Chiudete gli occhi, siete alla corte di Luigi XV, rocca, sfarzosa, ipocrita, corrotta, la stessa stigmatizzata da Dumas nel ciclo dei tre moschettieri. Babilonia è in realtà Parigi e Zadig ne percorre strade e palazzi scovandone le imperfezioni e proponendo soluzioni di buon governo con intelligenza e compassione, mai astuzia.
Zadig è un libro che dice più di quanto non sembri: in quest'opera Voltaire tratta tutti gli argomenti che stanno a cuore al filosofo a proposito di costume e malcostume della corte: nepotismo, corruzione, ciarlataneria, idolatria e superstizione, critica l'ipocrisia di palazzo e la mancanza di compassione verso chi è caduto in disgrazia ma critica anche quei sovrani che non accettano i suggerimenti di uomini più dotti. I filosofi del XVIII secolo si proponevano come guide morali per i sovrani e venivano spesso denigrati dai cortigiani, a volte messi proprio al bando come accadde proprio a Voltaire. L'esotismo, la localizzazione in un altrove spaziale e temporale era pratica usuale in quei tempi, vi si ricorreva volentieri, lo fece anche Montesquieu con le sue Lettere Persiane e anche lui, come Voltaire, giudico più opportuno pubblicare l'opera in Olanda per sfuggire alla censura del regime.
Zadig è un puro, di buona indole e buona educazione, eppure il mondo sembra rivoltarglisi contro: i malvagi sembrano avere il sopravvento e lui soccombere salvo salvarsi sempre all'ultimo. Con questo Voltaire ci dice anche di più: influenzato probabilmente dalle teorie gianseniste che qualche decennio più tardi avrebbero ispirato la manzoniana Provvidenza, ci ricorda che tutto è bene nel migliore dei mondi possibili e che gli uomini non dovrebbero giudicare il Tutto dalla loro limitata percezione in quanto non conoscono tutta la verità. Il caos che apparentemente governa gli eventi cela il motore universale della Provvidenza, il grande architetto che tutto conosce e tutto ha predisposto.
Dice l'eremita: "La bile rende collerico e malati ma senza questa l'uomo non potrebbe vivere. Tutto è pericoloso e tutto è necessario".
Graziosa è infine la critica che Voltaire rivolge allo stile pomposo di alcuni celebrati autori del Settecento quando fa criticare all'invidioso il discorso di Zadig perché "non aveva fatto danzare abbastanza le montagne e le colline. Nel suo discorso non si vedono né il mare che scompare né le stelle che cadono". È l'inizio del linguaggio scientifico, politico e letterario moderno? Ricondurre il linguaggio a comunicazione liberandolo dagli orpelli e dal superfluo che rischiano di offuscarlo, dalle similitudini e dalle figure retoriche lasciando spazio al significato. "Zadig si accontentava di avere lo stile della ragione".
Chicca al capitolo IV "L'Invidioso": la lettera dimezzata che rischia di far condannare Zadig mi riporta agli esperimenti letterari dell'OuLiPo del dopoguerra francese, quel laboratorio di letteratura potenziale che vide tra i suoi maggiori esponenti Queneau e Calvino. E mi riporta al visconte dimezzato, al tutto bene / tutto male e alla conclusione che siano necessari entrambi e che il dimidiamento sia un danno.
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