Se si vuole iniziare a leggere Virginia Woolf lo si deve fare partendo da questo scritto. Ho fatto l'errore di iniziare dai romanzi e non ho saputo apprezzarla ma qui sì!
Davvero!
E probabilmente grazie a questo saggio, a questa confessione, sfogo, posso pensare di riprendere in mano i suoi romanzi anzi, dovrebbero dirlo tutti i professori di inglese nelle scuole e nelle università: "Non iniziate a leggere i romanzi della Woolf se prima non avete letto Una stanza tutta per sé".
Perché? Perché offre il passepartout per la sua produzione letteraria, la lente con la giusta gradazione per vedere nitidamente il suo pensiero.
Basato su due conferenze che l'autrice tenne nel 1928 su "Le donne e il romanzo" sarebbe dovuto essere una digressione sulle figure femminili che hanno esplorato l'arte del romanzo fino a farlo proprio inventando di fatto un nuovo genere letterario e un nuovo linguaggio ma qualcosa è sfuggito di mano, il testo ha preso una sua strada lasciandosi guidare da quel flusso di coscienza che è diventato il tratto distintivo della Woolf e tutto quello che lei ha potuto fare è stato dargli una struttura, arginarlo per quanto possibile, come un fiume gli ha dato argini entro i quali scorrere assecondando la sua corsa.
E che corsa!
Il primo terzo del libro è dedicato a rispondere al quesito "Quali sono le condizioni necessarie a produrre un'opera d'arte" e le condizioni sono principalmente due: una rendita annuale che garantisca il sostentamento e una stanza tutta per sé.
La rendita
Le donne sono sempre state povere, o meglio, le donne non hanno mai davvero potuto possedere del denaro. Nel Regno Unito solo dal 1870 le donne sposate diventavano proprietarie dei soldi che ereditavano o guadagnavano, prima di allora tutto ciò che la donna ereditava o guadagnava diventava di fatto proprietà del marito e la donna non poteva disporne se non con il consenso dello sposo. Le nubili e le vedove invece potevano disporre del proprio denaro liberamente.
Una rendita annuale di 500 sterline Virginia l'aveva ereditata da sua zia e così la racconta: "La notizia dell'eredità mi raggiunse una sera più o meno alla stessa ora in cui veniva approvata la legge che concedeva il voto alle donne. (...) Delle due cose - il diritto al voto e il denaro - il denaro, devo ammetterlo, mi sembrò di gran lunga la più importante".
Prima di allora si era guadagnata da vivere "mendicando lavori saltuari presso i giornali, scrivendo indirizzi sulle buste. (...) il fatto di dover fare sempre un lavoro che non si aveva voglia di fare e di farlo come una schiava, adulando e lusingando e il pensiero di quel solo talento destinato a perire diventò una specie di ruggine." Con la rendita "Cibo, alloggio e vestiario sono miei per sempre. (...) Non ho bisogno di odiare nessun uomo; egli non può ferirmi. Non ho bisogno di adulare nessun uomo; egli non ha niente da darmi."
La rendita affranca la donna dalla dipendenza dall'uomo e, badate bene, qui si parla di rendita perché all'epoca i lavori permessi alle donne erano pochi, di infima considerazione e con guadagni talmente bassi che non potevano garantire una vita dignitosa, all'epoca della stesura di questo saggio, 1929, la possibilità che una donna potesse fare lo stesso lavoro di un uomo (e avere la stessa retribuzione) era talmente remota che non viene presa nemmeno in considerazione.
La Stanza
Altra condizione indispensabile alla produzione letteraria è La stanza, la stanza tutta per sé che non sia un luogo di passaggio di invitati, parenti, panni da lavare e stendere, bambini da accudire, mariti da sfamare, un luogo fisico in cui il pensiero possa lasciarsi cullare dal silenzio.
L'istruzione
Il tema dell'istruzione ritorna costante in tutta la prima parte del libro. I dettami dell'educazione vittoriana riservavano alle donne un'istruzione casalinga fatta di lezioni di piano, cucito e poco altro, riservando gli studi solo ai maschi.
Scrive all'inizio del libro immaginandosi nel giardino della fittizia Università di Oxbridge: "quell'uomo era un custode; io ero una donna. Qui c'era il prato, più in là il vialetto. Soltanto ai Membri del college e agli Studiosi è consentito poggiare i piedi qui: il mio posto è la ghiaia" e poi ancora "si rammaricava del fatto che le signore avessero accesso in biblioteca solo se accompagnate da un Membro del College o se fornite di una lettera di presentazione."
Se quando parla dei soldi e della stanza la Woolf mantiene una scrittura oggettiva e pacata, quando tratta il tema dell'istruzione si trasforma in iena, il rancore profondo e l'invidia sono mal celate dalla sua ironia, è più forte di lei: il fatto che i suoi fratelli maschi abbiano avuto accesso all'istruzione pubblica e lei no le brucia immensamente, a maggior ragione perché la sua non era una qualunque famiglia borghese: il padre era uno storico e critico letterario e la madre apparteneva a una delle famiglie dell'alta società londinese, la sua casa era frequentata dai maggiori intellettuali e scrittori dell'epoca ma a lei il mondo della cultura era stato precluso: il suo posto è la ghiaia. La rabbia viene trasformata in ironia ma nulla riesce davvero a celare il risentimento.
Gli appunti sul libro |
Confesso che iniziando a prendere appunti su questo saggio avevo tutta un'altra intenzione: scrivere del femminismo dei primi del Novecento, del diritto della donna all'istruzione, della scrittura femminile... le cose non sono andate proprio così. Ho ripercorso velocemente gli appunti presi a margine del libro e li ho buttati giù a blocchi. Un paragrafo qua, un paragrafo là, poi li ho riletti per definirne i concetti principali, le prime impressioni e difficilmente riesco ad esprimere la mia delusione nello scoprire che la maggior parte delle note riguardava sentimenti di rancore, nostalgia, invidia e relativamente poco spazio veniva dedicato alla scrittura femminile.
Testimoni di questo rancore sono le parole rivolte per lettera all'amica Ethel Smyth: "Non ho scritto una stanza, ammetterai, senza un notevole coinvolgimento; l'argomento non mi lascia certo fredda. Mi sono sforzata di mantenere la mia figura fittizia, leggendaria. Se avessi detto, guardatemi, sono ignorante, perché tutti i soldi di casa sono stati spesi per i miei fratelli, che è la verità - bene, avrebbero detto, tira l'acqua al suo mulino, e nessuno mi avrebbe preso sul serio"
La scrittura femminile
Alla scrittura femminile la Woolf dedica la seconda metà del saggio passando in rassegna autrici inglesi dalla seconda metà del Seicento fino ai suoi tempi.
Le prime autrici citate sono Lady Winchislea e Margareth di Newcastle che la Woolf descrive come "perseguitata e distratta da odii e rancori. (...) Eppure è chiaro che il fuoco bruciava dentro di lei, se solo avesse avuto la mente libera dall'odio e dalla paura e non ingombra di amarezza e risentimento.""Ambedue nobili, ambedue senza figli, ambedue sposate con uomini di grande qualità. In entrambe ardeva la stessa passione per la poesia, entrambe appaiono sfigurate e deformate dalle stesse ragioni.".
La stessa deformazione la Woolf la vede negli scritti di Charlotte Bronte i cui libri risultano "deformati e contorti", che "scriverà con rabbia, mentre dovrebbe scrivere con calma. Scriverà con tono frivolo mentre dovrebbe scrivere con tono saggio. Scriverà di se stessa mentre dovrebbe scrivere dei suoi personaggi."
La stessa deformazione, ahimè, si riscontra tra le pagine della Woolf in questo saggio: invidia, rancore, desiderio di rivalsa e denigrazione di un maschio che ha bisogno della donna "come specchio, dal potere magico e delizioso di riflettere la figura dell'uomo ingrandita fino a due volte le sue dimensioni normali. Come farebbe lui a continuare a esprimere giudizi, a civilizzare indigeni, a promulgare leggi, a scrivere libri (...) se non fosse più in grado di vedere se stesso, a colazione e a cena, ingrandito almeno due volte la sua stessa taglia?"
Nel Settecento si presenta alle donne la possibilità di scrivere e di guadagnare scrivendo. Una delle prime è Aphra Behn che, rimasta vedova, dovette guadagnarsi da vivere con il proprio ingegno mettendosi a scrivere, alla fine del secolo molte donne si aggiunsero cominciando a guadagnare con la propria scrittura, iniziarono a frequentarsi, incontrarsi, scrivere saggi di letteratura, tradurre classici...
Una rivoluzione.
La donna della classe media cominciò a scrivere
"Il denaro conferisce dignità a ciò che è frivolo quando non viene pagato"
Con Jane Austen la donna inizia a scrivere senza odio né rancore, scrivere da donna senza scimmiottare, senza rabbia o moralismi, Virginia Woolf lo definisce "il miracolo di Jane Austen". Austen, Bronte, Eliot scrivevano di ciò che conoscevano bene, della vita quotidiana, della società di campagna, di Bath, di istitutrici e mulini. Era il loro territorio, la loro essenza, narrata con un nuovo linguaggio che si rifaceva al tono degli epistolari: da secoli le donne scrivevano: scrivevano lettere ad amiche lontane e conoscenti per raccontare la loro vita, gli accadimenti della loro città, i pettegolezzi... con Jane Austen, George Eliot ed Emily Bronte questo linguaggio contribuì di fatto a creare un genere letterario: romanzi scritti da donne che scrivono come scrivono le donne, senza scimmiottare la scrittura maschile.
E con il nuovo linguaggio del romanzo compaiono nuovi intrecci e nuovi sentimenti: la donna non è più angelo come Ofelia e non è più demone come Fedra (entrambe creature maschili): è finalmente un essere umano: "fino ai tempi di Jane Austen non solo erano viste attraverso gli occhi dell'altro sesso ma erano viste unicamente in rapporto all'altro sesso." Fino alla Austen metà della popolazione mondiale non aveva trovato vera rappresentazione nella letteratura non tanto perché non presente, era presente eccome, ma era sempre vista attraverso gli occhi dell'uomo, santa o strega, madre o amante.
Amica mai.
I suoi sentimenti erano amore, follia, odio, devozione, tutto portato agli estremi. Quando le donne iniziarono a scrivere irruppero nella letteratura sentimenti poco "letterari" forse ma sicuramente più umani, più verosimili.
La mia stanza tutta per me. Alle spalle i libri di una vita oltre la finestra il mare |
E poi l'assenza
Terminata la lettura rimugino sullo scritto, un senso pesante di rancore aleggia nell'aria e un'assenza.
Questa assenza diventa sempre più ingombrante: la Woolf non menziona Mary Shelley.
Perché?
Poiché la Woolf aveva tenuto lezioni nelle università sono andata a cercare riferimenti alla Shelley in altre circostanze... non ne ho trovati.
Perché?
Forse una risposta si può trovare qui: perché la Shelley aveva avuto dalla famiglia e dalla vita tutto quello che Virginia aveva desiderato: una stanza tutta per sé, una rendita e soprattutto una buona educazione, esperienze di viaggi e l'incoraggiamento dei suoi familiari.
"Mary Shelley possiede quella mente incandescente e androgina che la Woolf ritiene necessaria alla produzione di buona prosa: non ha ragione di provare rabbia, acredine o risentimento perché nonostante la società ottocentesca non la incoraggi ottiene un'educazione di qualità e può contare sul supporto della sua famiglia paterna e di suo marito P.B.Shelley.
Oh, probabilmente jè rode.
La conclusione la lascio a Virginia: "Nel bene o nel male ho apportato l'ultima correzione a le Donne e il Romanzo, o Una stanza tutta per sé. Non lo rileggerò più, penso.
Bello? Brutto? C'è un'inquieta vitalità, si sente una creatura che inarca la schiena e galoppa, anche se come al solito c'è parecchio di fiacco, di inconsistente, di stridulo".
EDIT 03.05.2018
E ditelo che questo testo si deve assolutamente leggere prima di affrontare Possessione di Antonia Byatt!!! Letto prima è un testo onanistico arzigogoloso, letto dopo rasenta il plagio intellettuale!
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