venerdì 10 aprile 2009

Ah perché non son io co' miei pastori?


Settembre, andiamo. E' tempo di migrare.
Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all'Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d'acqua natía
rimanga ne' cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d'avellano.

E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!

Ora lungh'esso il litoral cammina
la greggia. Senza mutamento è l'aria.
il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquío, calpestío, dolci romori.

Ah perché non son io cò miei pastori?


Gabriele D'Annunzio
Alcyone - Sogni di terre lontane
I Pastori

domenica 5 aprile 2009

Cappuccetto rosso

Immagine: illustrazione di Gustave Doré

Cappuccetto Rosso è un racconto di tradizione popolare che ha conosciuto numerose varianti nel corso dei secoli, si ritrovano tracce della storia sparse per l'Europa risalenti fino al XI secolo. In una di queste versioni orali tramandate il Lupo, arrivato a casa della nonna, la divora lasciandone tuttavia un po' da parte. Quando Cappuccetto Rosso arriva il Lupo offre alla bambina un po' di carne e vino, corpo e sangue della nonna.

In Italia si conoscono tre versioni regionali di questa fiaba: una abruzzese e una lombarda.

La finta nonna, fiaba di origine abruzzese, narra di una bambina mandata dalla nonna a svolgere una commissione. Durante il tragitto deve attraversare il Fiume Giordano e la Porta Rastrello che, per farla passare, le chiedono di avere un po' del cibo che sta portando alla nonna.
Una volta arrivata a destinazione trova, un'Orchessa che la nonna se l'era mangiata tutta intera tranne i denti, messi a bollire in un pentolino, e le orecchie, che aveva fatte fritte. L'Orchessa, non riconosciuta dalla nipote, invita la bambina a mangiare quello che cuoce sul fuoco ma la bimba declina e s'infila nel letto con quella che crede sua nonna. Nota le mani e il petto peloso ma l'Orchessa, con una scusa, la convince che è tutto normale, quando però si accorge che l'Orchessa ha una coda si insospettisce e, con la scusa di dover fare i bisogni esce dal letto e scappa. Tornando a casa deve percorrere lo stesso tragitto dell'andata e il fiume, riconoscente verso la bambina, che aveva diviso con lui la merenda, la lascia passare ma sommerge l'Orca e la trascina lontano.
E' singolare notare come, con un atteggiamento molto mediterraneo, la bambina sulla riva si soffermi a "prendere a sberleffi" l'Orchessa che viene trascinata dalla corrente del Fiume Giordano.

Nella versione lombarda, "Il lupo e le tre ragazze", originaria dell'area del Lago di Garda, si parla di tre sorelle che si devono recare dalla mamma malata per portarle generi di conforto, due sorelle si lasciano spaventare da un lupo che sbarrò loro la strada, la terza, prima di partire, cuoce una torta piena di chiodi, e quando viene bloccata nella foresta dal lupo, gli dà da mangiare la torta chiodata. Il lupo però trama vendetta, si reca dalla mamma malata, la inghiotte tutta intera e si mette nel letto al suo posto. Quando la fanciulla arriva a casa della mamma viene anche lei mangiata dal lupo ma gli abitanti del paese, impauriti nel vedere un lupo in città, lo uccidono, gli aprono la pancia salvando madre e figlia.
Anche in questa versione si può sottolineare l'arroganza della bambina che, tornata a casa con la mamma, sottolinea il suo successo a fronte del fallimento delle sorelle.

Fu Charles Perrault  a rendere celebre la fiaba di Cappuccetto Rosso trascrivendola nei suoi "Racconti di mamma Oca" del 1697. In questo racconto viene congelata le versione che vede la mamma di Cappuccetto inviare la figlia dalla nonna malata. Cappuccetto incontra il Lupo che si mostra amichevole nei confronti della bambina, tanto da farle rivelare dove viva la nonna. Si lasciano con una sfida a chi arriva primo dalla nonna. Il Lupo è più veloce, arriva a casa della vecchietta, la mangia in un sol boccone e aspetta la bambina che avrà la stessa sorte della nonna.
In questa versione non c'è salvezza: nonna e nipote muoiono nella pancia del Lupo e Perrault conclude con tono moraleggiante:
"Da questa storia si impara che i bambini, e specialmente le giovanette carine, cortesi e di buona famiglia, fanno molto male a dare ascolto agli sconosciuti; e non è cosa strana se poi il Lupo ottiene la sua cena. Dico Lupo, perché non tutti i lupi sono della stessa sorta; ce n'è un tipo dall'apparenza encomiabile, che non è rumoroso, né odioso, né arrabbiato, ma mite, servizievole e gentile, che segue le giovani ragazze per strada e fino a casa loro. Guai! a chi non sa che questi lupi gentili sono, fra tali creature, le più pericolose!"

La versione dei Fratelli Grimm, "Kinder und Hausmarchen", ricalca la storia come viene narrata da Perrault ma la tramanda con un finale diverso: il Lupo, dopo aver mangiato nonna e nipote, si mette a dormire russando rumorosamente, questo insospettisce un cacciatore che entra in casa della nonna per accertarsi che stia bene e trova al suo posto il lupo con la pancia piena. Insospettito apre la pancia del Lupo dalla quale escono nonna e nipote, al loro posto vengono messe delle grosse pietre e per il grande peso il Lupo, fermatosi a bere al fiume, viene trascinato nelle acque e muore. 
Nella redazione della loro versione, i Fratelli Grimm raccolsero in verità due versioni tedesche, una delle due versioni fu trasformata nella storia principale, l'altra nel seguito che vede nonna e nipote nuovamente minacciate da un lupo ma, avendo fatto tesoro della precedente esperienza, riescono a trarlo in inganno e ucciderlo.

Nei precedenti post dedicati alle fiabe non mi sono soffermata, volontariamente, sulle interpretazioni che sono state loro date, soprattutto nel XX secolo, e non lo farò neanche questa volta ma c'è da riportare almeno il fatto che questa fiaba, vuoi per il colore rosso del cappuccio, vuoi per l'antitesi bosco-villaggio, vuoi per la figura maschile del cacciatore, sia stata la più soggetta ad analisi psicologiche, sociali e sessiste. Ho letto cose atroci a riguardo e ve le risparmio di cuore, lasciandovi solo solo immaginare come possa essere l'interpretazione chimico-metallurgica di questa fiaba.

domenica 22 marzo 2009

L'Idiota

Chiuso Delitto e Castigo promisi a me stessa che non mi sarei mai più avventurata a leggere opere di Dostoevskij.
Anni sono passati e si assottiglia sempre di più la lista dei libri che riesco a comprare in libreria così, in un giorno, mi sono portata a casa "L'Idiota", "I Demoni" e "I fratelli Karamazov", dimenticati nell'angolo Remainders di FanoLibri.
Gli ultimi due cercherò di alternarli a letture più amene, il primo lo ho già fatto fuori.

La storia
Brevemente.
Il principe Myskin, dopo un lungo periodo trascorso in Svizzera per curarsi dall'epilessia, torna in Russia, a San Pietroburgo. In tasca pochi rubli, in compenso ha tanto da raccontare e quello che dice e come lo dice gli apre, non si sa come, le porte della buona società.
Si introduce nel salotto del Generale Epacin, conosce tre belle Epacine in età da marito e viene trascinato in un turbine di relazioni incrociate tra alta società in auge e decaduta che gli permettono di cogliere tutte le luci e tutte le ombre, le gelosie, le ossessioni, la superbia e la generosità di una società malata, ma quale non lo è, che gli si svela davanti agli occhi.
Da anima benvoluta ma compatita si trasforma in artefice del destino delle persone che lo circondano, grazie a un'eredità improvvisa che gli cade sulla testa in un momento narrativo che avrebbe, altrimenti, costretto lo scrittore a terminare il suo lavoro e posare la penna. Il caro vecchio espediente del Deus ex machina, in questo caso, anziché risolvere una situazione indistricabile, stravolge completamente l'andamento del racconto e lo pone su una strada nuova.
Personaggi del romanzo e lettore si interrogano sull'utilizzo che il principe vuole fare di questa grande fortuna e lui... si inginocchia davanti a una meretrice e le chiede di sposarlo.
Siamo solo alla metà del romanzo ma in realtà si è già svelato l'intento dell'autore e non vale la pena andare avanti con il resoconto della trama che sarebbe un lungo elenco di azioni e personaggi (una quarantina).
Come nella lettura del Vangelo non è tanto importante la sequenza delle azioni di Cristo quanto la figura del Salvatore, così per "L'Idiota" le differenti scene del romanzo servono solo a svelare la natura di questo Cristo del XIX secolo.

Le affinità con la figura di Cristo sono molte e sparpagliate per tutto il romanzo ma su due mi soffermo: l'amore per i bambini e la compassione, la capacità di comprendere le passioni altrui e, a suo modo, giustificarle e farle proprie.

La definizione di idiota sta stretta a una figura come quella del principe Myskin ma è del resto quella più vicina a descriverlo. L'idiota non giudica gli avvenimenti e le persone in base ai preconcetti della società ma in base a ciò che essi sono e a come gli si presentano, possiede il candore dei fanciulli e da loro viene compreso quando parla, come ci illustra un passaggio del libro:
"Per questo li chiamo uccellini, perché non c'è nulla al mondo di meglio d'un uccellino. Del resto nel villaggio tutti si adirarono con me soprattutto per un certo incidente... quanto a Thibaut (il maestro di scuola), semplicemente m'invidiava; dapprima non faceva altro che scuotere la testa e meravigliarsi che i bambini con me capissero tutto, mentre con lui non capivano quasi niente; poi prese a burlarsi di me, quando gli dissi che noi due non insegnavamo loro nulla, ma che essi avrebbero invece insegnato a noi. E come mai poteva invidiarmi e calunniarmi, quando egli stesso viveva in mezzo ai bambini! Grazie ai bambini l'anima si risana...".
Una persona cresciuta, insomma, che percepisce la realtà che lo circonda come farebbe un bambino e che come un bambino la espone, senza il filtro della moralità caduta degli adulti, delle invidie, delle gelosie, lui che avrebbe tutti i diritti di provare invidia per tutto ciò che non ha, almeno all'inizio: denaro, posizione sociale, salute. 

Con ingenuità non riesce a vedere le proprie miserie ma si accorge di quelle altrui, della tristezza e del dolore, e li porta alla luce, infrangendo il più grande tabù della società, alta o bassa che sia. Scavalca il muro di apparente benessere per portare alla luce, senza secondi fini, il male interiore, concentrandosi sul prossimo, compatendolo, estraendo dall'altro la radice primaria del dolore facendola propria.
La Compassione. 
Come Cristo di fronte alla folla protesse la meretrice portando alla luce le debolezze degli uomini, così il principe mostra compassione verso una mantenuta, Natasja Filipovna, e le chiede di diventare sua moglie:
"Natasja Filipovna, ve l'ho già detto poco fa che accoglierò come un onore il vostro consenso e che siete voi che fate un onore a me e nonio a voi. A queste parole avete sorriso e ho pure sentito ridere intorno, Forse mi sono espresso in modo assai ridicolo ed ero ridicolo io stesso, ma a me è sempre parso di... comprendere in che cosa consista l'onore, e sono sicuro d'aver detto al verità. Poco fa volevate perdervi irrimediabilmente, perché poi non ve lo sareste mai perdonato; eppure non avete nessuna colpa. Non può essere che la vostra vita si a perduta per sempre."
Tuttavia, contrariamente a quanto viene narrato nel Vangelo, proprio questa compassione fa comprendere alla donna quanto sia caduta in basso e quanto sarebbe ingiusto e vile accettare una simile proposta, accettare significherebbe forse un innalzamento della propria posizione sociale ma anche la caduta del principe. Fare mercato del proprio corpo la rende perduta nella società, accettare un simile matrimonio significherebbe perdizione eterna. Natasja lo sa  non accetta la proposta del principe:
"Grazie, principe, nessuno finora aveva parlato così con me, non hanno fatto altro che mercanteggiarmi, e nessun uomo dabbene ha mai chiesto la mia mano... Rogozin! Aspetta un po' ad andartene... Può darsi che venga con te."

Cristo ha salvato il mondo, Myskin non salva nessuno: il mondo si ribella a questo messaggio salvifico di compassione nonostante. Come Cristo, Miskin si propone di sacrificare se stesso e riceve un "No, grazie", il mondo preferisce tenersi il suo dolore piuttosto che ammettere il bisogno di essere salvato.

Più volte, durante la lettura, mi sono chiesta cosa accadrebbe se un nuovo Salvatore attraversasse il mondo. Mi sono chiesta se non fosse già tra noi, se non ci fosse già stato, se fosse stato ignorato. Se avesse ricevuto in risposta un "No, grazie".

Immagine: Cristo nella Tomba di Hans Holbein il Giovane.


domenica 15 marzo 2009




Niki non c'è più.
Ci avevamo messo un po' aper conoscerci: lei era birichina e non vedeva l'ora di portarmi in giro, io avevo paura di farle male  e non sapevo come prenderla. Imparammo l'una dall'altra nelle strade saliscendi di Verona, evitando accuratamente l'ora di punta e parcheggiandoci in luoghi improbabili.
La prima volta in autostrada fu verso Parma, la mia città natale. La nebbia si tagliava col coltello, ci siamo messe dietro le luci rosse di un camion e ci siamo fatte condurre per un po'. Poi, arrivate in città, si andò docilmente a parcheggiare in centro... come la prima volta a Trieste, conduceva lei, indicava la strada che sembrava conoscere e io la lasciavo fare. Casualmente o scientemente riusciva sempre a portarmi dove volevo e tutto quello che a me restava da fare era di trovarle un buon posto dove riposarsi un po'. L'unica città che non ha mai capito è Pesaro e ci perdevamo insieme nel dedalo di strade mal concepite, tra segnali stradali che appaiono e scompaiono lasciandoti col volante in mano e un punto interrogativo nella testa.
Con noi hanno viaggiato un po' tutti: Eros, Eagles, Battisti, Evanescence ma andava pazza per i Guns e quando in autostrada le facevo cantare "You could be mine" si sentiva una Ferrari.

Lei Ronzinante, io la Don Quixotte degli automobilisti a lottare contro mulini a vento marchiati Mercedes.
Ti ho voluto bene, Niki.

domenica 1 marzo 2009

Shopping perbenista

"Hai appena comprato questo libro sottile, innocuo, che ti fa fare bella figura davanti a quella manica di animali dei tuoi amici. Adesso sei una sorta di intellettuale e mecenate, qualcosa a metà strada tra un ricco e colto signore rinascimentale e quelli che amano e masticano la critica letteraria di Pancrazi. Te lo ha venduto un ragazzo nero, abbastanza cordiale e meno insistente degli altri (tipo pakistani con fiorellino rosso o astuccio di incenso), a un prezzo tutlo sommato modico, attorno ai 7 euro. Sei in un pub, oppure nella centralissima Via Dante, o in bocca alla Feltrinelli. Hai appena rimesso in tasca il portafoglio leggermente più sgonfio, non sei propriamente uno che nelle ultime elezioni ha votato qualche partito xenofobo anche se pensi che il flusso migratorio degli extracomunitari all'interno dell'Unione vada regolato. Ti stai rimirando un paio di scarpe con splendida cucitura a mano e stampe lignee e inizi ad avvertire, nel profondo del tuo cuore, una certezza: sei la migliore persona possibile della nostra società. Due birre gelate in meno e una botta di cultura e multietnicità in più. Pensi e cerchi anche di farlo capire a chi ti sta attorno. Cerchi di fare colpo sulla barista cerbiatta o la tua vecchia compagna di liceo con le tette grosse fino a terra. Alla fine lo hai comprato senza pensarci."

Questa appena citata è l'introduzione a un racconto raccolto nel libro "Questa è l'Africa" e sintetizza perfettamente la sensazione di chi, sorpreso nella pigrizia di una passeggiata per il centro, si trova ad acquistare un libro targato "Edizioni dell'arco".
Sono libricini che raramente superano le 100 pagine, agevolano una lettura veloce e, almeno per quanto ne so, non circolano nei canali ufficiali dell'editoria. Di solito te li propone un ragazzo alto alto, atletico e nero nero, con un bel sorriso aperto sulle labbra. Ti chiama "amica" perché non conosce il tuo nome ma sembra che riesca a individuare ogni volta la persona giusta perché è raro che non riesca a scambiare due parole e un sorriso con quelli che ferma.
Quando mi ferma non sono mai sola: a volte c'è mamma, molto più spesso c'è il Teo, dispone a ventaglio i libri e mi lascia scegliere. Io metto da parte quelli che ho già letto, che cominciano a essere numerosi, e gli chiedo informazioni sui restanti. Metto da parte anche i plagi di Gibran (ne ho letto già uno ed è stato abbastanza) e alla fine faccio la mia scelta. Infine si tratta sul prezzo, di solito riesco a cavarmela con un euro in meno a libro, ad acquisto concluso il libro lo volto e scopro che il prezzo che ho pagato è esattamente quello riportato in copertina.
Mi ha fregata anche stavolta, io lo so, lui sa che io so, ma continuiamo a guardarci negli occhi e a sorridere.
Poi ci separiamo e io continuo a passeggiare per il centro tenendo quei libri in mano come una bandiera.
E mi sento decisamente meglio.