Il Grande Gatsby è una casa dei sogni costruita mattone dopo mattone, con pazienza e caparbia, è il prodotto dell'illusione, la riscrittura del passato per riportare in dietro il tempo e rimediare agli errori della storia.
È il romanzo dell'inquietudine, il sogno americano infranto, sfracellato dal ricco cinismo e dalla sbadataggine di chi sogni non ha mai avuto perché possiede tutto dalla nascita.
Povero Gatsby, sei un illuso!
Il mondo esisteva senza di te, continuerà ad esistere dopo di te e tu non sei stato altro che un breve passatempo, una festa finita in fretta e ora restano solo bicchieri troppo grandi da lavare, scarpe dimenticate e un pianoforte muto.
Povero Gatsby!
Hai vissuto in un sogno troppo grande per te, per chiunque, non hai capito le regole del gioco e sei stato spazzato via come cenere.
Per comprendere pienamente questo romanzo si deve fare comprendere la geografia dei luoghi: East Egg e West Egg. Sono due penisole di Long Island che si specchiano l'una nell'altra: Da una parte East Egg, residenza dei vecchi ricchi che possono contare su una fortuna costruita nel tempo dagli antenati, dall'altra West Egg, territorio dei nuovi ricchi.
Daisy, la bella Daisy che ha il suono delle monete nella voce, vive a East Egg con il marito e la figlia in una casa bellissima circondata da un parco infinito, affacciata sulla baia, sul pontile della villa brilla una luce verde.
È proprio di fronte alla casa di Daisy, di fronte a quella luce verde che brilla tutta la notte, che Jay Gatsby decide di andare ad abitare, non è di Long Island: è arrivato da poco ma fa di tutto per farsi notare organizzando feste sfarzose e infinite cui partecipa tutta la New York che conta.
Il narratore, Nick Carraway, è anche lui arrivato da poco a new York e si stabilisce in una modesta casa confinante con quella di Gatsby, è un lontano cugino di Daisy e sarà proprio lui lo strumento che Gatsby utilizzerà per avvicinarsi a lei.
È importante visualizzare la geografia del luogo, visualizzare Gatsby in piedi davanti alla baia, le braccia tese nella notte in direzione della luce verde davanti a casa di Daisy
"La sagoma di un gatto oscillò nella luce lunare, e voltando il capo per guardarlo mi accorsi che non ero solo: ad una ventina di passi una figura era sorta dall’ombra del palazzo del mio vicino fermandosi in piedi, con le mani in tasca, a guardare i granelli argentei delle stelle. Qualcosa nei movimenti disinvolti e nella salda presa dei piedi sul prato mi fece capire che quello era il signor Gatsby, uscito a verificare quale fosse la porzione del cielo locale che gli spettava. Decisi di chiamarlo. La signorina Baker lo aveva nominato a cena e questo sarebbe servito da presentazione. Ma non lo chiamai, perché d’un tratto egli diede una prova della sua soddisfazione nel sapersi solo: tese stranamente le braccia verso l’acqua oscura e, per quanto fossi lontano da lui, avrei giurato che stava tremando. Senza volerlo diedi un’occhiata al mare e non distinsi niente all’infuori di un’unica luce verde, minuscola e lontana, che avrebbe potuto essere l’estremità di un molo."
Jay Gastby non è nessuno, viene dal niente, dopo qualche anno trascorso al servizio di un magnate americano si ritrova, alla sua morte, gettato in strada come un cane, incontra Daisy a Chicago, la bella Daisy con il suono delle monete nella voce, il suo palazzo principesco, un sogno. Un sogno da cui si deve separare a causa della guerra.
Per cinque anni, dopo l'esperienza in guerra, Jay Gatsby lavorerà per raggiungere quel sogno, quel palazzo, quella voce.
"Lassù, nel palazzo bianco, la figlia del re, la fanciulla dorata"
Con meticolosità infinita si costruisce, costruisce la propria ricchezza e il proprio passato, manipola la realtà per edificarsi a dio, un dio di cartapesta, venerato finché risplende, una favola della modernità con i suoi valori squilibrati e zoppi.
Contemporaneamente ricostruisce il suo sogno, la fanciulla dorata nel castello diventa il simbolo di tutto il desiderio, le monete nella sua voce, la luce verde in fondo al pontile, sono oggetti fatati che portano a lei, Daisy viene trasfigurata i un ideale di felicità, coronamento del successo.
Al suo arrivo a West Egg le voci si rincorrono sul suo conto: ha ucciso un uomo, era una spia dei tedeschi, ha studiato ad Oxford, è un contrabbandiere, a Jay non importa, che parlino pure se questo può contribuire a portarla da lui.
La sua casa risplende di notte nelle luci delle feste come un faro segnalatore, è questione di tempo e lei verrà, come un ragno Gatsby si apposta ai bordi della sua ragnatela e attende la preda.
E la preda, infine, giunge da lui
"Quando andai a salutare vidi che era ritornata sul viso di Gatsby l’espressione stupita, come se gli fosse nato un lieve dubbio sull’entità della felicità presente. Quasi cinque anni! Perfino in quel pomeriggio dovevano esserci stati momenti in cui Daisy non era riuscita a stare all’altezza del sogno, non per sua colpa, ma a causa della vitalità colossale dell’illusione di lui che andava al di là di Daisy, di qualunque cosa. Gatsby vi si era gettato con passione creatrice, continuando ad accrescerla, ornandola di ogni piuma vivace che il vento gli sospingesse a portata di mano. Non c’è fuoco né gelo tale da sfidare ciò che un uomo può accumulare nel proprio cuore. Quando lo fissai, si riprese visibilmente. Teneva fra le sue una mano di lei e, quando Daisy gli disse qualcosa all’orecchio, le si avvicinò in uno slancio di emozione. Credo che quella voce lo avvincesse col suo calore fluttuante e febbrile soprattutto perché non poteva superare il sogno: quella voce era un canto immortale. Mi avevano dimenticato, ma Daisy alzò lo sguardo e tese la mano; Gatsby non mi riconobbe affatto. Li guardai ancora una volta e mi restituirono lo sguardo, remoti, dominati da una vita intensa."
Gatsby è a un passo dalla felicità, tende la mano, la afferra, è sua.
Gatsby ha vinto, ha reinventato la storia, sé stesso, ha riportato indietro il passato a quell'ultimo bacio e adesso tutto può ricominciare come se il tempo non fosse mai esistito.
Illuso!
Tu non sei niente Jay Gatsby, sei una parentesi nella storia, una festa volgare, un tendone da circo che presto cambierà città.
Tu non appartieni a questo mondo, non appartieni al mondo della principessa dorata: quello è il vero mondo, il tuo non è che una volgare parodia, è il riflesso sulla parete della caverna, la realtà è al di là di quella baia, stanca, annoiata, insensibile, imperfetta.
E la realtà ne ha avuto a sufficienza di te, dei tuoi completi kitsch, delle tue feste esagerate, della musica e delle luci.
Hanno giocato, si sono divertiti ma adesso basta, i giochi vengono riposti in soffitta, i domestici danno una spazzata alla bella casa sulla baia e riportano tutto in ordine in attesa del prossimo balocco.
Alla fine ne escono tutti sconfitti, chi di più, chi di meno, nessuno vince davvero, resta un ultimo feroce ricordo: Jay Gatsby nella notte, con le braccia tese sulla baia verso la luce verde all'estremità del mondo di Daisy.
Eccolo il Nuovo Mondo davanti a noi, la vera tragedia americana, l'illusione di poter cambiare sé stessi e il proprio passato e venire invece ributtati insietro, come barche contro corrente.
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