sabato 10 febbraio 2018

Arthur Miller: Uno sguardo dal ponte - Di fronte a una questione morale

Arthur Miller: Uno sguardo dal ponte

Sono sempre più convinta che le opere teatrali vadano viste e non lette. 
Il problema è che molte non vengono più portate in scena perciò la lettura è tutto ciò che ci rimane. 
E' una tragedia dalle tinte fosche, aleggia per tutta l'opera questa sensazione di morte e sconfitta che ricorda a tratti la tragedia greca per questa sensazione di tragico imminente. I protagonisti sono segnati sin dalle prime battute dal loro destino, la gioventù esuberante che si scontra con la rassegnazione e la possessività degli adulti, il desiderio di evadere e il desiderio di trattenere. Sembra di vederli sul palco, la traduzione rende tutta la tipicità di una lingua bastarda ia immigrati e la tensione cresce a ogni scena sommando gelosia, desiderio, possessione e accuse di omosessualità lanciate come una maledizione. Tra tutti la vera vittima è Marco che ha rinunciato a tutto per un brandello di speranza e che tutto perde a causa delle colpe di altri.
E alla fine un magone...

Siamo nel 1967. Siamo nella casa di immigrati italiani a New York. Gente che lavora duro, operai, scaricatori di porto con nomi italiani e appellativi inglesi. Hanno il permesso di soggiorno, Catherine è nata in America, frequenta l'ultimo anno di scuola e ha appena ricevuto una proposta di lavoro, Eddie fa l'operaio ed è riuscito a mettere da parte abbastanza denaro per ospitare due cugini della moglie Beatrice: Marco e Rodolfo. 
Clandestini.
I cugini vivono nell'appartamento neanche troppo nascosti in realtà: la mattina escono a cercare lavoro al porto, lavorano a giornata trattenendo qualche soldo per le spese personali e mandando il resto a casa dalla famiglia se c'è, altrimenti si va a teatro, si cerca di vivere un po' di quella vita americana che è un sogno per chi arriva da tanto lontano.
La vita americana è un sogno sì, un sogno perché in America c'è lavoro e Rodolfo non tornerebbe in Italia nemmeno con palate di soldi perché in Italia il lavoro non c'è

"RODOLFO: Ma che significa essere americano, scusa? Ma cosa credi, che nun li avemo puro in Italia i grattacieli, la luce elettrica? i stradi? le automobili?
'O lavoro nun avemo. Io vogghio diventare americano pi lavurari. Chista è l'unica meraviia 'cca: 'o lavuru!"

Sono trascorsi cinquanta anni dalla prima rappresentazione, i giovani italiani ormai non vanno più in America per fare gli operai o gli scaricatori di porto, ci vanno in vacanza o con una borsa di studio, il sogno è adesso di fare il ricercatore o di aprire una start-up o un ristorante. 
Altri vengono in Italia per fare i braccianti, i muratori, pagati due soldi e un calcio in culo, caricati sui furgoni di notte, portati nei campi tutto il giorno e riportati al punto di raccolta di sera. Quando va proprio bene lavorano in fabbrica, di nascosto anche lì e con i soldi dati in mano a fine giornata. Se poi all'ingresso della fabbrica arriva la pula c'è uno speciale bottone che la centralinista sa di dover premere e quando succede via! tutti a fuggir per campi. Almeno così funzionava dieci anni fa nella fabbrica del Nord-Est in cui ho lavorato qualche tempo come centralinista e sospetto funzioni ancora così lì e in molti altri posti.

Pensavo che pena per Marco! Per il suo sogno infranto! Beccato e arrestato. Dopo un breve processo verrà rispedito in Italia e non si sa se riuscirà a mantenere la sua famiglia... una moglie... tre figli.
Marco e Rodolfo li sento vicini, riesco a condividere il loro dramma...

Riuscirei a condividere lo stesso dramma se invece di Marco e Rodolfo si chiamassero Joussouf e Agim?

Onestamente non lo so.

Ed ecco che un semplice libretto sgraffignato di nascosto nella libreria di mia suocera mi pone di fronte a una questione morale. Non ero partita da qui quando ho iniziato, volevo probabilmente parlare di quanto sia difficile leggere un'opera teatrale e comprenderla fino in fondo e invece mi ritrovo a parlare di immigrazione, sogni, integrazione...
Vado per curiosità a cercare immagini su "Uno sguardo dal ponte", raffino la ricerca su "teatro" e trovo la locandina con il volto di Sebastiano Somma per il teatro o Raf Vallone per il cinema e mi chiedo se sia stata portata in scena la stessa pièce in Italia con attori di colore di recente.
Ma in Italia ci sono attori di colore? c'è uno Joussouf che fa tournée di teatro? Un Agim in tv?
Negli Stati uniti nel 1967 c'erano già Frank Sinatra e Dean Martin, in Italia sta muovendo i primi convincenti passi Ermal Meta perciò forse non siamo tanto lontani da un'idea di integrazione che coinvolga non solo il mondo del lavoro ma anche quello dell'arte. Forse non siamo tanto lontani dal vedere a teatro Uno sguardo dal ponte in cui i protagonisti si chiamino Joussouf e Agim. Meglio, molto meglio questo piuttosto che una Carmen che ammazza Escamillo in nome della lotta contro la violenza sulle donne.
Forse non siamo lontani... mi chiedo come reagiremo.

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