Eccomi finalmente giunta al terzo e ultimo libro della sfida-Medioevo sui Longobardi.
Per una maggior godibilità filologica raccomando caldamente la lettura dello studio di Stefano Gasparri solo dopo la lettura di Storia dei Longobardi di Jarnut e ovviamente dopo Paolo Diacono, fonte primaria, seguendo così anche l’evoluzione degli studi sui Longobardiun filo temporale: Jarnut pubblica nel 1982, Gasparri trenta anni dopo nel 2012 e la prospettiva, vuoi per la nazionalità degli autori, vuoi per gli studi, le scoperte e le analisi di studiosi del popolo Longobardo è totalmente ribaltata.
Avevo già accennato qui di come la parentesi longobarda mi fosse sembrata non tanto un’epoca di barbarie e oscurità come per tanti secoli è stata descritta ma un punto di svolta epocale per l’Italia, perno del cambiamento tra la visione mediterranea e quella continentale del nostro Paese e con l’opera di Gasparri ho avuto piena conferma delle mie teorie.
I 200 anni di dominazione longobarda vengono visti da una prospettiva rivoluzionaria. Tabacco fu tra i primi a vedere in chiave positiva l’arrivo dei Longobardi in Italia, un punto di rottura con il passato che ha impresso un forte cambio di direzione alla penisola che prima aveva il suo baricentro nel Mediterraneo e poi fu sempre più tendente al Continente.
LE FONTI
Gasparri mette a confronto l’Editto di Rotari, unica fonte coeva del VII secolo con i ritrovamenti archeologici, pochi e maltrattati, i corredi funerari, i resoconti dei processi, gli atti catastali… lì dove la storiografia classica aveva affrontato il tema dei Longobardi solo tramite le fonti letterarie accreditate di Diacono, dei Liber pontificales e dell’Historia Francorum, ovvero fonti tarde e filtrate politicamente in senso anti-longobardo, Gasparri va oltre e mette alla prova le fonti classiche riuscendo più volte a scoprire i punti deboli, le storture e le manomissioni. E’ proprio vero che la storia la scrive chi vince, in questo caso vinsero i Franchi e il Papa e per più di un millennio la loro è stata l’unica versione.
L’INTEGRAZIONE
Studiosi come Jarnut hanno sempre lamentato le scarsissime tracce lasciate da questo popolo aspettandosi di trovare tra i reperti archeologici divisioni marcate di ciò che era longobardo o romanico senza considerare il fatto che forse l’integrazione tra Longobardi e Romanici aveva portato di fatto alla scomparsa degli elementi divisivi tanto che a pochi decenni dalla conquista non si riuscivano più a distinguere case romaniche da quelle longobarde, tombe romaniche da quelle longobarde… Jarnut sottolinea le differenze e divisioni tra i due popoli, Gasparri i tratti comuni e l’integrazione. Questo libro dimostra che il popolo italiano in quei due secoli combaciava con il popolo longobardo e che l’integrazione era stata abbastanza veloce, intuizione dimostrata anche dal fatto che il primo scritto longobardo, l’Editto di Rotari del 643, sia redatto in lingua latina.
IL RAPPORTO CON LE GERARCHIE RELIGIOSE
Altro aspetto molto interessante di questo studio è l’analisi delle gerarchie religiose che non furono affatto massacrate, profanate e smembrate come fanno credere sia Paolo Diacono sia i Liber Pontificalis coevi ma funsero da patteggiatori, interlocutori tra i Longobardi e il mondo bizantino. Se è vero che gli ecclesiastici di rango senatorio seguirono le corti bizantine e romane lasciando buona parte dei territori conquistati è anche vero che il clero medio-basso continuò la sua opera all’interno del mondo longobardo tanto che già venti anni dopo la conquista l’erede al trono Adaloaldo venne battezzato secondo il rituale cattolico.
E’ interessante l’analisi di Gasparri sulle relazioni tra le gerarchie religiose e i Longobardi: da un lato sottolinea come l’assenza di un clero “alto” che potesse fungere da consiglio del re abbia di fatto impedito al Regno longobardo di diventare quella potenza politica che diventò il regno franco pochi anni dopo con i Carolingi proprio grazie all’aristocrazia ecclesiastica. Questa mancanza è tangibile proprio nella letteratura coeva fatta soprattutto di atti giudiziari e codici di leggi. Mancano in toto, se si esclude L’Origo Gentis Langobardorum e Paolo Diacono, l’una perduta e l’altra redatta dopo la fine del Regno Longobardo, le cronache e le lettere, veri strumenti di propaganda politica come sia il papa sia i Carolingi hanno dimostrato in seguito. La mancanza di un consiglio esperto degli affari della Penisola e di una buona propaganda si noterà poi nelle divisioni interne del regno e nella mancanza di una dinastia reale forte come tra i Franchi, appoggiata dal papa e dal senato ecclesiastico e tutto ciò contribuirà purtroppo alla caduta del Regno.
Inoltre gli stessi re Longobardi, che nel diritto tenevano molto in considerazione il patrimonio, da Liutprando in poi agevolarono sempre più i lasciti a chiese e monasteri rendendoli di fatto sempre più forti, ricchi e influenti come istituzione… in poche parole hanno minato le proprie stesse basisi sono praticamente scavati la fossa da soli: l’istituzione del papato era praticamente ininfluente dopo la guerra gotica: il papa non era altro che il capo di un istituzione religiosa di stanza a Roma e sottoposto all’autorità del duca di Bisanzio. Poi Bisanzio si allontanò dall’Italia per vari motivi e i re longobardi non furono in grado di riempire il vuoto di potere venutosi a formare. Di fronte a questa incapacità altre due potenze presero il sopravvento: il Papa e Carlo Magno.
Il capitolo V del saggio narra la caduta o meglio narra di come è stata riportata la caduta del regno longobardo nei testi partendo ovviamente sempre dalla letteratura papale e carolingia ma dando anche ampio spazio a testimonianze di origine longobarda che ancora nel IX secolo parlavano di Desiderio e di Adelchi come eroi.
Grazie grazie grazie dunque a Stefano Gasparri che ci consegna una visione rivoluzionaria dei duecento anni del regno Longobardo collaborando così a gettare sempre maggior luce su quegli anni lontani nel tempo e resi oscuri da una storiografia redatta dai vincitori.
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