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domenica 22 ottobre 2017

Un Uomo - Panagoulis, Sisifo, Prometeo, Cristo


Ci sono libri che lasciano così
pieni e svuotati
sazi e disossati
le braccia lungo il corpo
la testa reclinata all'indietro
le gambe molli
quasi a voler assaporare fino all'ultimo sorso quell'amaro che chiude il pasto.
Che è in realtà il pasto di qualcun altro, il bicchiere di qualcun altro dal quale ci siamo serviti con prepotenza e indiscrezione.

Per una settimana vivere la vita di un altro, pensare con la testa di un altro, amare l'uomo di un altro, provare le emozioni di un altro e poi trovarsi soli e stringere, toccare, guardare il libro che ha regalato ore piene, sature, gonfie.

A quel "Non piange!" un singhiozzo si strozza in gola,
un rigurgito quasi.
Lo caccio indietro.
Non posso, non posso appropriarmi anche del suo dolore dopo che mi ha già dato tutto, non posso rubarle anche le lacrime che non ha versato.
Lo stesso singhiozzo montato alla liberazione di Panagoulis, quando dalla nebbia di luce si staglia, nera, la figura della madre in una messa in scena che l'immaginazione di nessun regista potrebbe eguagliare.
E' Oriana.
La sua narrazione fotografica fatta di pochi dettagli che colgono l'essenza del messaggio, pochi aggettivi, ancora meno avverbi, frasi brevi, brevissime, a volte solo una parola e un punto esclamativo, un'invocazione e un punto esclamativo, una bestemmia e un punto esclamativo.

I dettagliati particolari della camera mortuaria, l'acciaio, il numero di matricola della pistola, estranianti, allontanano la memoria del dolore. Oriana si sofferma sull'acciaio, sulla lampadina che ciondola da un filo, metallo lucido, liscio, la ventata di ghiaccio. Distoglie l'attenzione dal dolore, dalle emozioni, dall'impalpabile per ricondurre tutto sul rassicurante piano di colori, oggetti, qualcosa di definito, determinato.

"Non piange!"
E tu vorresti vederla piangere, strapparsi i capelli, urlare come in una vera tragedia greca ma lei "Non piange".

Mantenere il controllo.
Mantenere il controllo.
Focalizzarsi sui dettagli, l'acciaio, la lampadina, il gelo e poi al funerale le pietre preziose, gardenie, garofani, rose.
La folla al funerale come scudo, come arma.
La costruzione della consapevolezza che fosse tutto deciso, tutto programmato e nel libro ricorrono i presagi, veri o finti, l'aglio, pagina ventitré, il sogno del masso sulla montagna, due volte estate, due volte autunno, santi da pregare e santi da ignorare, il 5 maggio, il 1° maggio.
L'uomo è superstizioso, crede ai presagi e piega la propria vita per assecondarli, dolcemente, impercettibilmente si piega come fanno le spighe di grano alla brezza.

"Dominio:  E i divini ti chiamano Prometeo, il Presago: illusione d'un nome! Di "presagi" proprio tu hai bisogno, del trucco, come sgusciare da questo cerchio ingegnoso." Prometeo Incatenato - Eschilo
E' proprio dei tragici greci lavorare sull'etimo dei nomi. Nomen Omen.
"Alessandro", protettore degli uomini

Alekos è il Sisifo di Camus nel riconoscimento di quel particolare stato d'animo in cui il vuoto diviene eloquente, in cui la catena dei gesti quotidiani viene interrotta e il cuore cerca invano l'anello che lo ricongiunga, che lo riunisca al gregge, sperando forse di portare il gregge dalla sua parte.

"L'atteggiamento dell'uomo assurdo non è quello del suicida ma del suo contrario: il condannato a morte. Egli ha in mano la libertà assurda, la libertà da ogni spiegazione, da ogni obiettivo"... "La libertà assurda, la libertà del domani, la non speranza, la mancanza di obiettivi. Bruciare fin quando c'è legna". Albert Camus - Lo Straniero

Panagoulis vive come un condannato a morte, nei suoi pensieri non c'è domani, solo la consapevolezza di non poter invecchiare, non aver nipoti, non scrivere quel libro.

"Lo scriverai tu per me, promettilo"
"Lo prometto"
"Io non sarò mai vecchio"... "morirò molto prima. E allora sì che dovrai amarmi per sempre"

Condannato a morte dopo il fallito attentato a Papadopoulos, la pena gli viene commutata in ergastolo ed è precisamente da quel momento che inizia a vivere come un condannato a morte, libero dal domani, libero dal ricatto di un futuro sicuro, dalle promesse.


Ciò che era inevitabile è stato solo rimandato.

"Accetto fin d'ora questa condanna. Perché il canto del cigno di un vero combattente è il rantolo che egli emette colpito dal plotone di esecuzione!"

Alekos è felice di questa condanna, orgoglioso, e trascorrerà il tempo che gli rimane a inseguirla nel tentativo di riacciuffarla.

Alekos è Prometeo che donò il fuoco agli uomini e Zeus per punirlo lo incatenò a un masso esposto alle intemperie con un'aquila che gli squarcia il petto e gli dilania il fegato.

"Sento una forza assurda premermi lo stomaco e il collo e il petto e il cuore rientrarmi dentro quasi si rompessero insieme, scoppiando, e non distinguo più nulla. Chiudo gli occhi e..."

"In verità se Prometeo ritornasse, gli uomini di oggi farebbero come gli dèi allora: lo incatenerebbero alla roccia nel nome stesso di quell'umanesimo di cui è il primo simbolo. Le voci nemiche che insulterebbero allora il vinto sarebbero le stesse che risuonano nella tragedia eschiliana: quelle della Forza e della Violenza". Prometeo agli inferi - Albert Camus

"Nel mio avvenire non è tracciata sicura frontiera al dolore se prima Zeus non crolla dal suo potere di despota" Prometeo Incatenato - Eschilo

Alekos come Cristo, l'uomo che vuole salvare il mondo e può farlo solo dalla croce.


Oriana come Maria vuole salvare Cristo e si ritroverà a schiacciare la serpe a piedi nudi. 
Cristo non può salvare nessuno da vivo e non può essere salvato perché alla fine il popolo continuerà a scegliere Papandreu Barabba, il candidato per cui si spese la benpensante politica italiana, l'uomo inquadrato in un partito, definito, rassicurante così come il ladrone Barabba era rassicurante se comparato a Cristo: Barabba prendeva oggetti, Cristo anime.
E Pilato continuerà a lavarsene le mani purché tutto si risolva nell'assenza di disordini.

La croce
Il rogo
L'automobile
Strumenti di morte assurgono a simbolo di espiazione e redenzione.
L'ordalia delle quattro ruote che non risparmiò Panagoulis, non risparmiò Falcone, non risparmia oggi Dafne Caruana Galizia.
Documenti, agendine, siti internet.
Dittatura, mafia, soldi.
Atene, Capaci, Malta
1976, 1992, 2017

2017!

Letture consigliate:
Un Uomo - Oriana Fallaci
Il mito di Sisifo - Albert Camus
Lo Straniero - Albert Camus
L'Estate - Albert Camus
Prometeo Incatenato - Eschilo


L'Idiota - F.Dostoevskij

Musica consigliata: Sally - Vasco Rossi

Dipinto: Cristo Morto - Hans Holbein il Giovane
"«Quel quadro!», esclamò il principe, colpito da un’idea subitanea. «Osservando quel quadro c’è da perdere ogni fede».
«E infatti si perde», confermò Rogožin." 
L'Idiota - F. Dostoevskij

domenica 1 ottobre 2017

Le Cave del Vaticano - Fleurissoire tra Lancillotto, Don Chisciotte e il surrealismo


Da dieci anni covavo il desiderio di leggere Le Cave del Vaticano di André Gide, desiderio che nacque al corso di francese della prof. Zuffi sulla narratologia, si parlò della sua farsa su un grande segreto che coinvolgeva il Vaticano e io mi ero già prefigurata una storia alla Dan Brown ma meglio scritta.

Quando mi sono trovata l'opera tra le mani ho atteso qualche settimana prima di iniziarla tanta era l'aspettativa che nutrivo e che è stata solo parzialmente delusa.

L'opera è una farsa in cui vengono ridicolizzati il bigottismo e le beghine, queste donne tutte casa e chiesa desiderose di santità, una su tutte Arnica Fleurissoire che cade nel tranello di uno sconosciuto che le confessa della cattività del Papa: un gruppo di truffatori aveva ideato una menzogna ammirevole per spillare soldi ai boccaloni francesi ossia che il Papa fosse stato fatto prigioniero con la complicità del Quirinale e che quello che si mostrava al pubblico fosse in realtà un impostore.

Quando Amédée Fleurissoire, marito di Arnica, viene a conoscenza del rapimento resta folgorato da un impulso mai provato prima e anziché sostenere la finta colletta che dovrebbe aiutare a liberare il Papa, decide dipartire lui stesso in missione. Lui, novello don Chisciotte che non aveva mai viaggiato al di fuori della sua città, che viveva nel terrore di prendersi un raffreddore, lui si sente ormai predestinato: finalmente ha trovato lo scopo della sua esistenza e si mette in viaggio, solo, alla volta di Roma.

Come gli antichi eroi di chiara fama consacrati dalle canzoni di gesta, a cavallo del suo treno, con un foulard come scudo e nessuna arma al fianco parte in missione lasciando moglie e amico tra stupore e ammirazione.

Inutile dire che il viaggio è già di per sé qualcosa di ridicolo tra treni sbagliati, pulci, cimici, zanzare, brufoli e il terrore delle correnti d'aria ma alla fine riesce ad arrivare a Roma e a portarsi il più vicino possibile a quel Papa che crede di dover salvare. E' vicino, si sente vicinissimo a compiere la sua (ridicola) missione ma... cade in tentazione e la mattina si risveglia con una donna che giace nuda al suo fianco.

E' la fine.

Per quanto desideri portare a termine la sua missione il senso di colpa lo divora, la distrazione di un momento fa crollare in lui tutta la sicurezza di essere il predestinato e alla fine confessa il suo peccato, tra le risate degli impostori e del lettore:

"... e siccome i fumi del vino si mescolavano alle nubi della tristezza e i rutti dell'ubriachezza al gemito dei singhiozzi, chino dalla parte di Protos cominciò col vomitare il pranzo. Poi raccontò confusamente la notte passata con Carola e il dolore per la recente perdita della sua verginità. Don Bartolotti e prete Cave fecero un enorme sforzo per non soffocare dalle risate."

Come Lancillotto a un passo dal Santo Graal, Fleurissoire si sente a un passo dal portare a termine l'arduo compito: ha trovato degli alleati, prodi cavalieri in abito talare che lo supporteranno e lo indirizzeranno dritto alla meta.

Come Lancillotto perduto a causa di una passione dannata per Ginevra, Fleurissoire peccherà, a sua insaputa oserei dire, e tutta la forza delle sue più nobili intenzioni crollerà come castello di carte al vento per una prostituta. 

Fleurissoire è l'uomo comune: anonimo, intristito, privo di immaginazione, grigio, lo stereotipo del borghese dei primi del Novecento, non c'è possibilità di salvezza per la sua anima.
La grande rivoluzione di Gide risiede nell'utilizzare questo buffo personaggio per mettere nella pratica narrativa ciò che André Breton teorizzerà dieci anni più tardi nel 1924 nel Manifesto del Surrealismo: 

”Il più semplice atto surrealista consiste nello scendere in strada con una pistola per mano e sparare a caso, finché si può, sulla folla”

E così fa André Gide: all'improvviso, senza minimamente preannunciarlo, senza motivo, l'autore Booooom! Getta il povero Fleurissoire fuori dal treno e fuori dalla storia lasciando il lettore a guardare dal finestrino il corpo scomposto dell'incolpevole borghesuccio.

"Un crimine senza motivo... Non è tanto degli avvenimenti che ho curiosità, quanto di me stesso"
Così pensa Lafcadio mentre compie il gesto assurdo e quando cerca di motivare l'atroce atto riesce solo a dire
"Non lo so... Non aveva un aspetto felice."

Per Fleurissoire nessun ritorno in patria da eroe, nessun funerale in pompa magna, nessun bardo canterà il suo coraggio e nessun re o papa piangerà sulle sue spoglie, solo la prostituta Carola aspetterà che i parenti stretti si allontanino dalla tomba per porgere il suo ultimo saluto sotto la pioggia e posare un mazzo di crisantemi.

E qui si conclude la storia dell'uomo qualunque che si mise in testa di fare l'eroe e che fu ucciso senza motivo.