sabato 15 ottobre 2016

In Difesa di Bob Dylan


Il Nobel per la letteratura assegnato nel 2016 a Bob Dylan ha sollevato un polverone. Non ultimo lo scrittore italiano Alessandro Baricco, autore di Novecento, si è chiesto a mezzo stampa cosa c'entri Bob Dylan con la letteratura. 
Alle sei e trenta di mattina del giorno dopo me lo chiedo pure io.
Cosa c'entrano le canzoni con la letteratura?
C'entrano tutto.
Come piccola riflessione personale potrei citare il fatto che nel mio sussidiario delle elementari era riportato, tradotto in italiano, il testo di Blowing in the Wind e se ne stava lì a testa alta insieme ad A Zacinto di Foscolo e alla canzone del partigiano...
Risposta non c'è
Ma forse chi lo sa
Perduta nel vento sarà...
Allora la conobbi come un testo scritto, la portai a casa da leggere e scoprii che in effetti nasceva in musica così il giorno dopo a scuola noi gnappetti di circa otto anni c'è ne andavamo per i corridoi intonando la sua canzone come una promessa, una speranza di un futuro migliore.
Dopo la breve digressione tutta personale torno a chiedermi cosa c'entra Dylan con la letteratura?
Ovvero
Cosa c'entrano le canzoni con la Letteratura?
Cosa è la letteratura?
Omero è letteratura?
Catullo è letteratura?
Shakespeare è letteratura?
I trobadours del 1200 sono letteratura?
Se la risposta alle ultime quattro domande è sì allora le canzoni c'entrano eccome!
Catullo.
Mùltas pèr gentès et mùlta per aèquora vèctus
àdvenio hàs miseràs, fràter, ad ìnferiàs...
Gli accenti rivelano il sistema di vocali brevi e lunghe che caratterizzavano il latino e che è rimasto sparso qua e là nelle lingue romanze. Si provi a leggerlo ad alta voce assecondando l'andamento degli accenti e si scoprirà che è ritmo e musica, distico elegiaco per l'esattezza.***


L'epiteto utilizzato per Omero, o chi per lui, è aedo. Gli aedi nell'antica Grecia erano i poeti, figure al limite del sacro spesso raffigurati come ciechi, non distratti dall'umana volgarità.

ὁ μὴ ὁρῶν (ho mè horôn) "colui che non vede" - Omero

Prima della tradizione scritta di Iliade e Odissea ci fu la tradizione orale, un'insieme di canti tramandati da generazioni. La poesia non era scritta ma orale, recitata, ricordata grazie a stratagemmi come epiteti, rime, assonanze, ripetizioni e musica, era inscindibile dall'alternanza di brevi e lunghe, inscindibile dal ritmo e dalla musica.

Se l'oralità dei poemi omerici non consentì di stabilire edizioni canoniche la tradizione scritta, nel tentativo di ricostruire un testo quanto più possibile aderente all'originale, dovette tagliare, emendare, tralasciare parti e aspetti importanti, cosicché quando il testo iniziò a circolare in Occidente dopo la presa di Costantinopoli, grazie ai profughi orientali che portarono le maggiori opere trascritte, la musicalità si era perduta, soprattutto perché nel medioevo occidentale il greco non era una lingua studiata e conosciuta, non c'era familiarità con il suo suonoe ciò che si conosceva della cultura greca erano per lo più testi tradotti in latino, scritti, letti, non decantati.


Nel basso Medioevo esistevano i trovatori, compositori ed esecutori di poesia lirica in lingua occitana nella Francia meridionale. In seguito si diffusero anche in Italia settentrionale, in Spagna e in Sicilia alla corte di Federico II di Svevia. La poesia era cantata o dagli stessi trovatori (autori) oppure dai menestrelli, era musicata, spesso con accompagnamento musicale.

Prova dell'importanza che la musica rivestiva nelle liriche dei trovatori sono due delle diciotto composizioni di Arnaut Daniel delle quali sono sopravvissute le note musicali... Arnaut Daniel, colui che Dante definì "il miglior fabbro del parlar materno"... mica pizza e fichi.


Il fatto che l'accompagnamento musicale fosse spesso improvvisato, non canonizzato, non trascritto ha fatto sì che via via si tendesse a scindere la parola scritta dalla sua forma orale cantata stabilendo, forse neanche intenzionalmente, la supremazia della prima sulla seconda.


A sottolineare lo stretto legame storico della poesia con la musica e il ritmo restano le definizioni: Iliade e Odissea sono divise in Canti, la Divina Commedia è ripartita in canti, le raccolte di poesie del medioevo vengono definite Canzonieri, componimenti medievali venivano definiti Chansons (de geste, de croisade, de toile...) Shakespeare viene definito il Bardo, proprio a sottolineare la musicalità del suo pentametro giambico (altra alternanza di accenti) ed Ezra Pound, bistrattato, dimenticato genio letterario del Novecento, ha chiamato Cantos il suo poderoso poema incompiuto proprio in relazione e devozione alle Canso medievali, un altro "miglior fabbro", questa volta secondo il giudizio di T.S Eliot.


Quindi signor Baricco Bob Dylan c'entra eccome con la letteratura. Forse quello fuori posto è lei.


*** Negli anni degli studi ci sono tante nozioni che vengono via via dimenticate, sepolte sotto valanghe di altre nozioni, ricordi, liste della spesa, fotografie. Poi ci sono lezioni che sicuramente non riuscirò a dimenticare e ritorneranno alla mia mente a novanta anni quando non sarò in grado di ricordare cosa avrò mangiato a pranzo. Tra queste la metrica latina, quando il prof. De Micheli (latinista, matematico e musicista) dirigeva dalla scrivania la classe che intonava in metrica i versi di Catullo e Tibullo.

mercoledì 21 settembre 2016

Martha Quest - una ribelle mancata



E...... no, non è il giovane Holden in gonnella, l'anti-eroe che ha stravolto l'America benpensante.
Non è nemmeno Elizabeth Bennet, l'arguta signorina della campagna inglese nella quale molte, moltissime ragazzine, e donne, si sono viste e sognate.

"non ne posso più; e sono stanca anche del futuro, ancor prima che venga." Olive Schreiner

La citazione che accompagna l'apertura della parte prima riassume in soldoni tutto il libro.
Entriamo subito in contatto con Martha seduta in veranda, tra le mani un libro e negli occhi tutto l'astio possibile nei confronti di sua madre, dell'amica di sua madre, della figlia dell'amica di sua madre e della catapecchia in cui vive.
Martha è sveglia, è curiosa, legge tanto, forse troppo ma non osserva "non è un'osservatrice", la Lessing lo ripete due volte nel corso del libro, forse perché troppo concentrata su se stessa, sul suo malessere, sulla sua rabbia, sulla sua presunzione. Presunzione di essere... che? Un genio incompreso, una portavoce dei diritti di donne, ebrei, neri, lavoratori, qualunque cosa vada contro lo spirito stanco e borghese cui appartiene la sua famiglia. Salvo poi scoprire il grande paradosso della terra coloniale in cui vive ovvero che esistono razzismi interni alle stesse classi di cui vuole farsi portavoce. Esistono razzismi tra ebrei inglesi ed ebrei polacchi, tra neri di città e neri di fattoria, tra donne caste e non.
Sporadiche citazioni di fatti di cronaca ci fanno capire che siamo giunti all'alba della Seconda Guerra Mondiale ecome se tutto il mondo fosse colpito da un virus globale la violenza dei toni inizia a infettare tutto, come spruzzata dall'alto dalla mano della Storia.

Il libro copre tre anni della vita di Martha, dai quindici ai diciotto/diciannove. All'inizio il senso di simpatia per questa giovane ribelle saccente è forte, anche sua madre pur non comprendendola ritiene che sua figlia sia destinata a compiere grandi cose "si farà strada" dice, ma poi accade qualcosa, o meglio non accade: Martha non supera l'esame di maturità, a dire il vero non si presenta nemmeno a causa di un tracoma. Scopriamo come questa sia l'ultima di altre scuse che hanno impedito a Martha di combinare qualcosa: niente musica, niente cresima, ogni volta che viene messa di fronte alla possibilità di dimostrare la sua supposta superiorità un evento esterno le impedisce di farlo. In questo e in altri atteggiamenti mi ha fatto pensare al padre, forse brillante un tempo ma in seguito indebolito nello spirito dalla Guerra e nel corpo da una lieve forma di diabete, entrambi gli forniscono l'alibi per non aspettarsi nulla da lui, nulla di più di quel che è o fa.

Persa l'occasione per dimostrare la sua grande intelligenza all'università, dopo due anni trascorsi nella totale nullafacenza coglie al volo l'occasione di fuggire dalla fattoria, le trovano casa e lavoro e...
beh...
Non accade praticamente più nulla se non il lasciarsi trascinare dagli eventi senza entusiasmo, senza partecipazione. La ragazza nella quale avremmo voluto immedesimarci scompare e prende il suo posto una figura noiosa, antipatica, sempre pronta a giudicare gli altri ma non a essere giudicata. La sua vita scorre senza lampi, senza gioia, senza partecipazione si ritrova a rotolare giò da una collina senza nemmeno la voglia di impedire il rotolamento.
Verso la fine del libro si accende una speranza, sembra irrompere la luce di una conoscenza nuova, una persona speciale che possa infine darle l'ascolto e la comprensione di cui ha bisogno ma il tutto è descritto con stanchezza, forse noia, come se all'autore non interessasse più il destino di questa donna e volesse rapidamente chiudere il libro.
Devo capire se avrò ancora voglia di rivedere Martha nel seguito "Un matrimonio per bene", la premessa non mi convince affatto.
Devo capire soprattutto se avrò voglia di rileggere qualcosa della Lessing. Proverò l'ultima volta con Il Taccuino d'Oro e poi deciderò se accantonarla o proseguire.

Il libro si salva però, si salva nelle irresistibili descrizioni della Lessing del paesaggio, della terra che l'ha cresciuta, lo stupore è lì, nello spaziare dello sguardo sul Veld, nell'insinuarsi tra le differenze sociali di baracche e palazzi, nell'osservare silenzioso e discreto la società coloniale, questo mix di culture, colori, ipocrisie che si uniscono senza però comprendersi pienamente, ognuno arroccato nella parte di città (o campagna) che gli è stato destinato con i propri sospetti, le proprie chiusure, la paura della contaminazione attanaglia anche i più insospettabili e attraverso gli occhi di Martha proviamo disgusto. Potrebbe esserci molto di più ma forse è il mio sguardo di europea a desiderare quel tocco di pittoresco che non c'è, come fossimo ancora nell'Ottocento e l'Africa una terra misteriosa, come se Martha fosse una scimmia chiamata per divertire il pubblico borghese, invece questa scimmia si rifiuta di ballare e si mette a discorrere del tempo e sorseggiando tè nero.

domenica 4 settembre 2016

Storia di una ladra di libri - una storia di Parole



Il libro mi fu regalato da mia madre. Ha l'abitudine di regalarmi i libri che ha già letto e tra noi c'è una sorta di patto che vale per i libri così come per i vestiti: se ti piace te lo tieni, altrimenti lo vendi, lo regali, lo butti... basta che non torna indietro.

E' rimasto su di una mensola per un po' di tempo, anni. Ogni tanto lo prendevo in mano, leggevo la sinossi,e lo rimettevo sulla mensola.
In soldoni la sinossi dice che siamo nel 1939, nella Germania nazista, che la ragazza ruba un primo libro, poi un secondo, un terzo... sembra più che altro la storia di un'accumulatrice compulsiva, una di quelle storie che raccontano su Real Time, con una spolverata di nazismo e un pizzico di shoah che ci stanno sempre bene.
Per nulla accattivante.

Invece no.
Invece è un libro di Parole.
Di Parole, di libri, di scritti, disegni, letture, vernici.
Con le parole si combatte, si domina, si ama.
Tra tante parole mancano un "grazie" all'inattesa benefattrice, un "ti voglio bene" alla mamma, le parole dell'affetto vengono taciute lasciando che siano i gesti a parlare.
Parole d'odio che vengono ricoperte e sovrascritte da parole d'amore e speranza, un palinsesto di come il mondo dovrebbe essere e invece non è.
Parole offensive che significano amore.
Parole che assumono fisicità, peso, sostanza, vengono trasportate come fardelli, lasciate cadere con un tonfo, gettate su di un tavolo o per terra dove restano immobili a farsi guardare, un oggetto perturbante che irrompe nella realtà, un nuovo rigurgito di gotico, tutto postmoderno, in cui il perturbante non è più il mostro, lo sciamano, il gatto nero ma la realtà che si palesa, l'ovvio di cui nessuno osa parlare perché chiamarlo per nome significherebbe immediatamente riconoscere la sua esistenza.
E doverci fare i conti.
Dunque... Parole.
Il narratore è onnisciente. Chi meglio della Morte può conoscere passato, presente e futuro?
Il narratore sa già come va a concludersi la storia e goccia a goccia ce lo anticipa. Un po' qui, un po' là.
Cosicché il lettore desidera terminare la lettura del libro non tanto per sapere come andrà a finire ma come verrà narrato il finale, quali Parole verranno utilizzate, quali aggettivi, quali avverbi, quali immagini verranno materializzate tra le righe.
E' l'autore che sgama il lettore avido, quello che arrivato all'ultimo centinaio di pagine va a curiosare il finale per decidere se continuare o no a leggere. O quello che legge freneticamente e senza approfondimenti le ultime pagine perché quello che davvero gli preme è avere un finale per poter poi classificare il libro tra "libri che fanno piangere", "libri a lieto fine", "libri acchiappapolvere".
Fregati!
Zusak ci risparima la fatica, ci svela il finale nel momento in cui ritiene che siamo abbastanza pronti per sostenerlo, nel momento in cui "se siamo arrivati fin lì significa che possiamo anche andare oltre terminando la lettura con un macigno sul cuore". Personalmente ho apprezzato molto, le sorprese non mi piacciono, i colpi di scena mi destabilizzano. Insomma, se proprio devo piangere, ridere, sconvolgermi preferisco arrivarci preparata cosicché posso decidere io quando affrontare il Momento, no che mi arriva durante la pausa pranzo a 20 minuti dalla timbrata del cartellino. Ecco, io sono classificabile tra quegli avidi che al quarto quinto di una lettura va a vedere come termina in modo da decidere io quando e come terminare il libro.

Che poi adesso con tutto questo discorso sulle parole, sulla loro matericità e importanza mi viene in mente Moretti quando si incazza perché "le parole sono importanti"

Ma questa è un'altra storia
E ci torneremo un'altra volta

sabato 2 marzo 2013

The Wall



(ANSA) - BERLINO, 1 MAR - ''Il Muro di Berlino deve restare''. Con questo slogan dal sapore surreale, nella capitale tedesca circa duecento persone sono riuscite a impedire che, per agevolare la costruzione di appartamenti di lusso, le ruspe abbattessero 20 metri di blocchi di cemento. Il tratto di Muro in questione fa parte dell'East-Side Gallery, una striscia di cemento di 1,3 km su cui nel 1990 120 artisti hanno dipinto murales storici, divenuti una delle maggiori attrazioni per turisti.
Ci sono muri che vanno abbattuti

e muri che vanno lasciati lì

a imperitura memoria della stupidità dell'uomo

A mio avviso quel chilometro e trecento metri di quel che rimane del Muro di Berlino va lasciato in piedi, lì dove è stato costruito.

Perché non si può abbattere la storia.

Ma a mio avviso si sarebbe dovuto impedire che qualcuno comprasse quel pezzo di terreno.

Perché non si può comprare la storia.

Non si può comprare né abbattere il simbolo del dolore di migliaia di persone che nella notte tra il 12 e 13 agosto 1961 si ritrovò in una città divisa in due, si ritrovò con fratelli divisi, madri separate dai figli.

Per quasi trent'anni.

All'indomani dell'abbattimento del muro di Berlino molti dei suoi frammenti furono raccolti e organizzati, messi in adeguate confezioni e venduti.

Un pezzettino di quel muro ce l'ho anche io e lo regalerò un giorno a mia figlia come i miei genitori lo regalarono a me.

C'è un altro muro di cui nessuno più parla, di cui tutti sembrano essersi dimenticati, per il quale nessun presidente degli Stati Uniti d'America chiederanno l'abbattimento, è la barriera israeliana in Cisgiordania.si-totalità dei pozzi.

Ecco, un giorno spero di poter regalare a mia figlia anche un frammento di quel muro.

lunedì 13 agosto 2012

Twitter, #SkyOlimpiadi e il futuro dei mezzi d'informazione



E' trascorso anche il sedicesimo giorno di olimpiadi non-stop con buona pace del coniuge che al quarto già non ne poteva più.
A differenza delle passate edizioni queste sono decisamente Twittolimpiadi con commenti real-time che ti aggiornano sui risultati di tutti gli atleti. La medaglia d'oro dell'informazione olimpica spetta di diritto a @SkySport che con i suoi cinguettii a raffica ha fornito agli appassionati un newsfeed indispensabile.

Qual è la novità visto che di cinguettii olimpici è pieno il web? L'innovazione sta nel coinvolgimento degli spettatori, invitati a twittare con l'hashtag #SkyOlimpiadi. Ai tweet più simpatici, coinvolgenti, emozionati o emozionanti spetta l'onore del retweet, a fine giornata si tirano le somme e la rete assegna le medaglie d'oro argento e bronzo agli utenti più retwittati ed è questa l'arma vincente di Sky Sport: più guardi e più twitti e più ti retwittano più guardi. Cronisti e commentatori rispondono se interpellati e, ammettiamolo, un conto è se ti risponde il tuo vicino di casa, un altro è se a prenderti in considerazione sono LiaCapizzi o i fratelli Marconi.

Gli altri?
Dinosauri.

I media delle news ignorano i loro follower: Gazzetta, Ansa, Rai ignorano i loro utenti che rilanciano e commentano le notizie cadendo miseramente nel vuoto. I giornalisti sportivi delle altre reti? Mummie. Cercano disperatamente di creare dei meme ma non se li fila nessuno e del resto neanche loro si cagano i follower. Al massimo si limitano a rispondersi e retwittarsi tra di loro (o a riportare onanisticamente i complimenti ricevuti). 

Durante gli Europei di calcio avevo letto Zazzaroni dire che non prendeva in considerazione commenti da chi non aveva visto giocare qualche calciatore del passato il cui nome si perde nella storia degli album Panini, Paola Ferrari si è messa in testa di querelare Twitter scatenando così un effetto Streisand senza precedenti in Italia (cercate #querelaconPaola per credere). Nel frattempo Selvaggia Lucarelli @stanzaselvaggia, in barba a tutti i signori commentatori del pallone, riusciva a coinvolgere le femminucce con l'hashtag #eurofighi e ricomponeva così le coppiette che normalmente in tempi di calcio scoppiano: gli ometti a tifare e le donnine a twittare, tutti uniti davanti al calcio (dispiace dire che il successivo #fighiolimpici non ha avuto lo stesso eclatante successo).

Pensando a tutto questo mi chiedo se sia questo il futuro dell'informazione.
Se da una parte si cerca di imbavagliare la libertà di espressione con la bandiera del diritto d'autore dall'altra, sempre di più, i media prendono spunto da siti come Youtube e Youreporter per i loro servizi, i blog sono visti sempre di più come punto di riferimento e social come Twitter riescono a diffondere informazioni anche in casi estremi o quando le redazioni dormono (si pensi ad esempio all'importanza che ha rivestito in occasione dello Tzunami del 2011 o del terremoto d'Emilia).
L'informazione diventa social. Questo non vuol dire che ognuno dice quel che gli pare e assurge direttamente a fonte: se dici sciocchezze resti un cazzaro, con o senza Twitter. Significa semplicemente che forse in futuro i media saranno destinati sempre di più a lanciare le notizie... e a noi il gusto di commentarle, di essere rilanciati, smentiti o sputtanati (è un'arma a doppio taglio), a noi il compito di porre domande per ottenere risposte. Se questo è il futuro dell'informazione beh, mi piace.

Alle cariatidi dell'informazione/tv/stampa suggerisco un bell'articolo di Jericho Technology, uno che mi sono ritrovata tra i follower e che ho iniziato a seguire (perché un follow non si nega a nessuno, tanto poi ci sono le liste che filtrano quello che non voglio leggere), svela i sette segreti per un marketing efficiente via Twitter, e può interessare sia alle aziende sia ai personaggi vìppese. Io a questo eptalogo aggiungerei solo un "tweek back".


E adesso scusate tanto ma un minimo di autocelebrazione ci vuole.Della serie "popolare per un giorno", sabato 4 agosto ho avuto decisamente il mio momento di gloria grazie a un cinguettio su Jessica Rossi, medaglia d'oro e record mondiale nella specialità fossa olimpica: 86 retweets, 10 nuovi followers una ventina di preferiti, medaglia d'argento nei retweets di SkyOlimpiadi e citazione in diretta alla trasmissione Terzo Tempo di Sky Sport. Domenica pure la citazione nell'articolo "Medaglia d'oro a Twitter, ma certi twitteri sono da squalifica" su Quale Futuro. Non paga di ciò mi sono beccata una nuova citazione ieri sera su SkySport prima e dopo la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi. 
SO' SODDISFAZIONI

PS. L'immeginetta carina l'ho presa da qui.