mercoledì 15 ottobre 2008

La versione di Barney


Inizio dalla prima volta che ci siamo visti. Estate. Ero all’Auchan per una spesa veloce, per quanto possa essere veloce una spesa con migliaia di oggetti che ti ammiccano dagli scaffali cercando di attirare la tua attenzione e un fiume di gente in piena che ti travolge portandoti in giro fra le rapide. Per fortuna lì c’è sempre un luogo semideserto, popolato solo da creature perse che si danno appuntamento dove è meno affollato: quello dei libri. Aspettate. Prima devo spiegare una cosa: un fenomeno strano che si verifica tutte le estati è la misteriosa comparsa di ondate di libri sugli scaffali, solitamente deserti negli altri periodi dell’anno. E tutti gli anni, a luglio, mi ritrovo a curiosare tra titoli stranoti, titoli à la page, come quest’anno le opere di Doris Lessing, Nobel del 2007, e titoli sconosciuti di autori ancor più sconosciuti, almeno a me.
E’ proprio tra gli autori meno noti che ho imparato ad apprezzare le opere di Antonia Byatt e Koetzee perciò ci do sempre un’occhiata.
Ad altezza occhi trovo proprio Doris Lessing e il suo libro sui gatti, un po’ più in alto Joseph Roth, che io confondo con Philip Roth e metto in fretta nel cestino. Impiccato in alto un certo Mordecai Richler mi fa l’occhiolino, sono in vena di shopping, prendo anche lui, vado con il mio bottino alla cassa e torno a casa. Ripongo tutti e tre, e altri dei quali non ho accennato, su una piccola libreria all’ingresso così divisa: sopra una foto che ci sta sempre bene, primo ripiano i libri di prossima lettura, secondo ripiano i libri appena letti che sono troppo pigra per riporre con cura nello studio, ripiano in basso le uscite di “Invito all’Opera”.
La settimana scorsa Mordecai mi ha di nuovo strizzato l’occhio e l’ho infilato in borsa per leggermelo con comodo durante la pausa pranzo sotto il mio ulivo (approfitto del bel tempo finché si può), porto con me anche un Victor Hugo nel caso quello che legga non mi piaccia.
E invece mi piace.
Hugo torna la sera stessa sulla libreria.
La foto in copertina mostra un uomo sui trent’anni spaventosamente somigliante a James Dean, non c’entra nulla con il libro: è una foto dell’autore scattata probabilmente negli anni 50-60.
Nel primo capitolo l’autore cerca di spiegare lo scopo del libro ma ci riesce a pieno solo durante la narrazione, Barney, produttore televisivo canadese prossimo alla settantina, racconta la sua vita a partire dal momento del distacco dalla famiglia e lo fa dandone, ovviemnte, la sua versione.
Ha vissuto, negli anni ’50, un periodo bohémien a Parigi, circondato da amici con mire letterarie, alcuni dei quali hanno avuto successo e vedono le loro opere esposte oggi, gli anni ’90, in varie librerie. Uno di questi, nella sua ultima fatica, ha scritto proprio di quella ghenga, così la chiama Barney, di giovani canadesi a Parigi. L’immagine che ne esce di Barney è orribile, miserevole direi. La versione di Barney è una vendetta: nei confronti dell’amico scrittore, nei confronti della società che lo ha visto imputato in un caso di omicidio ancora irrisolto, per il quale molte delle sue conoscenze lo ritengono colpevole, nei confronti di se stesso, perché è riuscito a rovinare qualsiasi cosa abbia avuto tra le mani.
Non c’è apologia, tutto è raccontato nei più beceri aspetti, la vita bohémienne di Parigi non è rivestita di quella patina romantica che ci si potrebbe aspettare: la narrazione è triviale, bassa, il suo primo matrimonio viene descritto come una fatalità inevitabile per riparare alla gravidanza della sua amichetta e il bambino che ne nasce, senza vita, non è nemmeno suo, ma Barney confessa di essersene accorto solo nel momento in cui lo ha visto, troppo scuro per essere il figlio di due ebrei canadesi.
Il secondo matrimonio non è certo meglio: involontariamente si trova a dire “lo voglio” e non si capisce nemmeno perché. Quello che si capisce è che lei potrebbe essere perfetta, per altri, non per lui, lui è quanto di più distante dalla perfezione.
Mentre leggo non mi accorgo che le pagine scorrono velocemente, saranno le storie di inverosimile quotidianità, sarà quel tono canzonatorio dell’autore nei confronti di se stesso, saranno quei discorsi bassi, talmente reali, talmente intimi, che un uomo farebbe a stento anche con se stesso.
E’ il racconto di un vecchio che cerca di sopravvivere alla quotidianità dei nomi di oggetti che non gli vengono in mente, ricorsivamente ripete una sorta di mantra che gli serve per dimostrare a se stesso di non essere decrepito: l’aggeggio che serve per versare la minestra, i nomi dei sette nani, associazioni di nomi di autori e opere scritte. Quando non ci riesce dice sarcasticamente “chi se ne frega”, quando pensa di esserci riuscito fa “tiè!”, quasi avesse vinto una partita che sta giocando da solo.
E’ il racconto di un vecchio che non si vergogna di descrivere la sua visita dal proctologo, non si vergogna di menzionare le incontrollate e rumorose reazioni del suo intestino a cena con una squillo.
Barney è un uomo solo che è riuscito a distruggere ogni cosa nella sua vita, ha distrutto tutto perché ha sempre denigrato tutto, per primo se stesso. Ma ama la sua famiglia, la vede attorno a sé anche se i figli hanno ormai lasciato il nido e Miriam, la terza moglie, lo ha lasciato per mettersi con un “professorone-vegetariano-salviamo-le-balene-niente-pelliccia-per-favore”. Si aggira solo per casa, accarezza la sedia a dondolo sulla quale Miriam allattava i figli, fruga tra i libri, gli sci, le racchette dei suoi bambini… è talmente reale il suo narrare che ti viene di girarti e dire “Piantala di muoverti alla rinfusa, mi dai fastidio!”. Durante tutta la narrazione sempre lo stesso intercalare: “Miriam, mia Miriam”, la vede ovunque e le dice “Sei bellissima, Miriam”, bellissima a vent’anni quando l’ha vista per la prima volta al suo proprio secondo matrimonio e, dopo aver detto sì, l’ha rincorsa per chiederle di fuggire a Parigi, bellissima al primo appuntamento dove lui ha vomitato per tutto il tempo, bellissima arrabbiata, bellissima a sessant’anni, all’ultimo appuntamento, poco dopo aver scoperto di soffrire di Alzheimer, prima di non ricordarla più.
L’ultimo incontro non appartiene già più alla versione di Barney: Barney ha già finito di ricordare, a proseguire il racconto è uno dei suoi figli, Saul, che, con l’amore e con l’odio che accompagna il rapporto padre-figlio, cerca di ricostruire gli ultimi giorni del padre, troppo tardi per amarlo, troppo presto per comprenderlo, troppo tardi anche per dargli ragione lì dove tutti, amici e parenti, gli avevano dato del bugiardo. Le ultime due pagine mi fanno balzare in piedi, con una mano tengo il libro, con l’altra incito Michael a “vedere” la realtà di fronte i suoi occhi, stringo il pugno e urlo: “Ma non vedi, pezzo d’idiota? Non capisci?”. Alla fine comprende, comprendiamo tutti.

11 commenti:

  1. Di Mordecai ho letto solamente "The Street" mi aspettavo una narrazione completamente diversa dalle storielle che invece compaiono nel libro, di conseguenza non l'ho apprezzato per niente.

    Cosi' ho accantonato l'autore, errore grave, non si puo' giudicare in base a un solo libro.

    Da quello che descrivi tu, mi pare un racconto molto interessante e forte, nella sua semplicita'

    Probabilmente sono un "Pazzo Visionario", mentre leggevo il tuo post mi ricordavo della solitudine di Adriano Mais e dell'eterna sfortuna di Cyrano de Bergerac...

    "Sicuramente sono un Pazzo Visionario"

    Ale

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  2. C'è molto della solitudine del Mais ma nulla della sfortuna di Cyrano: Cyrano era un poeta, amante della vita, un uomo meritevole ma sfortunato. Barney, nella sua versione, sembra non meritare nulla anzi, sembra avere una fortuna sfacciata: fa un sacco di soldi (ai quali non ho accennato), ha amici altolocati, alcuni davvero sinceri (e questo mi sembra davvero qualcosa di fortunato), ha avuto tre splendide mogli, ognuna meritevole di essere amata e apprezzata e non è riuscito a tenersene una. Di Meis c'è l'insoddisfazione, la ricerca di quell'"altro" che alla fine non porta nulla.

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  3. Non avendo letto il libro le mie conoscenze sono super-limitate pero' nelle tue righe mi era parso di scorgere, nonostante le tre bellissime mogli, una certa tristezza a livello sentimentale specialmente quando se ne va l'ultima moglie Miriam, il grande rimpianto della vita di Barney...

    Era qui che mi agganciavo alla vita del buon Hector Savinien, e' stato un semplice Flash, ho letto dell'eterno amore per Miriam ed ho pensato a lui...

    Comunque a questo punto mi comprero' il libro perche' mi hai incuriosito, magari rivalutero' anche Mordecai...

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  4. Anche nel "mio" Auchan il reparto libri è sempre deserto :|

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  5. Anche nel "mio" Auchan il reparto libri è sempre deserto :|

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  6. @ Ale: Io ho letto solo questo, scritto già in tarda età, magari hai ragione e gli altri sono brutti. Però era da tempo che non provavo tutta questa serie di emozioni leggendo, ho passato in rassegna quasi tutti li umori conosciuti.
    @ Elena: meglio così, c'è più spazio e più tempo per la scelta.

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  7. L'Auchan di Luglio mi ha regalato perle del tutto inattese, quest'anno.

    In genere reputo che leggere qualunque cosa non sia saggistica scientifica equivalga a "perdere del tempo": non per un'idea snobbistica e preconcetta, ma per becera constatazione della pochezza del tempo a mia disposizione e della simultanea vastità del mio ignoto.

    Quell'inizio di luglio, entrando all'Auchan di Fano, coccolavo soddisfatto l'idea di me, per intere giornate sul bagnasciuga, a sfoltire un po' l'elenco dei "miei libri da leggere". Sentivo però anche il bisogno di distrarre un po' il mio cervello con qualcuna di quelle attività "non ordinarie" che rimangono nell'elenco "da fare" senza alcuna scadenza.
    Così, quando la coda dell'occhio colse l'ordinata schiera di volumi nuovi, istintivamente svoltai nella corsia dei libri.

    Avevo letto pochi giorni prima, in un trattato di teoria delle reti, un riferimento a "Cronache Marziane" di Bradbury: quando me lo trovai davanti fu solo un'attimo buttarlo nel carrello.

    Li vicino c'era il buon vecchio Asimov con i suoi robot: avevo terminato qualche settimana prima una lettura sul punto della ricerca dell'AI: via, a far compagnia a Bradbury.

    Ero soddisfatto: avrei messo i due volumi nella coda first-in/first-out delle letture complementari.

    Poi l'occhio mi cadde su un nome noto: Petacco.
    Avevo già letto qualcosa, ma non ricordava cosa... "Benito contro Mussoli"? Mah, forse...
    Non so perché, ma anche il suo archivio segreto finì nel carrello, forse un po' sgomitando per farsi posto tra gli eminenti scrittori anglosassoni.

    Inattesi gli acquisti, inattesi gli esiti di essi.
    Appena giunto a casa, cominciai subito a sfogliare Petacco, riempendo la mia tazza di caffè americano: mi fermai solo due giorni dopo, quando il libro terminò.

    Mi è capitato di definire quel libro "illuminante", ma in realtà per la maggior parte del tempo è stato anche "esilerante".

    L'Auchan di Luglio mi ha regalato due giorni di "fuori programma", assolutamente gratificanti.

    Quanti fuori programma gratificanti perderò sino al prossimo luglio? Quante letture, di quelle che non leggerei mai come attività ordinaria, non mi illumineranno?

    Mi riprometto, chiudendo questo commento, di sfruttare almeno un po' le festività natalizie per programmare qualche nuovo "fuori programma".

    PS: Bradbury e Asimov sono vicini ora, sullo scaffale delle letture in attesa, assieme a altri volumi che si sono aggiunti negli ultimi mesi. Petacco se la ride, comodamente sistemato tra i suoi colleghi storici, tutti rigorosamente già letti.

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  8. Porca boia, quante volte ti devo dire che "Benito contro Mussolini" lo ha scritto Luca Goldoni? Niente da fare, rinuncio, come rinuncio a pensare di farti entrare in testa un giorno l'orario d'inizio dei GP in Europa: le 14.00, sempre le 14.00.
    Il procedimento del last-in first-out lo ho applicato anch'io: Barney è stato l'ultimo libri che ho messo nel cestino e il primo a finire sullo scaffale dei libri letti, Lessing e Roth ancora aspettano... magari gli faccio dispetto e prima mi leggo l'archivio segreto visto che per tutto il tempo della tua lettura non hai fatto che ridere.

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  9. Forse allora era "Benito di tacco"?

    Stupido orso...

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  10. la versione di barney é uno dei libri che ho piú amato. una perla isolata (tutta la restante produzione di richler non é alla stessa altezza). sul corriere orrico lo aveva incensato, cosí come ferrara sul foglio. nonostante la pochezza di questi due personaggi, il libro é realmente una storia splendida e incredibile, e barney una persona reale, piena di pregi e di difetti...

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  11. @All: Infatti la cosa che più ho apprezzato è proprio la realtà del personaggio Barney, la sua aderenza alle cose materiali, la descrizione anche delle più intime storie di vita vissuta.
    Da quello che ho capito leggendo il commento tuo e quello di Ale mi sa che gli altri suoi libri non sono da leggere. Sono stata fortunata.

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