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venerdì 6 settembre 2019

Comma 22 - Come la racconti la guerra?


Come la racconti la guerra?

Come la racconti la seconda guerra mondiale? 
Il desiderio di uccidere qualcuno che non conosci, la paura di essere ucciso da chi non ha motivi personali per farlo. Il susseguirsi degli eventi nel loro essere ripescati dalla memoria?

Per prima cosa attraverso al follia.
La follia di un regolamento, il Comma 22, che recita: solo chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo.
Un circolo vizioso perfetto in cui i soli esentati dalle missioni sono proprio quelli che vogliono che la guerra continui.

Ora, spiegare come sia Comma 22 non è semplice e soprattutto non vorrei banalizzarlo utilizzando espressioni tipo "capolavoro della letteratura postmoderna" o "un libro che ha segnato e definito il Dopoguerra" o altre frasi sicuramente correte ma riduttive: per spiegarvi perché è davvero un'opera d'arte (e anche perché è divertente) voglio scomporlo come di solito non faccio, prendendo in considerazione i personaggi, la struttura e il linguaggio.

I personaggi

Il protagonista, Yossarian, è un ufficiale dell'aeronautica militare americana, pilota bombardiere di stanza a Pianosa, nell'arcipelago toscano. 
Yo-Yo, così lo chiamano, proprio non riesce a comprendere perché persone sconosciute vogliano ammazzarlo e trascorre la maggior parte del suo tempo nell'ospedale da campo per un immaginario disturbo al fegato. A fare da contorno alle sue più che giustificate paranoie, un insieme variegato di personaggi, ognuno con le sue manie, ossessioni, distorsioni.
C'è il dottor Daneeka inc... nero perché in America stava iniziando a fare soldi con la sua professione quando gli hanno comandato di partire per l'Italia e spera ardentemente che la situazione nel Paese non si sblocchi almeno fino alla fine della guerra perché altrimenti lo manderanno nel Pacifico, c'è Milo Minderbinder che dalla guerra sta traendo profitto con il traffico di merci di tutti i tipi di cui beneficia la cooperativa "E tutti hanno una quota", il tenente Nately, di ottima famiglia, che si innamora di una puttana italiana che lo disprezza e spende tutto il suo denaro, c'è il tenente e poi colonnello e forse in futuro generale Scheisskopf (letteralmente "testa di merda") talmente ossessionato dalle parate da impegnare tutte le sue risorse per inventare il miglior modo per sfilare ricorrendo persino agli studi anatomici di Leonardo, c'è Orr, il pilota pazzo che continuamente viene abbattuto, continuamente finisce in mare e continuamente viene recuperato e c'è il vecchio romano, senza nome, che filosofeggia sulle guerre, sugli italiani e sugli americani.
Infine c'è questo soldato in bianco in corsia, ricoperto dalla testa ai piedi di gesso e garza, una bottiglia collegata a una cannula infilata nel gomito gli fornisce i liquidi necessari, un'altra bottiglia raccoglie quelli di "scarico" e quando la prima bottiglia è vuota e la seconda piena gli infermieri si premurano di invertire le due perché l'importante è mantenere la circolazione dei liquidi all'interno del corpo. Un po' la sintesi di questa guerra assurda: non importa chi faccia cosa e cosa si faccia: quel che conta è perpetrare il movimento. È anche un po' il soldato di Schrödinger: nessuno sa davvero se sia vivo o morto finché l'infermiere non legge la temperatura segnata sul termometro.

La Struttura

La struttura circolare dell'opera è, dal mio punto di vista, la caratteristica più interessante dell'opera e la più realista. C'è chi ha voluto definire Comma 22 uno dei primi romanzi post-moderni (è del 1961) e non a torto. Cito da Treccani:
"in contrasto con il carattere utopico, con la ricerca del nuovo e l’avanguardismo tipici dell’ideologia modernista, la condizione culturale p. si caratterizza soprattutto per una disincantata rilettura della storia, definitivamente sottratta a ogni finalismo, e per l’abbandono dei grandi progetti elaborati a partire dall’Illuminismo e fatti propri dalla modernità."
Più ancora che circolare direi che il libro presenta una struttura a chiocciola: la narrazione si dipana come la crescita del guscio di una lumaca: con fasce di accrescimento che diventano sempre più larghe verso l'esterno in una spirale che si arrotola sempre in senso antiorario. 
Non c'è una narrazione lineare: inizio, svolgimento e finale sembrano buttati a casaccio come il corpo di un soldato smembrato dalle bombe. Lo stesso evento principale del libro, citato spesso tra le pagine che suscita la curiosità del lettore e determina gran parte della presa di coscienza del protagonista, è descritto solo alla fine dell'opera ma l'autore ne dissemina i pezzi lungo tutta la narrazione coinvolgendo il lettore nei continui spostamenti temporali della mente di Yossarian.
Parlo di narrazione a chiocciola e non circolare perché la circolarità dà una sensazione di chiuso e suggerisce comunque un'idea di linearità ovvero una linearità che inizia in un punto e termina in un altro per poi ricominciare, un po' come la Recherche di Proust.
No, qui siamo di fronte a una narrazione diversa perché in ogni punto della narrazione si riescono a toccare in sezione tutti i punti della storia e ognuno di quesi punti è legato indissolubilmente agli altri.
Dalla proporzione aurea dell'uomo vitruviano di Leonardo studiato da Scheissekopf per le sue parate, alla sezione aurea utilizzata come struttura portante del romanzo. Davvero ben ben ben congeniato, ci ho messo un pochino per realizzare la cosa e l'illuminazione è arrivata nel momento ho visualizzato l'immagine della chiocciola nella mia mente crearsi dal nulla.

E poi c'è il grande, grandissimo colpo di scena finale, anche questo preannunciato lungo tutto il romanzo, che lascia letteralmente senza fiato il lettore, spiazzato tra incredulità, felicità e una grossa, grassa risata liberatoria come acme indiscusso dell'assurdo. 
Questa è la straordinaria maestria di Joseph Heller che non ci fa minimamente capire la rivelazione finale e ci lascia sbalorditi e speranzosi come il protagonista Yo-Yo. non dico nulla a riguardo ma la sensazione che lascia è molto simile a quella della "Versione di Barney" o de "I soliti sospetti"

Le Parole

Potevano bastare anche solo i personaggi raccontati per fare di questo libro un inno all'assurdo ma Heller fa di più: rende l'idea del paradosso con le parole e con l'andamento circolare della narrazione.
E per rompere la monotonia si mise a inventare dei giochi. «A morte tutte le espressioni qualificative» dichiarò un giorno, e dalle lettere che passavano per le sue mani scomparvero tutti gli avverbi e tutti gli aggettivi. Il giorno seguente dichiarò guerra agli articoli. Un più sublime livello di creatività fu raggiunto il giorno seguente, quando cancellò tutto a eccezione degli articoli. Ciò produceva, egli sentiva, un più dinamico equilibrio di tensioni fra linea e linea, e dava quasi sempre al messaggio un carattere di universalità. Dopo un certo tempo cominciò a bandire dalle lettere i saluti e le firme, lasciando il testo intatto. Un’altra volta cancellò tutto fuorché l’inizio: «Cara Maria», e in calce alla lettera scrisse: «Ti bramo tragicamente. R. O. Shipman, Cappellano, Esercito degli Stati Uniti». Il cappellano del gruppo si chiamava appunto R. O. Shipman.Quando ebbe esaurito tutte le possibilità offerte dal testo delle lettere, partì all’attacco dei nomi e degli indirizzi sulle buste, distruggendo intere case o strade, annientando, con un disinvolto colpetto di mano, intere metropoli, come un Dio. Il Comma 22 prescriveva che ogni lettera censurata portasse il nome dell’ufficiale incaricato. Gran parte delle lettere, Yossarian non le leggeva affatto. Su quelle che non leggeva scriveva il suo nome. Su quelle che invece leggeva, apponeva la firma: «Washington Irving». E quando anche questo divenne monotono, cominciò a scrivere: «Irving Washington».
Quel che a un lettore appare assurdo diventa una banalità per Yossarian che gli permette di rimanere sano: "assurdizzare" il banale, banalizzare l'assurdo, questa è la chiave di lettura del libro perché in guerra tutto deve apparire perfettamente normale anche se è  tutto incredibilmente straordinario.

Gli stessi dialoghi tra i personaggi echeggiano quelli tra Vladimir ed Estragon dell'"Aspettando Godot" di Beckett, si avvolgono a chiocciola nel tentativo di giustificare sé stessi e non c'è speranza di renderli esplicativi anzi, si assiste a un'involuzione del significato, alla trasformazione della parola da vettore di significato a mero suono. I dialoghi, le parole vengono aperti e svuotati come un uovo alla coque del quale, alla fine, non resta che il guscio vuoto, come l'insieme di garza e gesso che contengono il soldato in bianco, o forse non lo contengono e dell'uomo non hanno che a forma e ci fanno credere che chissà cosa contengano.
"Nominate, per esempio, un poeta che fa soldi.»«T. S. Eliot,» disse l’ex caporalmaggiore Wintergreen dal cubicolo dove selezionava la posta al Quartier Generale del Ventisettesimo Air Force e sbatté giù il telefono senza dichiarare la propria identità.Il colonnello Cargill, a Roma, rimase perplesso.«Chi era?» chiese il generale Peckem.«Non lo so,» il colonnello Cargill rispose.«Che cosa voleva?»«Non lo so.»«Insomma, cosa ha detto?»«T. S. Eliot,» il colonnello Cargill lo informò.«Che cosa?»«T. S. Eliot,» il colonnello Cargill ripeté.«Soltanto T. S...»«Signorsì. Questo è tutto quello che ha detto. Soltanto ‘T. S. Eliot’.»«Mi domando cosa voglia dire,» il generale Peckem rifletté. Il colonnello Cargill se lo chiese anche lui. «T. S. Eliot,» il generale Peckem meditò.«T. S. Eliot,» il colonnello Cargill gli fece eco con lo stesso tono di funerea perplessità.Il generale Peckem si risollevò dopo un momento con un sorriso mellifluo e benevolo.La sua espressione era astuta e sofisticata. Gli occhi gli brillavano di malizia. «Fammi chiamare da qualcuno il generale Dreedle,» ordinò al colonnello Cargill. «Senza fargli sapere chi lo chiama.»Il colonnello Cargill gli passò il telefono.«T. S. Eliot,» il generale Peckem disse, e attaccò il ricevitore.
Ed eccolo qua il Comma 22 che compare per la prima volta con tutta la sua lucida contraddizione, una trappola perfetta cui nulla può sfuggire:   
«Non puoi esonerare dal volo uno che è pazzo?»«Oh, certo. Devo farlo. C’è una regola che prescrive di esonerare dal volo tutti quelli che sono pazzi.»«E allora perché non esoneri me? Io sono pazzo. Prova un po’ a chiederlo a Clevinger.»«Clevinger? E dove è Clevinger? Trovami Clevinger e io glielo chiederò.»«E allora chiedi a uno qualsiasi degli altri. Te lo diranno loro che io sono pazzo.»«Loro sono pazzi.»«E allora perché non li esoneri?»«Perché non mi chiedono di esonerarli?»«Perché sono pazzi, ecco perché.»«Certo, che sono pazzi,» rispose il dottor Daneeka. «Te l’ho appena detto che sono pazzi, no? Ma, dimmi un po’, come si fa a lasciare decidere a quelli che sono pazzi se tu sei pazzo o no?»Yossarian lo guardò con calma e provò a fare un approccio da un altro angolo. «E’ pazzo Orr?»«Certo che lo è,» disse il dottor Daneeka.«Puoi esonerarlo?»«Certo che posso. Ma prima lui deve chiedermelo. Questo fa parte della regola.»«E allora perché non te lo chiede?»«Perché è pazzo,» disse il dottor Daneeka. «Deve essere pazzo, per il fatto stesso che continua a volare dopo aver sfiorato la morte così tante volte. Certo, posso esonerare Orr. Ma prima deve chiedermelo lui.»«Questo è tutto quello che deve fare per essere esonerato?»«Questo è tutto. Basta che me lo chieda.»«Allora, dopo che lui te l’ha chiesto, puoi esonerarlo?» Yossarian domandò.«No, dopo non posso esonerarlo.»«Vuoi dire che c’è un comma?»«Certo che c’è un comma,» rispose il dottor Daneeka. «Il Comma 22. ‘Tutti quelli che desiderano di essere esonerati dal volo attivo non sono veramente pazzi’.»
Anche il sarcasmo disilluso viene sfruttato per rappresentare l'assurdo:
Tutto quello che gli chiedevano di fare in un ospedale era di morire odi sentirsi meglio, e poiché lui stesso stava perfettamente bene, tanto per cominciare, non era affatto difficile sentirsi meglio.Stare all’ospedale era molto meglio che stare nel cielo di Bologna o volare su Avignone con Huple o Dobbs ai comandi e con Snowden agonizzante nella coda dell’aereo.Di solito non c’erano quasi mai così tanti ammalati dentro all’ospedale quanti ce n’erano fuori dall’ospedale, e Yossarian si era accorto che generalmente c’erano ancor meno persone dentro l’ospedale che fossero malate seriamente. Dentro l’ospedale c’era un indice di mortalità molto più basso che fuori dall’ospedale, e un indice di mortalità molto più igienico. Ben poche persone morivano senza che ce ne fosse bisogno. Si sapeva molto di più dentro l’ospedale su come si deve morire e di solito si riusciva a farlo in un modo pulito e ordinato. Dentro l’ospedale non si poteva certamente vincere la Morte, ma si poteva indurla a comportarsi bene. Le avevano insegnato le buone maniere.Non si poteva tenere la Morte fuori dall’ospedale, ma quando stava dentro l’avevano indotta a comportarsi come una signora per bene.La gente, dentro l’ospedale, rendeva l’anima a Dio con delicatezza e buon gusto. Non c’era segno di quella rozza, antipatica ostentazione nel morire che era invece così diffusa fuori. Non si esplodeva in mezzo all’aria come avevano fatto Kraft o il morto nella tenda di Yossarian. Non ci si irrigidiva nel freddo della morte in piena calura estiva come aveva fatto Snowden, irrigidendosi nel freddo della morte subito dopo aver confidato il suo segreto a Yossarian nella coda dell’aereo.
E infine la parabola del vecchio italiano nel bordello, l'uomo meno probabile per esprimere un pensiero ragionevole:
«Dai tanta importanza al vincere le guerre» il vecchio sporco e malvagio lo schernì. «Il vero trucco consiste nel perdere le guerre, nel conoscere quali guerre vadano perdute.

L’Italia ha continuato a perdere guerre per secoli, e guarda come ce la siamo splendidamente cavata malgrado tutto. La Francia vince le guerre ed è in perpetuo stato di crisi. La Germania perde e prospera. Da’ un’occhiata alla nostra storia recente.

L’Italia ha vinto una guerra in Etiopia e subito s’è trovata in un mare di guai. La vittoria ci ha ispirato tali stupide illusioni di grandezza che abbiamo aiutato a iniziare una guerra mondiale che non avevamo la minima probabilità di vincere. Ma ora abbiamo ripreso nuovamente a perdere, e ogni cosa comincia ad andar meglio, e certamente ne usciremo
ottimamente se riusciamo veramente a essere sconfitti.»
Nately lo guardò a bocca aperta, senza celare la propria confusione. «Ora non capisco proprio cosa sta dicendo. Parla come un folle.»
«Ma vivo come uno che folle non è. Quando Mussolini era al potere, io ero fascista e ora che è stato deposto sono antifascista. Ero fanaticamente in favore dei tedeschi quando i tedeschi erano qui a proteggerci dagli americani, e ora che gli americani sono qui a proteggerci dai tedeschi sono un fanatico partigiano degli americani. Posso assicurarti, mio giovane amico indignato» (gli occhi accorti e sprezzanti del vecchio brillarono con maggiore vivacità, mentre la balbettante confusione di Nately cresceva) «che tu e il tuo paese non troverete in Italia un partigiano più fedele di me... ma solo fin quando resterete in Italia.»
Insomma, più lo leggo, più ci penso e più questo romanzo non romanzo mi appassiona. Sono anche sicura che se trascorressi ancora qualche ora a pensarci vi troverei altri sublimi spunti da analizzare e non escludo di accennarvi in futuro. 


Curiosità:

  • Il primo capitolo fu scritto sul luogo di lavoro il giorno dopo aver iniziato a stendere la trama ma il secondo capitolo fu scritto solo un anno dopo.
  • Lo spunto per alcuni dei personaggi furono suoi conoscenti e il personaggio Milo è disegnato proprio sui ricordi di un suo amico d'infanzia
  • Al principio Yossarian doveva essere armeno ma poi Heller lo fece Assiro. Alcuni ipotizzarono che potesse essere ebreo ma Heller non lo specifica e, in realtà, la sua religione è del tutto ininfluente nella trama, come a dire che potrebbe essere di qualsiasi religione.
  • La Marvel tributò omaggio al libro in World War II chiamando una base militare Camp Cathcart dal nome del personaggio del colonnello Cathcart che nella serie TV prodotta da Sky è interpretato da Kyle Chandler (già conosciuto per essere stato il protagonista nella serie Uno sguardo dal cielo in cui un gatto gli portava il giornale del giorno dopo).
  • Anche Bonvi raccolse il significato del Comma 22 nel suo Sturmtruppen.
  • Per la sua valenza antimilitarista il testo divenne un'icona pacifista durante la guerra del Vietnam e molti manifestanti davanti alla Casa Bianca portavano sul petto una spilla con lo slogan "Yossarian lives"

giovedì 16 maggio 2019

Lessico Famigliare: madeleinettes del linguaggio


Lessico Famigliare di Natalia Levi Ginzburg nasce dall'urgenza di raccontare il vero.
La tessitrice di storie inventate si rese conto che in ogni sua opera di fantasia emergeva il lato biografico, emergeva involontariamente ma con prepotenza. C'era tutto un mondo di ricordi, di parole, di esclamazioni che chiedeva di essere raccontato e ascoltato.
Ma chi lo avrebbe ascoltato?
"C'erano allora due modi di scrivere, e uno era una semplice enumerazione di fatti, sulle tracce d'una realtà grigia, piovosa, avara, nello schermo d'un paesaggio disadorno e mortificato; l'altro era un mescolarsi ai fatti con violenza e con delirio di lagrime, di sospiri convulsi, di singhiozzi. nell'un caso e nell'altro, non si sceglievano più le parole; perché nell'un caso le parole si confondevano nel grigiore, e nell'altro si perdevano nei gemiti e nei singhiozzi. Ma l'errore comune era sempre credere che tutto si potesse trasformare in poesia e parole. Ne seguì un disgusto di poesia e parole, così forte che incluse anche la vera poesia e le vere parole, per cui alla fine ognuno tacque, impietrito di noia e di nausea."
Natalia aveva una folla di parole, una folla di ricordi.
Nel 1962 immagina di stendere un breve saggio dove enumerare o fissare nel tempo e sulla pagina le frasi della sua infanzia, queste frasi dovevano essere illustrate da brevi didascalie di vita familiare. Ma come ridurre a brevi vignette i ricordi di una vita?
"sulla traccia di quelle frasi, parole e storie, m'era venuto l'impulso di ricercare e far rivivere sia l'atmosfera in cui venivano pronunciate, sia le persone che usavano pronunciarle: e cioè l'atmosfera di casa mia, e le figure dei miei genitori, dei miei fratelli, dei loro amici, e degli amici miei"
Quello che Natalia non desidera è parlare di sé, delle sue sensazioni infantili, di cosa lei ha provato o sentito. Non vuole che sia un romanzo intimista di memorie: Natalia sarà solo occhi e orecchie che registrano, non con fedeltà ovviamente, con amore, con partecipazione e senza giudizio.

In tre mesi il breve saggio diventa un romanzo, un non-romanzo, un romanzo nuovo... indefinibile.
Lessico famigliare è un album di famiglia attraverso il linguaggio e intessuto con l'imperfetto, questo tempo ricorsivo che evidenzia la continuità delle azioni, delle storie, il tempo di Proust, della ripetitività, degli usi. Il tempo della famiglia e dei ricordi, il tempo dei giochi dei bambini.
Un velo di malinconia ricopre i ricordi, tanto più annebbiati quanto più vicini a lei, più legati alle sue vicende personali. Un velo malinconico per un tempo perduto che non potrà mai esser ritrovato: la guerra, la violenza, la debolezza lo hanno reso irrecuperabile.
Tuttavia lessico Famigliare non è un libro malinconico: è allegro, a tratti comico perché in ogni famiglia ci sono quegli eventi di allegria e comicità assoluti, perché la famiglia è il seno caldo e sussultante della nostra prima felicità, il rifugio sicuro della memoria quando il presente non è il futuro che avremmo desiderato.
Ci sono ricordi di travolgente comicità come il ricordo de "Il baco del calo del malo" o i modi burberi e contraddittori di papà Levi, o le mille imperfezioni di mamma Lidia che durante una perquisizione  dei fascisti in casa si preoccupa di nascondere gli scontrini delle spese affinché il papà non ne venga a conoscenza
"Io ebbi da quegli agenti il permesso di andare a scuola; e mia madre, nel vano d'una porta, m'infilò dentro la cartella le buste dei suoi conti, perché aveva paura che nel corso della perquisizione cadessero sotto gli occhi a mio padre, e che lui la sgridasse perché spendeva troppo."
Oppure i ricordi delle discussioni tra mamma e papà Levi, veri protagonisti del libro, a proposito della politica in una conversazione che è tutta da ridere ed è tutta da amare:
– Stupido! m'ha detto che son troppo di destra! Mi trattava come se fossi una democristiana! – Ma è vero che sei di destra! – diceva mio padre. – Hai paura del comunismo. Ti lasci metter su dalla Paola Carrara! – Non mi piacciono a me i comunisti, – diceva mia madre. – Mi piacevano i socialisti, quelli d'una volta. Turati! Bissolati! com'era carino Bissolati! Ci andavo, la domenica, col mio papà! – Forse questo Saragat non è tanto male. Peccato che ha una faccia che non sa di niente! – diceva ancora mia madre, e mio padre tuonava: – Non dir sempiezzi! Non crederai mica che sia socialista Saragat! Saragat è di destra! Il socialismo vero è quello di Nenni, non quello di Saragat! – Nenni non mi piace! Nenni è come se fosse comunista! dà sempre ragione a Togliatti! Io quel Togliatti non lo posso soffrire! – Perché sei di destra! – Io non sono né di destra, né di sinistra. Io sono per la pace! E usciva, col suo passo di nuovo giovane, ritmato, glorioso, i capelli ormai bianchi al vento, il cappello in mano. Si fermava sempre un po' a casa di Miranda, la mattina quando andava a ordinare la spesa, e il pomeriggio, quando andava al cinematografo. – Hai paura dei comunisti, – le diceva Miranda, – perché hai paura che ti levino via la serva. – Certo se viene Stalin a tirarmi via la serva, lo ammazzo, diceva mia madre. –
Non c'è una vera narrazione, la scansione temporale, la storia che scorre fuori e dentro le mura di casa Levi la ricostruiamo mettendo insieme i fragmenti dei ricordi con le nozioni di storia apprese a scuola: il nascondiglio di Turati a casa Levi, 
"vecchio, grande come un orso e con la barba grigia tagliata in tondo" e la fuga in motoscafo aiutato da "due o tre uomini con l'impermeabile; io, di loro, conoscevo soltanto Adriano (Olivetti). (...) Aveva occhi spaventati, risoluti e allegri; gli vidi, due o tre volte nella vita, quegli occhi. Erano gli occhi che aveva quando aiutava una persona a scappare, quando c'era un pericolo e qualcuno da portare in salvo".
Quello sguardo di Adriano Olivetti cui Natalia deve la salvezza dei suoi cari e di sé stessa torna, come un leitmotiv, più volte nelle parole dell'autrice, anche l'ultima volta, nel momento del terrore, quando Leone era agli arresti a Roma
"Io ricorderò sempre, tutta la vita, il grande conforto che sentii nel vedermi davanti, quel mattino, la sua figura che mi era così familiare, che conoscevo dall'infanzia, dopo tante ore di solitudine e di paura, ore in cui avevo pensato ai miei che erano lontani, al Nord, e che non sapevo se avrei mai riveduto; e ricorderò sempre la sua schiena china a raccogliere, per le stanze, i nostri indumenti sparsi, le scarpe dei bambini, con gesti di bontà umile, pietosa e paziente. E aveva, quando scappammo da quella casa, il viso di quella volta che era venuto da noi a prendere Turati, il viso trafelato, spaventato e felice di quando portava in salvo qualcuno."
Adriano Olivetti
L'arresto di Einaudi e Pavese e l'orgoglio di mamma e papà Levi di sapere loro figlio Alberto in carcere insieme a persone tanto da bene.
L'han messo dentro con quelli della «Cultura»! Lui che legge soltanto «Le Grandi Firme»! – diceva mio padre. – Doveva dare l'esame di biologia comparata! Adesso non lo darà mai più. Non si laurea più! – diceva a mia madre nella notte.
E ancora la fuga di Mario, gettatosi in acqua per sfuggire alle guardie di dogana mentre trasportava volantini antifascisti
Mia madre, ogni momento, giungeva le mani e diceva, tra felice, ammirata e spaventata: ⁃ In acqua, col paltò!
È di una dolcezza disarmante, quella dolcezza che porta immediatamente il sorriso sulle labbra e le lacrime agli occhi.

Natalia non si sforza mai di far capire al suo lettore di chi sta parlando: nomi e cognomi compaiono solo se strettamente necessari come nel caso degli Olivetti o di Pavese ma non sono necessari, non vuole ostentare le sue conoscenze, non vuole apparire come quella che è nata e cresciuta al centro della vita culturale torinese: Einaudi non è mai citato se non come "l'editore", non dice che suo padre era il professore che avviò la Levi Montalcini, Dulbecco e Luria sulla strada del Nobel, non dice chi è quella Margherita da cui dovrebbe andare il padre a chiedere intercessione per la liberazione del figlio Alberto
"Mio padre però, Margherita non voleva sentirla nominare. - "Figurati se vado da Margherita! Non ci vado! Non mi sogno neanche! - Questa Margherita aveva scritto, anni prima, una biografia di Mussolini; e a mio pare il fatto che ci fosse, tra le sue cugine, una biografa di Mussolini, sembrava inaudito."
Quella Margherita è la Sarfatti, nata Grassini e cugina di papà Levi, giornalista, socialista, scrittrice, critica d'arte, direttrice, insieme ad Anna Kuliscioff, della rivista "La difesa delle lavoratrici", biografa e amante di Mussolini, di qui la ritrosia di papà Levi a chiederle un favore.
Un altro personaggio misterioso viene evocato verso la fine del libro, mi sono incaponita a voler scoprire la sua identità:
"Dai Balbo in pianta stabile c'eran sempre tre suoi amici: uno piccolo coi baffetti, uno alto che rassomigliava un poco, nel viso, a Gramsci, e un altro roseo e ricciuto, che sorrideva sempre. Quello che sorrideva sempre, venne poi a lavorare nella casa editrice, ebbe l'incarico di occuparsi della collana scientifica: e sembrava una cosa ben strana, non risultando che lui si fosse mai occupato di alcuna forma di scienza; ma evidentemente riusciva ad occuparsene bene, perché conservò per anni quel posto, e anzi divenne poi il direttore di quella collana, sempre con quel suo sorriso mite, disarmato, triste, sempre spalancando le braccia e affermando di non sapere nulla di scienza; infine se ne andò e mise su una casa editrice di libri scientifici per conto suo."
È  Paolo Boringhieri, cui Einaudi, per far fronte a una crisi finanziaria, propose di acquistare l'ESE, la Edizioni Scientifiche Einaudi.
Il Cafi, amico del fratello Mario a Parigi è in realtà il saggista Andrea Caffi, l'attore Suess Aja Cawa è in realtà Sessue Hayakawa de Il ponte sul fiume Kwai, per questi storpiamenti la Ginzburg fu rimproverata in quanto non sufficientemente aderente alla realtà storica. 
Ma cosa importa?!
Cosa importa se i loro nomi non sono corretti? Quelli sono nomi della memoria, non della storiografia. Come quando da piccoli anche noi si cantava "O wendesenst" invece di "Oh when the Saints": tutti i personaggi che compaiono nel libro compaiono solo in quanto legati a quel lessico famigliare che fa da filo conduttore e lessico famigliare è anche un nome storpiato o incompleto o mai pronunciato.

Pavese, Ginzburg, Antonicelli e Frassinelli a San Grato di Sordevolo, Biella
Lessico famigliare sono i ricordi legati a Cesare Pavese che
"A mezzanotte agguantava dall'attaccapanni la sua sciarpa, se la buttava svelto intorno al collo; e agguantava il paltò. Se ne andava giù per il corso Francia, alto, pallido, col bavero alzato, la pipa spenta fra i denti bianchi e robusti, il passo lungo e rapido, la spalla scontrosa."
"Pavese, quella primavera, era solito arrivare da noi mangiando ciliege. Amava le prime ciliege, quelle ancora piccole e acquose, che avevano, lui diceva, «sapore di cielo». Lo vedevamo dalla finestra apparire in fondo alla strada, alto, col suo passo rapido; mangiava ciliege e scagliava i nòccioli contro i muri con un tiro secco e fulmineo. La sconfitta della Francia, per me, rimase legata per sempre a quelle sue ciliege, che arrivando ci faceva assaggiare, traendole a una a una di tasca con la mano parsimoniosa e scontrosa." 
A Cesare pavese sono legate pagine struggenti e intense tessute con quell'affetto che mai si palesa nel parlare, invece, del marito Leone. Non perché amasse Pavese più di suo marito ma per quel senso di sconfinato pudore con cui Natalia ha voluto circondare e proteggere le sue mozioni e, forse, per il rimpianto di non averlo potuto salvare.

Lessico famigliare sono fotografie di espressioni care, istantanee rubate quando il soggetto non guarda e che restano sul comodino della memoria a farci compagnia, prive di un vero ordine temporale se non quello che il ricordo affida loro, prive di esattezza, prive della data scritta sul retro.
Là dove l'autore colto aggiunge e raffina ed espande, Natalia ha limato, sottratto, celato consegnandoci un flusso di memoria ininterrotto e circolare come il grembo materno dal quale tutti deriviamo.