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sabato 13 settembre 2008

Yo pienso si me muriese



Penso che se dovessi morire
E con tutto il mio dolore
Smettessi di bramare
Negare un amore così grande
Potrebbe lasciare il mondo
Senza amore.
Quando ci penso,
II lungo indugiare nella morte è tutto
Quello che posso desiderare,
Poiché la ragione mi dice
che è una perfetta beatitudine essere preda
Di un simile fuoco.




Yo pienso si me muriese 
y con mis males finase desear 
Tan grande amor fenesciese 
que todo el mundo quedas» 
sin amar 
Mas esto considerando 
mi tarde morir esluego 
tanto bueno 
Que deuo razon usando 
gloria sentis e nel fuego 
donde peno. 

Questa la traduzione di un poema d'amore del poeta aragonese Lope de Estuniga, Yo piense si me muriese..., trascritto dalla mano di Lucrezia Borgia in una lettera destinata a Pietro Bembo. Mi dispiace dire che su questo autore non ho trovato riferimenti.

Il Bembo le rispose dedicandole gli Asolani, tre libri in prosa ambientati ad Asolo che rimandano, per stile e ambientazione, alle atmosfere boccacesche del Decameron, cui sono intercalate alcune canzoni nello stile del Petrarca. Uno di questi sonetti in particolare sembra essere risposta diretta alla lettera di Lucrezia. Il sonetto appare come manifesto di quell'amore cortese e platonico del nuovo petrarchismo tanto in voga ai primi del 1500: nelle quartine si distinguono le bellezze fisiche della donna, nelle terzine le qualità morali.

Crin d'oro crespo e d'ambra tersa e pura, 
ch'a l'aura su la neve ondeggi e vole, 
occhi soavi e più chiari che 'l sole, 
da far giorno seren la notte oscura,

riso, ch'acqueta ogni aspra pena e dura, 
rubini e perle, ond'escono parole
sì dolci, ch'altro ben l'alma non vòle, 
man d'avorio, che i cor distringe e fura,
cantar, che sembra d'armonia divina, 
senno maturo a la più verde etade, 
leggiadria non veduta unqua fra noi,
giunta a somma beltà somma onestade, 
fur l'esca del mio foco, e sono in voi 
grazie, ch'a poche il ciel largo destina.

Il carteggio tra Lucrezia e Pietro consta di nove lettere, conservate presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano, due in spagnolo, lingua materna di Lucrezia, sette in italiano. Tra esse è conservata anche una ciocca di quel "crin d'oro crespo e d'ambra tersa" che il Bembo potè ammirare direttamente l'unica volta che lei si sciolse i capelli in sua presenza.

Trecento anni dopo Lord Byron, estasiato da quelle che definì "le più belle lettere d'amore del mondo", ruberà un filo d'oro da quella ciocca, riportando alla luce, con il suo ingenuo feticismo, una storia dimenticata allora, forse dimenticata ancora oggi.

I nemici di Lucrezia e, in generale, i nemici dei Borgia, hanno consegnato alla storia un'immagine spietata di questa donna, riversandole addosso tutto l'odio provato nei confronti di suo padre Alessandro VI e del fratello Cesare. Per decenni padre e figlio Borgia hanno spadroneggiato in Italia, plasmandone il territorio secondo il loro volere. Le loro vittime, nell'impossibilità di vincerli sui campi di battaglia o sul territorio diplomatico, hanno tratto un'unica, crudele, soddisfazione nell'infangarne la memoria. Ciò che ci resta di Lucrezia è un ritratto a tinte fosche

... quanto è distante da quella donna che soleva iniziare le sue missive con "Misser Pietro mio carissimo".

Immagine: particolare dell'affresco La disputa di Santa Caterina, Pinturicchio, Sala dei Santi degli appartamenti dei Borgia in Vaticano. Molti hanno visto nelle vesti della Santa il ritratto di Lucrezia adolescente.