domenica 13 luglio 2008

Ritorno a casa


Credevate, o cani,
che d'Ilio io più non tornassi, e intanto
la casa disertar, stuprar le ancelle,
e la consorte mia, me vivo, ambire
costumavate, non temendo punto
né gli dèi la grave ira, né il biasimo
permanente degli uomini. Ma venne
la fatale per voi tutti ultima sera.
Omero – Odissea

Nella traduzione di Ippolito Pindemonte
Odisseo, valente guerriero, oratore sottile, escogitatore di tranelli. La storia di quest’uomo si dipana attraverso un complesso organico di eventi che hanno plasmato la sua vita e la sua personalità.
La materia narrativa viene dall’incrocio di due filoni narrativi. Il primo è costituito da un viaggio tra contrade remote e favolose, irto di pericoli dai quali riesce a sfuggire grazie alla sua abilità e all’aiuto di Atena. Il secondo è costituito dall’agognato ritorno in patria, la riconquista del suo regno e della sua donna.
Nei primi canti del poema viene descritta l’attuale situazione di empasse: Ulisse prigioniero da sette anni della ninfa Calipso che ne vuole fare il suo sposo promettendogli vita eterna, Penelope, ostaggio dei Proci che vogliono che lei si scelga un nuovo sposo perché Ulisse è dato ormai per spacciato. Negli otto seguenti canti Ulisse, dopo essere sfuggito a Calipso, approda alla terra dei Feaci ai quali racconta la propria avventura, un espediente narrativo molto comune quello dell’inizio in medias res, normalmente una situazione di stasi, o positiva, o negativa, che spinge il protagonista a raccontare i fatti che precedono l’incipit sfruttando una tecnica che soprattutto nel primo Novecento, grazie ai narratori francesi come Gide, tornerà alla ribalta: la mise en abyme, il racconto nel racconto che si dipana come un quadro incorniciato a sua volta da un altro quadro, come l’autoritratto di un pittore che dipinge sé stesso mentre si fa un autoritratto.
I Feaci lo riportano nella sua patria, Itaca, e qui inizia la seconda parte dell’opera: la riconquista del regno in incognito, aiutato da un esiguo gruppo di alleati tra i quali suo figlio dal quale si è fatto riconoscere. I soli a riconoscerlo nonostante il camuffamento che Atena aveva operato su di pui sono la sua anziana serva, che lo aveva nutrito e cresciuto e che conosceva tutto di lui, e il suo fedele cane Argo che ha voluto attendere, seppur in condizioni miserabili, il ritorno del suo padrone e che, dopo avergli dato il benvenuto, spira, finalmente sollevato dall’angoscia.
Più di tutto, più di tutte le avventure, sono questi due personaggi che hanno sempre avuto per me la massima attenzione, i soli a credere subito e incondizionatamente al ritorno dell’eroe, i soli a non essersi mai davvero perduti d’animo, i soli a prestare una fiducia incondizionata e totale. I soli a “sentire” Ulisse prima che vederlo.
Si tratta dei passi più commuoventi del libro, tra quelli più ricchi di emotività dell’intera letteratura e la cosa meravigliosa è che sono brevi brevi, tanto da obbligare il lettore a leggerli, e poi rileggerli, e poi leggerli ancora perché non si sazia il desiderio di emozionarsi, perché la loro bellezza e perfezione sta nella concisione, nel toccare la vetta più alta dell’emotività con poche, semplicissime parole. Come una poesia di Ungaretti apre moltissime possibilità di interpretazioni e suggestioni, questi passi raccolgono in loro tutta l’essenza dell’emozione di cui si fanno portavoce e regalano al lettore due minuti di pura poesia che vale la lettura dell’intero testo.

Foto:una strada, a Urbino

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