabucco nelle terre di Verdi





Parma era bellissima.

Un’elegante signora, nel suo abito più bello, l’ho vista adagiata lasciva sui prati, baciata da un tiepido sole d’ottobre.

La veste sobriamente infiorata, i capelli inanellati raccolti.

Nella mia mente profumo di violetta e l’immanente presenza di Maria Luigia e di un rigore che col trascorrere del tempo non vuole svanire.

Su strada della Repubblica passano ancora i tram e nell’aria l’odore di Parma che ricordo da sempre: forse un po’ di verderame, un po’ d’asfalto.

Verso metà pomeriggio, ancora a stomaco vuoto, decidiamo di assaporare la città fino in fondo. C’è un baracchino dietro alla Steccata che è il paradiso del colesterolo: tutt’attorno sono appesi salami, culatelli e grossi prosciutti succosi, ai lati forme di vero parmigiano (con tanto di matrice esposta) impilate a formare temporanei tavolini. Sembarva la casa di Hansel e Gretel. Il padrone del baracchino, che in realtà ha una florida azienda a Langhirano, è la personificazione della felicità, di quella felicità emiliana che trabocca da tutte le parti; un ragazzone di due metri, almeno così è parso a me, tanto alto quanto tondo, porta il suo pancione con fierezza tra i tavoli in barba ai prodotti dietetici, una sorta di Babbo Natale con il carro trainato da sei grossi maiali rosa. Lo spacciatore di colesterolo ha insistito per offrirci un buon bicchiere di lambro. Rifiutato ahi me! Sapevamo di dover tirare avanti almeno fino alle undici di sera e non si può certo dire che siamo dei nottambuli… sono pur sempre una marmotta.


Andiamo in albergo a cambiarci e darci una rinfrescata. Una settimana prima avevo chiamato mia madre, vera autorità in materia di occasioni mondane, e le avevo chiesto come mi dovessi vestire per una prima d’Opera, sottolineando il fatto che non avevo certo un palco ma un posto in piccionaia. Mi fa: “Ormai a teatro ci si va come al cinema, tieniti sul casual chic”. In realtà il discorso è durato un po’ più di così, è partito dalle scarpe per finire con l’acconciatura e la gioielleria… e poi credo che mia madre non sappia nemmeno cosa vuole dire “casual chic”. Diciamo che ne ho fatta una libera sintesi. La storia del cinema però non mi ha convinta. Io al cinema ci vado praticamente in pigiama. Magari lei ci va tutta impennacchiata.

Il foyer ribolle di gente tutta tirata, sembra di essere al concerto di capodanno. L’età media si aggira intorno ai sessant’anni, davanti a me un gruppo di allegre vedove discorrono con la nuova iscritta al club di quanto siano difficili i primi tempi, poi passa e ci si abitua a svitare i coperchi dei barattoli da sole.

Saliamo su, su fino alla piccionaia e ci sistemiamo sulle panche di legno.

Nella buca si stanno scaldando gli strumenti, mi pare di distinguere note di Puccini in una gradevole cacofonia.

Ci siamo… trattengo il fiato… si apre il sipario e sono in paradiso.

Sul viso mi si stampa un sorriso ebete che mi accompagna per tutti i quattro atti, sono divisa tra quanto appare sul palco e quello che vedo nella buca, per fortuna ho portato gli occhiali. I violini sembrano a tratti andare a fuoco, quello che attrae più la mia attenzione è il timpano che scandisce i tempi dell’opera mentre i legni si arricciano in volute armoniose.

Sul palco invece domina senza pudore la voce di Abigail, quando canta lei tutto scompare, la sua voce s’inerpica su pareti rocciose che sanno ancora di gorgheggi rossiniani, ultimo retaggio di una tradizione che va morendo. Va su, su, su, sembra non avere limiti e poi TAAAAA!!! Si arresta sul punto più alto dal quale pare non voler più scendere. E’ l’ira che parla per lei, la follia che parla per Verdi.

Solo a rubarle la scena, il coro. E’ il coro del Regio di Parma. Si sente.

Piano, pianissimo, una voce soffiata che riempie il teatro, ne permea dolcemente la struttura che risuona della sua voce.

Forte, fortissimo, la buca a stento gli sta dietro quando intona l’“arpa d’or”, un vento freddo che parte dallo stomaco e arriva allo stomaco. La panca sotto di me vibra alla stessa frequenza, mi sento tutta spettinata come se sotto quel vento di musica ci fossi veramente.

Dura troppo poco, vorrei non finisse mai.

Ha ragione Verdi: “la vita s’addoppia al gioir”.

Mi sento ancora diciassette anni sulla pelle.

Ah, se volete sapere come la mia sarcastica metà ha vissuto il fine settimana andate su suo blog

mercoledì 1 ottobre 2008

Prepararsi all'evento.


Mi sto preparando psicologicamente al mio prossimo compleanno.
29.
Come tata Francesca saranno 29, e poi 29+1, 29+2...

L'anno scorso la festa me l'hanno fatta nel senso che ero a letto con l'influenza e comunque le feste non mi piacciono.
Ogni anno ricevo telefonate da persone che non sento per un anno intero e si fanno vive solo quel giorno (a dire il vero, dopo qualche volta che non ho risposto... anche perché ero al lavoro, hanno smesso in molti), così mi trovo a sprecare minuti preziosi che dovrebbero essere dedicati a me, a parlare dell'ovvio.
Detesto feste e anniversari perché sono l'apoteosi dell'ipocrisia. Come stai? Quanto tempo! Non ci vediamo mai. Non ti fai mai sentire, Vieni a trovarci... e Teo? E ai figli ci pensate?
Preferisco i gatti. Loro non lo sanno che è il mio compleanno e fanno quello che fanno di solito, si leccano, mangiano, mi coccolano come tutti i giorni, mica solo quel giorno lì, mi si mettono sulla pancia e fanno prrr prrr .
Quest'anno fuggo.
Parto sabato mattina presto e lascio a casa il cellulare. In due ore di macchina dovremmo arrivare a Parma, che del resto è la mia città natale. Non ho ancora bene in mente il piano della giornata, credo che verrà stilato sul posto, le alternative sono tre: shopping e passeggiata per corso Garibaldi con capatina nella chiesa dove sono stata battezzata (se è aperta, visto che ormai le chiese sono chiuse al pubblico), visione del corteo del palio che si dipana per il centro, ebbene sì, il 4 e 5 ottobre c'è il palio, visita alla mostra sul Correggio, sempre che ci si riesca ad entrare perché sembra debba essere presa d'assalto e di passare il mio compleanno in coda non ne ho davvero voglia.

Ma la cigliegina sulla torta ce la metto la sera.
Qualche settimana fa, prendendo informazioni, ché l'idea mi frullava per la testa da un po, ho avuto una sorpresa che non mi è piaciuta più di tanto: al Regio di Parma il 3 ottobre c'è la Giovanna d'Arco, al Comunale di Reggio, il 4, il Nabucco.
Che faccio?
L'intenzione era quella di assistere a un'opera di Verdi al Regio di Parma il giorno del mio compleanno.
Non si può.
Metto sulla bilancia le due possibilità: Giovanna d'Arco al Regio o Nabucco al Comunale?
Stesso peso: per me la bellezza dell'opera sta anche nel contesto in cui l'opera viene prodotta e VOLEVO assistere a uno spettacolo al Regio, anche se la Giovanna d'Arco non mi attira più di tanto.
Ero, come al solito, alla scrivania di casa, fissavo lo schermo con le due alternative. Ore. Facevo quello che dovevo fare e poi ritornavo sulla pagina delle prenotazioni.
Poi ho guardato Matteo che già si deve sorbire un viaggio e l'opera per amore mio... la Giovanna d'Arco no, non posso fargli anche questo.

Ho scelto il Nabucco a Reggio, Parma me la godrò di giorno.

Quindi sabato (e domenica) non ci sarò, non posterò e non potrò neanche visitare gli articoli dei miei compagni di viaggio.
Torno domenica, cercherò di rifarmi, tra la visione della F1 e il campionato dovrei potercela fare.

E a proposito di campionato... il miglior regalo è stata sicuramente la vittoria del Derby

mercoledì 10 settembre 2008

Un'esperienza di sensi


Qualche giorno fa, una domenica, navigando su You Tube decisi di provare.

Tanti anni fa, guardando per la prima volta Philadelphia di Tom Hanks, rimasi colpita dalla scena che vedeva lui, attaccato a una flebo, aggirarsi per casa e in un sottofondo crescente le note dell'Andrea Chenier di Umberto Giordano. Mi resi conto allora, ma in fondo l'avevo sempre saputo, del grande potere evocativo della musica che sovrasta quello delle parola. Ho sempre pensato a quel brano negli anni, lo ho considerato quasi come un amico, uno di quelli che non si fa mai sentire ma che probabilmente un giorno farà capolino dalla buca delle lettere, o dalla porta. Ebbene l'amico ha fatto capolino quella domenica.
Ho digitato Andrea Chenier Maria Callas e... toh! Chi si rivede... poi, non paga, ho seguito gli altri video proposti da You Tube e ne ho fatto man bassa nei preferiti. Tante interpretazioni della Callas "simpaticamente" diretta da un giovanissimo George Pretre, lo stesso che al concerto di Capodanno di quest'anno ha tirato fuori un pallone da calcio salutando così l'anno di Euro2008 Austria-Svizzera.
La prima volta non si dimentica... la prima volta all'opera fu per la Madama Butterfly, non ne sapevo nulla e detti una letta veloce al riassunto del libretto che mi avevano passato. Si mostrò la scenografia e... stupore, un enorme struttura a mo' di quadro svedese, bianco e nero, tutta la rappresentazione poggiava sui colori bianco, nero, rosso. L'Arena di Verona era essa stessa spettacolo, gremita di persone sembrava tuttavia non riempirsi mai, come a dire "Sono qui da sempre, resterò dopo di voi, non importa quali diavolerie mi porterete, io resto". Le luci si abbassavano e si accendevano le candeline, rianimata consuetudine che ebbe origine ai tempi delle prime rappresentazioni all'Arena, quando l'impianto elettrico non c'era e per leggere i libretti si ricorreva a candele in cera.
Quando tornai per il concerto di Eros le candeline erano state sostituite dai colorati schermi dei telefonini.
Nel lungo tramonto di luglio la luce del sole lontano disegnava a tinte forti i margini frastagliati del grande Teatro.
C'era poesia in tutto questo.
La serata era perfetta, senza vento, e si riusciva a udire ogni singola parola in canto. Madama Butterfly era Raina Kabaivanska in una delle sue ultime apparizioni.
Non ricordo come cominciò, ricordo solo che era da poco iniziata l'ultima scena del primo atto, dopo il matrimonio, la prima notte di Butterfly e Pinkerton, il duetto che mi fece sua. Cominciò con una fitta dolorosa alla bocca dello stomaco e si sfogò con un'esplosione che non riuscii a prevedere. C'era un ciccione tedesco davanti a me, innocentemente appisolato accanto a sua moglie che lo guardava con aria di rimprovero mista a vergogna. Sobbalzarono entrambi al primo singhiozzo e mi guardarono minacciosi. L'aria terminò, io continuai a dirotto per tutta la durata dell'intervallo.
Si rispensero le luci nell'Arena e ritornai in me, cercando di rivivere quell'emozione... 


Se ne era andata.

Ogni volta che ascolto l'opera cerco di recuperare quel sentimento catartico, non funziona, la mia mente sente che sto ricostruendo un'emozione e si rifiuta di collaborare.
Era la prima volta all'opera.


giovedì 3 luglio 2008

Elisa


MILANO - Il sogno di sbarcare con la sua musica in Nord America era da sempre chiuso in un cassetto che non osava aprire. Ma Elisa, ci ha insegnato che bisogna sognare di essere un cigno e prima o poi, qualcosa viene. A lei il sogno americano le è piombato addosso per caso, grazie ad iTunes, dove con il passaparola ha venduto 80 mila copie del singolo «Dancing». Da qui, è nato il progetto di un disco che raccoglie le canzoni che lei vorrebbe far ascoltare ai suoi idoli. Il titolo è «Dancing» e uscirà in Usa, il 15 luglio e in Canada, il 19 agosto. A novembre promuoverà l’album in una tournée per 16 club americani.
Corriere della Sera 02 luglio 2008

E' bellissimo quello che internet può dare, lo dico proprio io che ho scoperto molto tardi questo strumento, che lo ho vituperato a lungo perchè non sapevo come utilizzarlo ma che proprio qui sto trovando uno scopo alle mie letture.
Che senso ha acquisire conoscenza se poi non la si mette a frutto, leggere per passione se poi non se ne fa nulla.
Ho creduto, a lungo, che mi potesse bastare tenere per me le riflessioni, le note, gli appunti, quel diario che da anni utilizzo per annotare le parole che più mi hanno colpita e i pensieri che ne sono scaturiti.
Non bastava più.
Questo potente mezzo dà a chiunque il modo per farsi ascoltare, fosse solo da una persona sconosciuta, ha realizzato il sogno di una cantante lì dove le potenti case discografiche non hanno potuto.
Chi ha un minimo di interesse per la danza sa che "Dancing" era già stata utilizzata per la colonna sonora di "A time for dancing" e che altre sue canzoni, in lingua inglese si possono ascoltare in altri film.
Viene forse da ripensare il ruolo stesso delle case editrici: il video su You Tube è stato visto 1milione di volte, il singolo ha venduto 80mila copie.
Chi deve oggi ringraziare Elisa?
Forse la sua casa editrice che, forte del cartello, si scaglia contro la musica scaricata?
Sono i dischi che portano a scaricare musica o la musica scaricata a far comprare i dischi?
Cosa è più importante? Il contenuto, la musica, o il suo contenitore, il cd?
Nel diciannovesimo secolo i compositori come Bellini e Donizetti si indignavano e infuriavano perché le arie delle loro opere venivano strimpellate fuori dai teatri da suonatori mendicanti ma non ha forse questo contribuito a creare loro fama? A diffondere le loro opere? A spingere un pubblico più vasto ad assistere alle loro rappresentazioni?
Non ha forse questo contribuito alla loro immortalità?
Oggi ero in spiaggia e, apprestandomi a fare un bagno, ho sentito un cellulare che squillava intonando un'aria della Carmen di Bizet (Toreador en garde, Toreador, Toreador...". E' possibile che il possessore del telefonino l'avesse scelta solo perché gli piaceva la musichetta... ma è anche possibile che sapesse di cosa si trattava, è possibile che qualcun altro abbia memorizzato incosciamente il motivetto molto musicale, è possibile che lo abbia ritrovato per caso suonato alla televisione, che si sia incuriosito e che sia finito per trovarsi seduto su una poltroncina di teatro a vedere la Carmen, senza nemmeno immaginare che la sua curiosità era nata al mare.
Magari non è così ma mi piace pensarlo, mi piace pensare alla casualità dell'informazione, mi piace pensare che ci siano persone curiose che ricercano la fonte del loro piacere, un po' come il processo contrario del rumours: io dico a te, che dici a lei, che dice ad altri... e il messaggio si altera, il canale si allarga lasciando passare le interferenze. La parte divertente è quella della ricostruzione del messaggio originale, della fonte originale.
Quando da adolescente si era sparsa la voce che io avevo tradito il ragazzo con cui stavo mi ricordo che ho preso un grande piacere nella ricerca della fonte primaria di tale voce e una soddisfazione ancora maggiore nel trovarla, afferrarla alla gola e sbugiardarla di fronte a tutti. E' stato sicuramente meglio per me così piuttosto che convincere tutti a uno a uno, meno fatica e miglior risultato.
Comunque...
congratulazioni Elisa e in bocca al lupo.

Foto: Carmen, (locandina estratta dal sito www.festivalopera.it)