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mercoledì 29 agosto 2018

Doris Lessing Discesa all'Inferno - Vietato mollare!


Cosa Diamine ho letto!!!
Cosa diamine ho letto???

Se riguardo appunti e note presi durante la lettura mi trovo di fronte a un crescendo di follia ed esaltazione inversamente proporzionali alla follia ed esaltazione della narrazione.

Ammetto di aver preso in mano il libro controvoglia: precedenti letture della Lessing non mi avevano convinta, mi avevano lasciata con addosso un senso di delusione di cui speravo potermi sbarazzare prima o poi.
E invece no.
L'inizio è tutto in salita e pesantissimo: si parte dall'arrivo su di un'isola misteriosa popolata da qualche donna assassina, scimmie e topi-cane che vivono tra i resti di una vecchia città tra lotte, sesso, sacrifici e nefandezze. il protagonista senza nome attende per mesi l'arrivo di un'astronave che lo porti via nella luce, nel frattempo cerca di mondare sé stesso e l'ambiente in cui vive disperatamente e inutilmente temendo che sporco così nel corpo e nello spirito l'astronave non acconsentirà mai a prenderlo con sé. E' allora che un enorme uccello bianco gli si avvicina e si fa cavalcare per portarlo in viaggio sorvolando terre a lui note, mari, oceani che risvegliano ricordi di donne lontane, nell'aria si ripulisce dal male ed è finalmente pronto al vero viaggio, quello nella luce, nello spirito dove la singolarità scompare, esiste solo il collettivo, un solo Pensiero condiviso. "Il genere umano è una minuscola incrostazione grigia sulla Terra", "che cosa ci ha sbalestrati, allontanandoci dalla salutare dolcezza del Noi? Lo schianto, mutò l'aria, divenne un veleno mortale, i cervelli cominciarono a odiare anziché amarsi l'un l'altro".

Tutto chiaro no? Se siete arrivati fin qui state tranquilli, ce l'avete quasi fatta!

Al viaggio seguono considerazioni di mitologia classica e una riunione di creature celesti, un briefing tra gli dèi noti della classicità che consegnano al protagonista senza nome un messaggio.

E poi lui nasce.
Il protagonista nasce.

Il lettore è riuscito a scavallare la prima metà del libro e si chiede cosa diamine stia leggendo, non senza però aver provato almeno una decina di volte il desiderio di mollare tutto, mandare a quel paese gli dèi, la Lessing e tutti i premi Nobel della storia.
Tra le mie note leggo "Mai più un premio Nobel!" Leggo "Ma davvero c'è qualcuno che ha letto tutto questo libro? Ogni riga? Ogni parola? E' un supplizio!
Scritto nel 1971!, Quanta roba si era calata per scrivere? Quante porte della percezione ha varcato per buttar giù parole senza senso???"

La voglia però di leggere fino in fondo è forte e quindi lui nasce, o rinasce, svegliandosi in un ospedale, ha un nome e un cognome, è professore di Lettere Classiche ricoverato dovo esser stato trovato privo di sensi lungo il Tamigi. Ha moglie, figli, lavoro. Solo che gli mancano i ricordi, il professor Charles non ricorda nulla, da adesso alla narrazione che non c'è si alterneranno consulti medici, lettere, poesie per aiutare a ricostruire l'identità del professore smemorato.
La narrazione vera e propria, il narratore, non c'è: si alternano visioni e racconti di Charles con le lettere di chi lo conosce, con i consulti medici per riattivare la memoria del protagonista. Ognuno fornisce la sua visione di Charles, il suo frammento e il lettore deve faticosamente ricostruire come un puzzle una realtà in cui però le tessere non sempre combaciano, non tutto il narrato è vero, la realtà è filtrata dalla soggettività e dalla follia perché questo viaggio all'inferno è un viaggio nella follia, restituisce una narrazione claudicante, restituisce più realtà. Le donne, gli amici, la moglie, la guerra.
Tutto vero? Tutto falso?
Cosa è reale? Singolare è che nella prima parte del libro, quella dedicata alla visione / allucinazione, il visionario si interroghi più volte sul concetto di realtà, sulla cocreazione della realtà attraverso al parola e l'idea, sul fatto che ciò che esiste esista esattamente come ce lo siamo immaginato e più avanti la conoscente Rosmary scrive in una sua lettera che il Professore dava a volte l'impressione di lasciar condurre il suo pensiero più da una sonorità che da un significato "come se un flusso verbale possa accordarsi con una realtà interna, esprimendo attraverso i suoni uno stato d'animo".

A questo caos narrativo si aggiunge la sensazione che ci sia un mistero da svelare, che le lettere e  le poesie siano indizi, che la visione stessa sia un indizio che deve portare all'origine dell'improvvisa perdita di memoria di Charles e di nuovo Lessing ci trae in inganno perché, di fatto, da svelare non c'è nulla o quasi. L'apparente normalità del narrato della seconda parte del libro servirà per spiegare l'apparente allucinazione della prima parte.
O viceversa?

Apro una parentesi comparativa, non resisto: si rincorrono varie citazioni dalla classicità scontata vista la professione di Charles ai Lai di Maria di Francia o Mabinogion per la tradizione celtica. Ricorre anche un costante, quasi ossessivo al principio, riferimento all'opera di Conrad Cuore di Tenebra: il fiume e l'acqua sono a volte il Tamigi, a volte il Congo, a volte oceani, l'idea di orrore di fronte a creature primitive, di fronte alla lotta per la supremazia, il concetto di viaggio nella luce contrapposto al viaggio nella tenebra laddove la tenebra può ricondurre allo stato di incoscienza e alienazione apparente esteriore mentre nell'inconscio domina una sensazione di luce e intelligenza universale, il senso di colpa e di peccato.
Al contrario, poiché il libro che sto per citare è posteriore a questo, il viaggio nell'incoscienza, nei ricordi veri o falsati non può non portare alla mente Yambo, lo smemorato protagonista di La misteriosa fiamma della regina Loana di Eco, ossessionato dalla nebbia in tutte le sue declinazioni letterarie laddove Charles sembra ossessionato dalla luce. Le due opere sono talmente vicine che mi è difficile pensare che il Professor Eco non fosse a conoscenza di questa Discesa all'inferno.

Cos'altro dire?
Non lasciatevi fuorviare dal titolo: nella traduzione italiana manca il termine "briefing" che è fondamentale e non sarebbe nemmeno corretto dire all'inferno, meglio nell'inferno sottolineando l'immersione nel luogo, non lasciatevi fuorviare dalla copertina né dal sottotitolo di questa edizione Est "un grande romanzo dello spazio interno": non è un libro di psichiatria né un romanzo sulla psicanalisi, è più un romanzo sulla realtà, sull'apparenza, sulla rifrazione della luce e la sua percezione. C'è un messaggio da consegnare e diversi sono i modi per farlo.

Insomma è un'opera che necessiterebbe una veste editoriale importante, non si può semplicemente tradurre in lingua, lo si deve tra-durre nel significato corredandolo da una prefazione importante o una postfazione, qualcosa insomma che spieghi perché si debba leggerlo.
Alla fine dico grazie, infinitamente grazie al popolo di Goodreads che con i commenti all'opera mi ha spinta a non mollare, non abbandonare la lettura nonostante la tentazione fosse fortissima e frequente, almeno nella prima metà del libro.. una volta "nato" il protagonista si divora avidamente.

mercoledì 21 settembre 2016

Martha Quest - una ribelle mancata



E...... no, non è il giovane Holden in gonnella, l'anti-eroe che ha stravolto l'America benpensante.
Non è nemmeno Elizabeth Bennet, l'arguta signorina della campagna inglese nella quale molte, moltissime ragazzine, e donne, si sono viste e sognate.

"non ne posso più; e sono stanca anche del futuro, ancor prima che venga." Olive Schreiner

La citazione che accompagna l'apertura della parte prima riassume in soldoni tutto il libro.
Entriamo subito in contatto con Martha seduta in veranda, tra le mani un libro e negli occhi tutto l'astio possibile nei confronti di sua madre, dell'amica di sua madre, della figlia dell'amica di sua madre e della catapecchia in cui vive.
Martha è sveglia, è curiosa, legge tanto, forse troppo ma non osserva "non è un'osservatrice", la Lessing lo ripete due volte nel corso del libro, forse perché troppo concentrata su se stessa, sul suo malessere, sulla sua rabbia, sulla sua presunzione. Presunzione di essere... che? Un genio incompreso, una portavoce dei diritti di donne, ebrei, neri, lavoratori, qualunque cosa vada contro lo spirito stanco e borghese cui appartiene la sua famiglia. Salvo poi scoprire il grande paradosso della terra coloniale in cui vive ovvero che esistono razzismi interni alle stesse classi di cui vuole farsi portavoce. Esistono razzismi tra ebrei inglesi ed ebrei polacchi, tra neri di città e neri di fattoria, tra donne caste e non.
Sporadiche citazioni di fatti di cronaca ci fanno capire che siamo giunti all'alba della Seconda Guerra Mondiale ecome se tutto il mondo fosse colpito da un virus globale la violenza dei toni inizia a infettare tutto, come spruzzata dall'alto dalla mano della Storia.

Il libro copre tre anni della vita di Martha, dai quindici ai diciotto/diciannove. All'inizio il senso di simpatia per questa giovane ribelle saccente è forte, anche sua madre pur non comprendendola ritiene che sua figlia sia destinata a compiere grandi cose "si farà strada" dice, ma poi accade qualcosa, o meglio non accade: Martha non supera l'esame di maturità, a dire il vero non si presenta nemmeno a causa di un tracoma. Scopriamo come questa sia l'ultima di altre scuse che hanno impedito a Martha di combinare qualcosa: niente musica, niente cresima, ogni volta che viene messa di fronte alla possibilità di dimostrare la sua supposta superiorità un evento esterno le impedisce di farlo. In questo e in altri atteggiamenti mi ha fatto pensare al padre, forse brillante un tempo ma in seguito indebolito nello spirito dalla Guerra e nel corpo da una lieve forma di diabete, entrambi gli forniscono l'alibi per non aspettarsi nulla da lui, nulla di più di quel che è o fa.

Persa l'occasione per dimostrare la sua grande intelligenza all'università, dopo due anni trascorsi nella totale nullafacenza coglie al volo l'occasione di fuggire dalla fattoria, le trovano casa e lavoro e...
beh...
Non accade praticamente più nulla se non il lasciarsi trascinare dagli eventi senza entusiasmo, senza partecipazione. La ragazza nella quale avremmo voluto immedesimarci scompare e prende il suo posto una figura noiosa, antipatica, sempre pronta a giudicare gli altri ma non a essere giudicata. La sua vita scorre senza lampi, senza gioia, senza partecipazione si ritrova a rotolare giò da una collina senza nemmeno la voglia di impedire il rotolamento.
Verso la fine del libro si accende una speranza, sembra irrompere la luce di una conoscenza nuova, una persona speciale che possa infine darle l'ascolto e la comprensione di cui ha bisogno ma il tutto è descritto con stanchezza, forse noia, come se all'autore non interessasse più il destino di questa donna e volesse rapidamente chiudere il libro.
Devo capire se avrò ancora voglia di rivedere Martha nel seguito "Un matrimonio per bene", la premessa non mi convince affatto.
Devo capire soprattutto se avrò voglia di rileggere qualcosa della Lessing. Proverò l'ultima volta con Il Taccuino d'Oro e poi deciderò se accantonarla o proseguire.

Il libro si salva però, si salva nelle irresistibili descrizioni della Lessing del paesaggio, della terra che l'ha cresciuta, lo stupore è lì, nello spaziare dello sguardo sul Veld, nell'insinuarsi tra le differenze sociali di baracche e palazzi, nell'osservare silenzioso e discreto la società coloniale, questo mix di culture, colori, ipocrisie che si uniscono senza però comprendersi pienamente, ognuno arroccato nella parte di città (o campagna) che gli è stato destinato con i propri sospetti, le proprie chiusure, la paura della contaminazione attanaglia anche i più insospettabili e attraverso gli occhi di Martha proviamo disgusto. Potrebbe esserci molto di più ma forse è il mio sguardo di europea a desiderare quel tocco di pittoresco che non c'è, come fossimo ancora nell'Ottocento e l'Africa una terra misteriosa, come se Martha fosse una scimmia chiamata per divertire il pubblico borghese, invece questa scimmia si rifiuta di ballare e si mette a discorrere del tempo e sorseggiando tè nero.