Visualizzazione post con etichetta Calvino. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Calvino. Mostra tutti i post

sabato 2 febbraio 2019

Wrap-Up Gennaio 2019

letture gennaio 209
Wrap-up Gennaio 2019
Finalmente qualche minuto per dedicarmi al #wrapup di gennaio!
Cominciamo col dire che il primo dei buoni propositi per il 2019 è andato felicemente a farsi benedire: volevo leggere meno, ho letto di più. Però ho anche pensato di più, meditato di più e probabilmente il merito è stato anche del Megagdl su Nabokov che mi ha spronata a un confronto con altri lettori sullo stesso libro, non ci avevo mai provato, non so se e quando accadrà di nuovo di trovare un simile stimolo alla lettura condivisa ma per questo 2019 ormai l'impegno è preso e verrà mantenuto.
📖📖📖
Andiamo però in ordine e procediamo con la sintesi del mese:
📖 Calvino - Se una notte d'inverno un viaggiatore: FA-VO-LO-SO! Di sicuro il miglior libro di gennaio e azzardo la previsione che possa essere il miglior libro del 2019.Un'opera sulla lettura, sulla scrittura, sull'editoria, sulla narrazione, insomma un capolavoro di metaletteratura divertente e divertita.
📖 Stevenson - Lo strano caso del Dr Jekyll e del Sig. Hyde (rilettura): prima lettura del Megagdl. La discussione corale mi ha spinta a cercare di vedere oltre la storia e dedicarmi a tutte le sfumature narrative in previsione anche del confronto con la lezione di Nabokov. Una vera riscoperta
📖 Poe - I delitti della rue Morgue (rilettura): se siete appassionati lettori di gialli questo libro non può assolutamente mancare nella vostra biblioteca personale, è breve, brevissimo ma è qui che ha origine la narrazione d'investigazione e Dupin è il padre di tutti i Maigret, gli Sherlock, i Montalbano che popolano le librerie. Da leggere assolutamente.
📖 Gaskell - Mary Barton: uno sguardo compassionevole ma accurato sull'Inghilterra industriale del XIX secolo. Temi come il lavoro minorile, la riduzione dell'orario di lavoro, i conflitti di classe tra padroni e operai, la sordità della politica ai lamenti del popolo caratterizzano il primo romanzo di questa autrice. Commovente.
📖 Dumas - L'avvelenatrice: un racconto disturbante di cronaca Seicentesca, molto crudo a tratti tuttavia cela tra le pagine interessanti spunti di riflessione. Ci ritornerò
📖 James - Giro di vite (rilettura): letto ennemila anni fa ammetto che allora non ci avevo capito molto, quasi nulla e forse era proprio questo lo scopo di James ma non ero pronta, adesso sì e ne apprezzo tutta la magnificenza stilistica e tutta la grandezza del finale aperto.

domenica 14 ottobre 2018

Raymond Queneau - I fiori blu




Se I fiori blu è un libro intraducibile per Calvino è anche indescrivibile per chiunque.

Il solo modo per leggerlo e parlarne attraverso con la sospensione del giudizio critico, e la sospensione di ogni tipo di unità narrativa e temporale: il lettore deve solo salire sull'arca di Cidrolin, mollare le cime e lasciarsi trasportare dalla corrente soffermandosi sui giochi linguistici, le assonanze, le pedanterie, le astrusità dei discorsi, osservando gli esperimenti alchemici, i disegni rupestri, sorseggiando essenza di finocchio.
Il romanzo è un continuo di salti temporali, salti di pasto e salti di palo in frasca, aggrapparsi alla ragione non aiuta anzi, il filo della ragione ti tira giù sul fondo, tende a ricondurre a una bidimensionalità che tutto appiattisce, annebbia e confonde mentre sulla chiatta, mossi dalla corrente, sulle due sponde del fiume osserviamo a destra il duca d'Auge nei suoi viaggi e a manca Cidrolin nella sua noia, tra Don Chisciotte e Folantin, tra Cervantes e Huysmans se ne sta il lettore. Il racconto si fa sogno, il sogno si fa avventura, l'avventura codardia. Il racconto si fa anche parola e tra le righe affiora, come piuma e come ferro, la mano di Calvino che ha preso il testo di Queneau e lo ha tra-dotto, intro-dotto, trasportato in italiano e in Italia, una sfida che sarebbe stata impossibile per chiunque ma non per il giocoliere della prosa italiana che con maestria ed equilibrismo tiene in aria storia, parole e ironia.
Decine sono le interpretazioni per questa opera e decine ancora potrebbero essercene. Tutte valide e tutte sbagliate: psicanalitica, linguistica, storica, il sogno, la colpa, il cibo.
La sensazione costante di prenderla in quel posto.
Personalmente trovo curiosa l'ossessione per il cibo. Anzi, non proprio il cibo ma il pasto, il pasto dignitoso, possibilmente in compagnia. Cidrolin, sposata la figlia, paga una donna per tenergli pulta l'Arca e poi le chiede di condividere il pasto con lui. Cidrolin è un decadente che tra le pagine di Huysmans si troverebbe a suo agio meglio di Folantin: è annoiato, "paresseux", tormentato dall'idea di un pasto volgare e quando crede di raggiungere la soddisfazione nel desco... la prende in quel posto.
Cos'è dunque che distingue le sorti di Folantin e Cidrolin? La fantasia forse. Il surrealismo di un uomo che viaggia nella Francia e nel tempo e stravolge l'esistenza di chi gli si fa incontro, una furia di uomo che non ammette no in risposta circondato da un seguito brancaleonesco di soggetti sgangherati.


Fosse stato per me avrei lasciato il duca nel milleduecentosessantaquattro e avrei fatto retrocedere Cidrolin perché... perché a volte per andare avanti bisogna andare indietro, tornare, ricominciare, prendere strade diverse, rallentare. Non è mica male il milleduecentosessantaquattro, sono successe un sacco di belle cose, non ricordo quali ma sicuramente ci sono state.

sabato 13 ottobre 2018

Italo Calvino - Il cavaliere inesistente


Il cavaliere inesistente by Italo Calvino
My rating: 5 of 5 stars


Della trilogia degli Antenati di Calvino Il cavaliere inesistente è sicuramente il mio preferito.
Per il concetto di esistenza e non esistenza? Certo. Per la mancanza di compromessi? Può essere.
Un cavaliere che non è, un servo che non sa cosa essere, una donna che decide di essere ciò che vuole. La pura forza di volontà che si risolve in nulla, sfuma di fronte alla Storia, illusione. Il peso del lignaggio si sgretola tra dubbi di identità; io sono chi dico di essere, chi credo di essere o chi altri vogliono che sia? L'incertezza è totale.
Seguendo la più classica traccia della commedia il racconto si apre in una situazione di stasi per poi mettere tutto in discussione, dipanarsi in mille peripezie e trovare nuova stabilità, in mezzo il lettore ride, combatte, viaggia, si innamora. Al principio tutto è come deve essere per poi mutare, divenire, evolvere e tornare in equilibrio; come un funambolo che dinanzi al pubblico agita il suo ombrellino facendo credere al pubblico di poter cadere da un momento all'altro. Sul filo si agita apparentemente scomposto, rotea le braccia e il busto, il pubblico freme per lui presentendo lo schianto.
E invece non cade.

Così anche il racconto ritrova equilibrio e l'anomalia si dissolve.
La mia mappa. E' oscena vero? Beh, credo che Suor Teodora
non avrebbe saputo far di meglio


E poi c'è Carlo Magno, c'è battaglia, agnizione, c'è uno scriba e ci sono mappe... cioè ci sarebbero se fosse un'edizione illustrata e allora il lettore le mappe può disegnarsele da sé, io ci ho provato con risultati pessimi ma ciò che importa è divertirsi vero? E con Calvino ci si diverte di sicuro, Suor Teodora traghetta il lettore da una sponda all'altra del racconto con ingenua ironia ed è una delizia tutta da leggere, non si può descrivere; anche lei, ovviamente, non è chi è o meglio: talvolta lo è, tal altra no.

C'è una canzone di Baglioni che mi è tornata alla mente a ogni pagina di questo libro: Le vie dei colori: ha un testo che definirei calviniano almeno quanto è queneauiano, Ou.Li.Po. in musica insomma: pieno di allitterazioni, rimandi, leggerezza, pieno di terre e tempi lontani, cavalieri blu, rossi, bianchi (inesistenti?), costruito su una musica incalzante, immagini, allitterazioni e assonanze, concatenazioni di sillabe, giochi linguistici e ironia.

O bella mia
io vado via
e non ti porto con me
c'è un viaggio che
ognuno fa solo con sé
perché non è che si va vicino
perché un destino non ha...

Un mattone vuole esser casa
un mattino divenire chiesa
ed il matto che c'è in me
che si chiede che cos'è
vuole diventare qualche cosa...

E sarà una strada senza fine
sotto ad una spada o su una fune
a cercare il mio Far West
a trovare il Santo Graal
una corsa brada oltre il confine...

Una luce prenderò
per te là fuori
quando io camminerò
Le Vie Dei Colori...

Scalerò le rocce in mezzo al vento
sulle tracce di chi ha perso o vinto
vagherò la mia odissea
nella idea di te mia dea
tagliati le trecce e vai in convento...

Una voce prenderò
per te là fuori
quando io camminerò
Le Vie Dei Colori...

C'era un cavaliere
bianco e nero prigioniero
senza un sogno né un mistero
senza fede né eresia...
senza le ali di un destriero
senza le onde di un veliero...

Se la sorte rivolesse ciò che ho speso
io forte non sarei per il tuo peso
a volare in un rodeo
a valere nel torneo
della morte ed essere il tuo sposo...

Una pace prenderò
per te là fuori
quando io camminerò
Le Vie Dei Colori...

C'era un cavaliere
bianco e nero prigioniero
senza un posto né un sentiero
senza diavolo né Dio...
senza un cielo da sparviero
senza un grido di un guerriero...

Io ti lascio senza perderti
e ti perdo un po'
anche se poi
lasciarti è un po' perdermi...

O bella mia
o bella ciao
io sono via
con un pensiero di te immenso
e un nuovo senso di me...

C'era un cavaliere giallo
che rubò un cavallo alle scogliere
ed un cristallo alle miniere di un metrò
sulle ciminiere disegnò un castello di corallo
e al ballo tutto il quartiere andò...

C'era un cavaliere rosso
che salì sul dosso di bufere
sopra il fosso delle sere di città
dietro un cielo mosso di ringhiere dentro il mare grosso
di un braciere d'immensità...

C'era un cavaliere blu
che catturò la gioventù di primavere
che portò chimere in schiavitù
liberò le gru dalle lamiere di un cantiere
verso un campo di preghiere laggiù...

Dove arriverai anche tu
camminando Le Vie Dei Colori

... E adesso beccatevi il video. Sul cavaliere bianco e nero si è impappinato pure lui 😁😁😁




sabato 17 febbraio 2018

Italo Calvino - Il Visconte dimezzato



Una parabola dal sapore cristiano sulla necessità di essere / possedere sia il bene che il male, sull'essere buoni e cattivi, sull'essere interi per essere umani.

Il solo male è sicuramente nocivo ma altrettanto può esserlo il solo bene tanto che i lebbrosi si ritroveranno a pensare che "delle due metà è peggio la buona della grama".

Della parabola riprende la moralità senza pedanteria e la semplicità. Calvino parla ai ragazzi, agli adulti, ai colti e ai curiosi, non serve grande cultura letteraria per comprendere questo racconto, serve capacità di astrazione.
Piacevolmente leggero, sorprendentemente semplice eppure ricco di spunti per pensare, meditare, astrarre.

Lo scopo dell'opera lo rivela proprio Calvino nella nota al testo del 1960: 

"Quel che mi interessava, il dimidiamento. Dimidiato, mutilato, incompleto, nemico a sé stesso è l'uomo contemporaneo; Marx lo disse "alienato", Freud "represso"; uno stato d'antica armonia è perduto, a una nuova completezza si aspira. Il nocciolo ideologico-morale che volevo coscientemente dare alla storia era questo. Ma più che lavorare ad approfondirlo sul piano filosofico, ho badato a dare al racconto uno scheletro che funzionasse come un ben connesso meccanismo, e carne e sangue di libere associazioni d'immaginazione lirica."

In fondo rimane una parabola sul bene e sul male e sulla necessità di entrambi.

Ci sono due particolari però che non mi sono del tutto chiari, e sui quali posso fare supposizioni
http://www.eleniaberetta.com/Il-Visconte-Dimezzato

Il primo riguarda i nomi: il dottor Trelowney porta il nome di uno dei personaggi dell'Isola del Tesoro di Stevenson, precursore dell'indagare, svelare, citare le teorie del doppio con Jekyll-Hyde. Ora secondo me laddove per Stevenson le teorie del doppio, del bene e male racchiusi nella medesima natura umana, costituivano l'innovazione, per Calvino invece il doppio è ormai la normalità così come lo è per noi ed è per questo che l'innovazione è ora il dimidiamento, il dimezzamento che non è solo la frattura bene/male ma è la frattura all'interno dell'Uomo, l'uomo spezzato. 

Mi torna in mente Eliot, i frammenti della Terra Desolata con cui puntellava le sue rovine, poesia come insieme di frammenti... il dottor Trelawney che si affanna a bendare, fasciare, ricongiungere le due metà del Visconte facendo combaciare viscere e arterie, ricongiungendo frammenti, puntellando rovine.
L'artista del primo Novecento in crisi d'identità cercava un nuovo rapporto con l'arte e nuovi modi per esprimersi per distaccarsi dagli ingombranti padri del Canone che sembravano possedere verità assolute e sicurezze laddove il poeta moderno era insicuro e tremante e non si ergeva più a dispensatore di verità (cfr. Montale "Non chiederco parola").
Allo stesso modo anche l'uomo del secondo dopoguerra è alla ricerca di un nuovo rapporto con la realtà, l'insicurezza, la zoppia hanno pervaso la società tutta, il senso di ribellione verso la società dei padri si sta insinuando e di lì a qualche anno esploderà in minigonne, caschetti e jeans, in desideri di parità e uguaglianza.  

"Alle volte uno si sente incompleto ed è soltanto giovane."

E giovane era la società in cui Calvino si muoveva. Una società che avvertiva il senso di incompletezza come una sorta di epoca adolescenziale alla ricerca di identità.

Il secondo particolare è relativo alla determinazione temporale. Il riferimento ai turchi in Boemia e alla cacciata degli Ugonotti dalla Francia localizza il racconto nel Seicento, le guerre ottomano-Asburgiche coprono un arco di tempo che va dalla prima metà del Cinquecento alla fine del Settecento. La cacciata degli Ugonotti di cui parla Calvino (cap. V) si può far risalire a subito dopo il 1685 quando re Luigi XIV revocò l'Editto di Nantes dando inizio al clima di persecuzione in Francia.
Il riferimento poi al capitano Cook e all'Australia ci porta nel Settecento, precisamente nel 1770.
Questa fluidità temporale può risultare destabilizzante: nella maggior parte della narrazione siamo di fronte a una storia straordinaria inserita in un contesto abbastanza storico e coerente finché non si prendono in considerazione i riferimenti a Cook e all'Australia che faranno sicuramente storcere il naso ai puristi della coerenza logica, ma contribuiscono al generale clima fiabesco.

martedì 1 novembre 2016

Il Castello dei Destini Incrociati ovvero quando la genesi di un'opera letteraria è essa stessa opera letteraria.


E' la prima volta che mi capita di provare maggior interesse per la genesi di un'opera letteraria piuttosto che per il suo contenuto. Certo molta parte della letteratura del Novecento è fatta più da studio che da storia, fabula e intreccio tendono sempre più ad assumere un peso equivalente laddove la prima è la storia propriamente detta e la seconda la maniera di portarla alla luce, tuttavia un esempio di genesi a tavolino così lampante ancora non mi era capitato.
Si badi bene, non mi riferisco alla costruzione a tavolino dei best seller per la quale esistono ormai scuole specifiche che insegnano come scrivere per generare un successo i cui studenti vanno poi a ingrossare e ingrassare le fila dei ghostwriter, mi riferisco alla genesi del racconto o romanzo postmoderno, all'irrazionalità derivante dalla razionalità portata all'estremo da quei simpaticoni dell'Oulipo che in qualche modo hanno contribuito a sdrammatizzare l'angoscia provata dallo scrittore di fronte alla vastità del materiale letterario passato e alla disgregazione del presente.
Il castello dei Destini Incrociati è un testo che si regge in piedi e racchiude nella sua genesi, consapevolmente, tutto il tentativo dello scrittore di dare una struttura (intreccio) alla storia (fabula). 
E mi torna in mente Mantissa di John Fowles (sfortunatamente non tradotto in italiano), Il taccuino d'Oro di Doris lessing, Under the Net di Iris Murdoch e tutta quella letteratura del Novecento in cui forte è il sentimento di impotenza dell'autore di fronte alla composizione letteraria.

L'OCCASIONE:
FortunaNel luglio del 1968 Paolo Fabbri tenne a Urbino una relazione su Il racconto della cartomanzia e il linguaggio degli emblemi. Nasce in Calvino l'"idea che il significato di ogni singola carta dipende dal posto che essa ha nella successione di carte che la precedono e la seguono". La carta, la parola, la storia possono assumere diverse connotazioni o significati a seconda del ruolo che hanno all'interno della costruzione ma anche a seconda delle esperienze di chi racconta, è così che la carta del Bagatto assume nei racconti il ruolo del mago o del ciarlatano oppure del poeta a seconda del contesto di carte in cui si trova in un caleidoscopio di figure e storie che muta fora a seconda di come lo si gira.

Mi immagino Calvino seduto alla scrivania che tira fuori una carta, poi un'altra e un'altra ancora, cerca di disporle in un ordine e di dare un senso a questa disposizione, quando il senso non si trova rimuove una carta, poi un'altra, le sostituisce, le alterna, le dispone in varie forme come per ordinare pensieri e storie ma invece di scegliere la forma temporale da sempre congeniale alle opere a cornice (vedi Decameron, Racconti di Canterbury...) ne sceglie una geometrica: il quadrato, a lui più congeniale, rivelatore della sua appartenenza all'Oulipo.
Mentre dispone, toglie e alterna pare quasi che le carte stesse, le storie, i personaggi si impongano, autodeterminino se stesse e il loro posto nella storia, a destra di questa, a sinistra di quell'altra. E' Calvino che organizza il materiale, le carte, per raccontare delle storie o sono le storie che si organizzano per farsi raccontare da Calvino? E' l'autore che sceglie cosa narrare o sono la mille e più storie già narrate in passato che riaffiorano e cercano nuove soluzioni narrative tra le mani di Calvino? Non posso non pensare all'Orlando Furioso, a Macbeth, Faust... chi decide di raccontare e chi decide di farsi raccontare? 
Questo sentimento di impotenza si manifesta all'inizio della Taverna quando mani prepotenti tentano di scombinargli il materiale narrativo, frugano, nascondono, rubano e il narratore cerca in tutti i modi di trattenere le sue carte quando due mani forti iniziano ad aiutarlo a bloccargli le carte sul tavolo finché tutto ciò che resta a sua disposizione sono le carte trattenute dalle mani del salvatore sconosciuto e con quelle deve raccontare la sua storia. E' forse questa la figura dell'editore? Il narratore è allora libero di raccontare ciò che vuole o può raccontare solo quello che ha a disposizione? Per chi scrive l'autore? Per se stesso? Per l'editore? Per il lettore? Quando è stata l'ultima volta che un autore ha riscosso successo per qualcosa che ha scritto solo per se stesso? Non si piegano forse tutti al volere di qualcun altro?

Calvino ha a disposizione due mazzi di tarocchi: uno quattrocentesco col quale scriverà Il Castello dei destini incrociati e uno settecentesco che gli fornirà la materia per La Taverna dei destini incrociati.
Nel primo il materiale è più accattivante, il linguaggio più semplice, le storie concise e di immediato impatto, si riconoscono subito citazioni a Faust a orlando Furioso, anche il modo con cui Calvino tratta i temi dei suoi racconti è semplice e di immediata comprensione, boccaccesco quasi. Nella taverna tutto cambia, il linguaggio si fa più alto, le storie si dilungano in speculazioni a tratti filosofiche, le citazioni sono alte, dalla Terra Desolata di Eliot a Chrétien de Troye (e chissà quanti altri che non ho riconosciuto). Su tutti domina il tema della possibilità, c'è un grande ricorso al tema dell'incertezza e proprio la prima storia che viene narrata è quella dell'indeciso.

Lungo tutta l'opera, dall'introduzione alla conclusione serpeggia il tema dell'interpretazione. In entrambi i contesti (castello e taverna) i personaggi non possono parlare ma solo narrare la loro storia attraverso le carte dei tarocchi. Ognuno dispone le proprie carte sul tavolo e gli altri avventori costruiscono una storia verosimile. Se nel Decameron per ogni giovane c'erano dieci storie narrate nell'opera di Calvino per ogni narratore ci saranno tante storie narrate quanti saranno gli avventori presenti alla narrazione. Il lettore ha a disposizione ciò che riporta solo uno degli avventori ma l'opera di Calvino avrà nel tempo migliaia di lettori
e dunque migliaia di possibili storie e interpretazioni.