domenica 10 dicembre 2017

Leggende del Palazzo del Governatore - Du' paaaaalle!

Ho come l’impressione di dover scrivere qualcosa di positivo su questa raccolta di racconti.

Non ci riesco.

Non nego che il fatto che si tratti di racconti non mi aiuta a trarne maggior piacere poiché ho un problema relazionale grosso con le opere brevi: non mi prendono, non mi acchiappano, non riesco a entrare. Al di sotto delle 150 – 200 pagine non riesco a entrare e dunque non riesco ad apprezzarli. Purtroppo buona parte della letteratura statunitense dell’Ottocento e del primo Novecento è costituita da opere brevi, penso a Henry James, a Poe e ovviamente Hawthorne.

Ora questo libro si è infilato nel carrello di Amazon mentre stavo sfruttando un copioso buono; portato a casa lo ho iniziato dopo qualche mese per intervallare altre letture più impegnative e per tutto il tempo della lettura continuavo a chiedermi “Quanto manca?????!!”

Ricapitolando i punti a sfavore in partenza:
- È un racconto
- È una raccolta di racconti brevissimi
- Tratta di fatti e persone di cui so molto molto poco e di cui in realtà mi importa assai meno
- L’autore è un puritano

Dunque queste le motivazioni che già a libro chiuso rendevano non invitante la lettura. A libro aperto ne ho trovate altre.

Old State House di Boston
sede del governo coloniale britannico dal 1713 al 1776
Insomma per me è meh!

Non dirò che queste leggende siano scontate sebbene i topos si possano ritrovare già nella letteratura gotica inglese a partire dalla metà del Settecento: il capo di vestiario maledetto (o benedetto), il ritratto ammonitore, la presenza infestante di qualche governante, sono temi che si ritrovano piacevolmente, rassicuranti quasi.

Quello che invece è proprio insopportabile è la pedanteria dell’autore. Pesantissimo!

Non solo è pedante ma è talmente didascalico da togliere tutto il piacere della lettura. Si prenda come esempio il passo tratto da “Il mantello di Lady Eleanore”: “La maledizione del cielo mi ha colpito, ché io mi sono rifiutata di chiamare l’uomo fratello, la donna sorella. Io mi sono avvolta nell’ORGOGLIO come in un MANTO”. Non solo l’autore toglie tutto il mistero alla metafora del mantello ma per essere ben sicuro di farsi capire dal lettore lo scrive pure in stampatello cosa che lascia trasparire a mio avviso una certa insicurezza, come una paura di non riuscire a essere sufficientemente bravo a far capire al lettore cosa ci sia dietro alla metafora del mantello.

Dunque pedante, didascalico e infine pesantemente moralista quando parlando della vecchia Esther Dudley scrive “Voi avete conservato come il più prezioso dei tesori tutto ciò che il tempo ha privato d’ogni valore: principi, sentimenti, atteggiamenti, costumi, regole di vita, che le nuove generazioni hanno gettato in un canto”. Grazie Nathaniel, ci mancava l’ennesima lezioncina di morale stile romanzo francese settecentesco.

Interessante sarebbe esplorare la concezione della donna che traspare da questi quattro racconti, argomento che dovrebbe essere approfondito con la lettura delle opere principali dell’autore come La Lettera Scarlatta e La Casa dei sette abbaini, letture che non sono davvero sicura di voler intraprendere perciò l’analisi approfondita la lascio volentieri a qualcun altro.

Tralasciando la figura della donna colpevole de Il Mantello negli altri tre racconti emerge la figura della donna saggia, intuitiva e moralmente lodevole: nella Mascherata è Miss Joliffe a svelare provocatoriamente il significato della processione: “se io fossi una ribelle (…) potrei immaginare che i fantasmi di questi governatori del passato fossero stati evocati per prendere parte al corteo funebre del potere regale nella Nuova Inghilterra”. Come detto precedentemente a proposito delle parole di Lady Eleanore anche qui Hawthorne svela la metafora togliendo ogni piacere al lettore. Non si fa, non si fa, non si fa!

Massacro di Boston,
inciso da Paul Revere 
Nel racconto del ritratto invece è Miss Vane che ci fa intuire il significato di quel dipinto così malmesso che tuttavia resta appeso in una delle sale del Palazzo del Governatore. Oltretutto, giusto per non farsi mancare nulla sotto il profilo dei clichés mi piace sottolineare come vengono descritti il dipinto e Miss Vane. Il dipinto: “un vecchio pezzo di tela annerito… dalla superficie nera e impenetrabile”, Miss Alice Vane: “Vestita tutta di bianco, una creatura pallida ed evanescente”, ci manca solo che Hawthorne sottolinei quanto siano in contrasto per completare la pedanteria. Miss Vane: “Quando chi governa non avverte il peso delle proprie responsabilità, non è male che qualcosa ricordi loro il significato che può avere la maledizione di un popolo”.

E a quanto pare Hawthorne non riteneva male neppure le continue spiegazioni dell’autore al lettore che personalmente trovo sgradevoli e noiose: non si può dire tutto al lettore: se scrivi per metafore, e le opere goticheggianti sono costellate tutte da ampie metafore, devi lasciare al lettore il piacere di comprenderle da solo, lasciarlo cullare nell’illusione di essere tra i pochi privilegiati che possono comprendere i significati nascosti nelle opere. Per questo piacciono libri come Il Codice Da Vinci: perché danno al lettore l’impressione di scrivere per un ristretto pubblico di iniziati, per questo invece viene detestato Il Pendolo di Foucault: perché è davvero scritto per un ristretto pubblico di iniziati.

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