lunedì 30 giugno 2008

Visita al museo


La cosa che sente più stupidaggini al mondo è molto probabilmente un quadro di museo.
Edmond de Goncourt

Sta lì, immobile e vede passare uomini e donne di ogni tipo davanti a sé.
Alcuni passano, guardano indifferenti, per dovere, e se ne vanno. Non recano disturbo.
Adempiono un dovere.
Altri, quando si fermano, dicono un sacco di cose, spesso sono accompagnati, più per avere un ascoltatore ch per sincero desiderio di condividere un’esperienza. A volte mi apposto loro dietro, faccio finta di niente, e ascolto.
… e come è la pennellata
… e la corrente impressionista
… e la vita travagliata dell’artista
… e la critica cosa dice e cosa ha detto.

Credo che troppo spesso si perda il vero significato dell’opera d’arte. Si focalizza troppo l’attenzione su quello che l’autore voleva dire, sul messaggio implicito che si è voluto consegnare.
Ma se un quadro valesse solo per il significato che voleva dargli l’autore, quale significato potrebbe avere per noi?
Perché dovremmo continuare a esporlo, a mostrarlo? Che mi frega a me di quello che ha pensato un uomo solo in un suo periodo circoscritto della sua vita?
Se l’opera fosse tutta lì circoscritta non parlerebbe all’uomo.
L’opera parla all’uomo, anche all’uomo comune, perché si fa interprete di sentimenti comuni, perché ognuno di noi vi trova spiegazione ai propri perché.
Dal momento della sua conclusione l’opera non appartiene più al suo autore, viene consegnata al mondo e solo allora inizia a vivere. Perde il suo significato originale per acquisire un significato particolare per ognuno dei suoi fruitori.
Vero è che mi piace anche conoscere le note biografiche dell’autore, le correnti artistiche a cui si era associato o lo hanno associato. Ma poi finisce lì.
Mi prendo il diritto di vedere quello che vedo. Sentire che ciò che vedo è per me sola e parla a me sola e che solo io posso dare la giusta interpretazione. Per me questo è il metro con cui misurare l’arte.
Ho visto il gruppo di Apollo e Dafne del Bernini… bellissimo, certo. Il marmo sembra plasmato come creta, le superfici sono levigate alla perfezione, l’opera è perfetta, nel suo studio della statuaria antica, nelle proporzioni dei corpi, nella definizione di ogni foglia, di ogni drappeggio.
Tutto, però, termina, per me, nella sua bellezza, come cosa lontana, inarrivabile.
Michelangelo era altra cosa, seppur di pari perfezione tecnica, comunica emozioni ancora oggi, e non perché sui libri di scuola abbiamo imparato ad apprezzarne la dovizia dei particolari. A una prima osservazione della Pietà, questa appare perfetta, opera uscita volontariamente dalla pietra.
Poi si nota la sua disarmonia nelle proporzioni, il corpicino minuto del Cristo tra le braccia di una possente Madonna, una Madonna che, sola, riempie lo spazio e cattura l’attenzione, dal corpo al volto.
Enorme il suo corpo, come enorme è il cuore di una madre che accoglie suo figlio tra le braccia, forti al pari di un uomo, più di un uomo.
Dolcissimo il suo viso, giovane come non dovrebbe essere. Paziente, rassegnato, colmo di fede nel suo dolore. Non si tratta di pura fruizione estetica, l’opera parla al cuore del suo osservatore e si disgiunge dal suo significato religioso, diventando immagine perfetta dell’essere madre, interprete di un sentimento universale che appartiene, o apparterrà a tutte noi.
Commuove e affascina per la facilità con cui riesce a parlare all’uomo, per il significato che ognuno, anche senza sapere nulla di Michelangelo, può leggervi individualmente.

Foto: les demoiselles d'Avignon

martedì 24 giugno 2008

Pioggia


Parigi odorava di asfalto e temporale
Simone de Beauvoir – Una vita spezzata

Che sublime profumo l’odore di asfalto bagnato.
Per chi come me è cresciuto in città.
Nella materna Emilia cinta dalle nebbie
La mattina, andando a scuola, riuscivo a vedere l’edificio solo una volta giunta nel cortile.
Una distanza incolmabile per me bambina
Il profumo elettrico della pioggia mi riporta a casa.
Anche oggi che il sole indora gentilmente la mia città, che non è più Modena, riesco a rivivere la pioggia, e tutte le sue inquietudini, la sua instabilità.
La complicità del dolce ticchettio il sabato mattina, quando è dolce rotolarsi ancora un pò nel letto.
Tic tac Tic tac
La pioggia è sempre diversa, di ora in ora, di luogo in luogo. Cambia con me.

Foto: Londra sotto la Pioggia, Parigi non ce l'ho, ci sono sempre andata col sole.

domenica 22 giugno 2008

Baudelaire



I profumi, i colori e i suoni si rispondono.


Charles Baudelaire - I fiori delMale

Foto: anemone

sabato 21 giugno 2008



Scrivere poesie non è difficile; è difficile viverle.
Charles Bukowski

Ogni essere umano, prima o poi, si ritrova a scrivere poesie.
Sia una immatura composizione per accompagnare fiori
Sia una struggente apertura del cuore vero un mondo spesso sordo
Sia un rabbioso, acidulo urlo di contestazione.
A volte la poesia viene buttata giù, semplicemente, d'istinto, fluisce direttamente dalla mente alla penna, trasmissione di una visione istantanea, non si trattiene, la devi buttare giù in qualche modo perché sai che subito dopo svanirà. E allora prendi carta e penna, se non li hai a portata di mano li chiedi in prestito ovunque tu sia, in spiaggia sotto il sole o a Venezia in piazza San Marco.
Altre volte è una tortura che ti macina dentro, vuoi farla uscire ma lei ti si aggriviglia alle budella e più tiri, più fa male. E' una gestazione complessa che non si risolve. A volte resta là, dove è nata muore. E tace.
Capita poi che le parole non siano nostre ma ci rispecchino perfetamente. Ci si trova a leggere la propria storia scritta da altri. E' piacevole, conforta l'idea di non essere soli. E' sgradevole, spegne la nostra illusione di unicità e ci riproietta nel calderone del già visto, già sentito.
Sono parole vissute,
emozioni condivise,
ci rendono simili e differenti gli uni agli altri,
distinguono gli essseri umani senzienti dalla marea di masticatori e bevitori, aminoacidi sprecati (cit).
Non è necessario vivere ogni poesia, ogni lettura
basta viverne una,
intensamente
totalmente
senza respiro.

Foto: boh, l'ho rubata in giro, se sapete di chi è ditelo.

mercoledì 18 giugno 2008

Allons enfants



Allons enfants de la Patrie, le jour de gloire est arrivé


P.S: Lavoro con i francesi tutto il giorno, tutti i giorni.

Martedì, sentendo alcuni di loro al telefono, ho detto: "comunque vada, niente commenti, non parleremo di calcio, non ci telefoneremo nemmeno mercoledì"

Non ho chiamato nessuno oggi, non come certi olandesi mercoledì scorso, ma non ce la faccio più a trattenermi, sto per scoppiare, a qualcuno dovrò dire quello che penso, non resisto!!!!

Non fanno che parlare con aria di sufficienza dell'Italia e degli Italiani.

Spocchiosi, snob, si sono sempre creduti migliori di noi, anche quando nascondevano i brigatisti, anche quando non riuscivanmo a vincere una sola battaglia senza l'aiuto degli alleati, anche quando vedevano i loro puzzosissimi vini surclassati da quelli italiani...

E' la seconda volta che gli diamo le bastonate... quanto godo, quanto godo, quanto godo.

In effetti il titolo dell'Equipe di oggi non mente, era ineluttabile, palese, troppo chiaro.


Avete bisogno di una citazione? per restare in tema con il blog?

Po-popopo-popo-po

Po-popopo-popo-po


Non so come andrà il resto di questi europei però ci siamo già tolti una bella soddisfazione.


Foto: prima pagina de "L'Equipe" 18 giugno 2008