Ieri sera, al teatro della Fortuna di Fano, era in scena la Carmen di Bizet.
Sospetto che i vecchiacci dell'organizzazione volessero da principio tenersi la cosa per sé ma poi, accortisi che erano rimasti biglietti invenduti, si sono precipitati a rendere noto l'evento con manifesti e annunci su RadioFano.
Così il Teo martedì mi dice che sabato c'è la Carmen a Fano...
lo guardo un po' e gli chiedo "Perché? Ti interessa?"
Non mi fido della sua risposta e gli rifaccio la domanda almeno altre due volte "Ci vuoi andare davvero?".
Alla terza risposta affermativa mi fido e compriamo i biglietti su internet.
Risultato:
palco di primo ordine, senza possibilità di sceglier il posto, e ci ritroviamo a teatro appollaiati su sgabelli foderati di velluto a mo' di pappagalli.
Va beh! La prossima volta eviteremo di fare gli sboroni e ce ne andremo in piccionaia... lì almeno quando stai seduto non hai le gambe penzoloni.
Però il teatro è carino, piccolo, neoclassico e soprattutto privo di quella sgradevole aria, misto di vecchio e polvere, che si respira in luoghi simili, anche perché, abbattuto durante i bombardamenti tedeschi della Seconda Guerra Mondiale, ha riaperto solo negli anni Ottanta (a noi il Petruzzelli ci fa un baffo).
L'allestimento è fuori dagli schemi e ricorda, in qualche modo lontano, le rappresentazioni come dovevano essere al Globe ai tempi di Shakespeare: l'opera si svolge in platea con pochi spettatori a circondare la scena, il coro seduto ai lati, sinistra donne, destra uomini (sì, è seduto e ci rimane per tutto il tempo), l'orchestra è sotto i palchi frontali e, sul palco, un megaschermo che rimanda immagini dal vivo e immagini di repertorio.
Ed è qui il bello: la commistione di sacro e profano, tempi del canone e tempi moderni, l'opera si sradica dal contesto ottocentesco e si proietta nella Spagna di Franco, sul finire della guerra civile (1938-39), e se ne rinforza nel significato: Carmen e i briganti non sono solo ribelli ma anime della Resistenza al Regime.
L'atmosfera franchista si respira maggiormente nel primo atto: ai lati della scena manifesti di Franco, alle spalle scorrono immagini del Regime, le parate, le rappresaglie, la guerra civile, le lavoratrici nelle fabbriche di sigarette quando il coro intona il motivo de "la fumée" e i bambini del coro che intonano "Nous marchons la tete haute / comme des petits soldats" richiamano alla memoria i piccoli Balilla e la platea rumoreggia un po' quando si atteggiano nel saluto romano.
Ma poi arriva lei, la Carmencita, e si ritorna nell'atmosfera del canone con la danza popolare Hebanera "L'amour est un oiseau rebelle".
Anna Malavasi è brava, è giovane, è bella... è Carmen come deve essere. La sua è un'interpretazione intensa e coinvolgente e il suo sguardo, rimandato dallo schermo, incanta e ammalia.
Bizet l'avrebbe amata.
Si susseguono le arie celebri, quelle che ci portiamo dentro senza nemmeno sapere da dove vengano: "Près des remparts de Séville", "Carmen, je suis comme un homme ivre" e finalmente entriamo nella taverna di Lilias Pastia, una sorta di bordello. Grazie al gruppo di ballo Balletto del Sud di Lecce l'atmosfera si scalda fino a diventare rovente, l'orchestra e il coro salgono di intensità, sulla scena prende atto un vero baccanale.
La musica è così coinvolgente che per una frazione di secondo dimentico di essere in un palco di teatro circondata da signore impellicciate, sbraccio e dondolo le gambe penzolanti, mi vorrei lanciare sul palco e abbandonare il mio trespolo infernale ma poi ritorno in me.
Perché l'opera non può essere vissuta come un concerto di musica rock? Perché non si può cantare e ballare e lasciarsi coinvolgere dalla musica? Quello che viene richiesto sul prato di uno stadio davanti a Vasco diventa sconveniente in questo contesto parruccone e bisogna celare l'entusiasmo e rimandare indietro le lacrime che montano agli occhi. Persino il Teo, durante l'ouverture, guardando la mia faccia inebetita davanti lo spettacolo, si è girato e mi ha detto di risollevare la mascella, che nel frattempo era caduta.
Quando entra Escamillo, il torero, mi sono già ripresa e subito gelata: se ne va talmente per conto suo che il direttore d'orchestra è costretto a cambiare ritmo e rallentare per farlo rientrare nella musica. Il pubblico non sembra rendersene troppo conto, del resto è l'unica imperfezione notevole della rappresentazione e viene subito dimenticata.
Alla fine del secondo atto, Carmen e i briganti decidono di rifugiarsi sulle montagne e di portare don José, brigadiere della guardia, innamorato di Carmen, con loro. Il superiore di don José tenta di fermarli ma viene bloccato, legato a una sedia e obbligato a guardare Carmen che, davanti ai suoi occhi, riduce in brandelli un manifesto di Francisco Franco, intonano il motivo di "la liberté" e il saluto romano del primo atto viene sostituito dal pugno chiuso riportandoci al tema della Resistenza.
I restanti due atti non posseggono la stessa intensità musicale dei precedenti ma non è colpa di questa messa in scena, forse semplicemente Bizet aveva già detto quello che voleva dire e doveva trovare un modo per concludere l'opera.
Accade anche nella letteratura e nel cinema che gli autori, presi da un tema coinvolgente, scoprano che il soggetto sfugge dalle mani e siano obbligati a riportarlo sui binari, a volte in modo banale. E' un difetto intrinseco di quest'opera ma non se ne può volere troppo a Bizet che, comunque, ha dato vita a un'opera coinvolgente nella trama e nelle musiche.
Nella celebrazione degli artisti la Malavasi è stata accolta da una meritata ovazione con lancio di rose.
Per un attimo mi sono aspettata che l'orchestra si rimettesse a suonare il tema della Corrida con battimani del pubblico a tempo come al concerto di capodanno di Vienna sulla marcia di Radetzky.
Ma non siamo davanti a Vasco, siamo all'opera, e bisogna frenare l'entusiasmo.
Bella questa trasmissione di senzazioni stando in un teatro particolare a vedere un' opera altrettanto particolare...
RispondiEliminaPercepisco il feeling...
Interessante il tema del non poter esultare all'opera come per un concerto di Vasco o altri cantanti...Ho sempre pensato che passa la stessa differenza dello scatenarsi in uno stadio (tu credo ne sappia qualcosa e il mio passato pure...anche troppo direi...) e del restare composti ed educati ad un match di Tennis...
Opera=Tennis...Vasco=Calcio...
Che ne pensi non male no...
Ale