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sabato 9 dicembre 2017

La figura della donna longobarda in Paolo Diacono

Teodolinda sposa Agilulfo - Duomo di Monza - affresco Zavattari 1444
 E’ interessante esplorare l’importanza che la donna riveste all’interno del popolo longobardo attraverso la narrazione che ne fa Paolo Diacono, fondamentali infatti appaiono le figure femminili in più aspetti della storia di questo popolo per la funzione sacrale di collegamento con il divino, cattolico o pagano che sia, per l’apporto determinante nella cristianizzazione e nella romanizzazione e come strumento di legittimazione per i sovrani, come se in loro scorresse la linfa divina della Provvidenza. Bisogna infatti ricordare durante la lettura di tutta la Storia dei Longobardi di Diacono che l’autore legge nella storia del popolo longobardo un disegno della divina Provvidenza e così si devono vedere i singoli episodi e l’intera opera: manifestazioni della volontà divina nel mondo.

Il mito dell’origine dei Longobardi ha inizio con una donna: Gambara, madre di Aio e Ibor, insieme i tre intraprendono il viaggio. Diacono la descrive “acuta d’ingegno e provvida di consigli; nei momenti dubbi essi confidavano nel suo consiglio” ed è proprio lei, dei tre, a rivestire un ruolo fondamentale nella genesi del mito: quando infatti i Winili (originario nome dei Longobardi) si scontreranno con i Vandali sarà Gambara a chiedere e ottenere l’aiuto della dea Frea affinché interceda per loro con il marito Wotan e doni loro la vittoria. Questo episodio viene usualmente utilizzato per spiegare l’etimologia del nome Longobardi ma potrebbe anche spiegare il passaggio dei Longobardi dalla devozione a Frea/Freya, dea della fertilità a Wotan/Odino, dio dell’esercito e della guerra, passaggio che sarebbe stato in questo caso determinato da una donna: Gambara. Del resto, come si legge nell’opera di Diacono, saranno le donne a operare e velocizzare il cambiamento religioso dall’arianesimo al cattolicesimo.

Un altro episodio emblematico della funzione sacrale della donna come strumento della Provvidenza derivante dalla germanicità dei Longobardi si legge nel racconto che Diacono fa del viaggio di ritorno del suo avo Lopichis dalla prigionia in terra degli Avari all’Italia. Proprio quando è arrivato in terra italiana viene soccorso, sfamato e protetto da una donna assai anziana che gli indica infine la via da percorrere per tornare a casa.

La figura femminile principale della Storia è senza dubbio quella di Teodolinda, discendente dell’antica e nobile stirpe dei Leti, cattolica; di lei sappiamo che ebbe frequenti scambi epistolari con Papa Gregorio Magno e che impresse una forte accelerazione al processo di cattolicizzazione dei Longobardi infatti Adaloaldo, il figlio che Teodolinda ebbe da Agilulfo, fu il primo sovrano longobardo battezzato e fu battezzato nella basilica di San Giovanni a Monza, fatta edificare proprio dalla regina. Paolo Diacono descrive la basilica con queste parole in una conversazione tra l’imperatore bizantino Costante e un eremita: “Il popolo dei Longobardi non può essere vinto da nessuno perché una regina, venuta da un’altra terra, ha costruito sul suolo longobardo la basilica del beato Giovanni Battista e per questo il beato Giovanni intercede continuamente per la gente longobarda. Verrà il tempo in cui questo tempio sarà disprezzato e allora quel popolo perirà”.

Resta ora da affrontare l’argomento dell’importanza della donna nella legittimazione della sovranità.
Inizio da Wacone, re longobardo tra il 510 e il 540. Wacone usurpò il trono al cugino Idilchi. Per i Longobardi più importante della discendenza e del sangue reale era l’onore delle armi perciò, Wacone, avendo sconfitto Idilchi sul campo, poteva considerarsi al sicuro sul trono, tuttavia, per sottolineare la sua legittimità, prese in moglie tre donne figlie di sovrani esteri: una dal popolo dei Gepidi, una dai Turingi e una dagli Eruli un po’ come a voler dire: “Non sono re per nascita e sangue, mi sposo la figlia di un re e vengo automaticamente legittimato”.

Autari, re dal 584 al 590 divenne re per elezione dell’assemblea dei duchi e dei guerrieri ma per rafforzare le pretese di legittimità sposò Teodolinda, discendente di Wacone (vedi schema delle dinastie longobarde qui).

Teodolinda nelle
Cronache di Norimberga
Morto Autari la tradizione vuole che poiché Teodolinda era molto accetta ai Longobardi le permisero di mantenere il ruolo di regina invitandola a scegliersi uno sposo degno di poter governare il regno insieme a lei e Teodolinda scelse Agilulfo, cognato di Autari, che venne poi elevato al potere dall’assemblea dei Longobardi.

Personalmente fatico a credere pienamente a questa storia e come me anche qualche storico ha i suoi dubbi tanto da considerare la morte di Autari, probabilmente per avvelenamento, un assassinio. Mi viene più semplice pensare che Agilulfo, per diventare re, “convinse” Teodolinda a sposarlo.

Un destino molto simile ebbe la figlia di Teodolinda e Agilulfo Gundeperga, suo fratello morì, probabilmente avvelenato e l’assemblea dei duchi elesse l’ariano Arioaldo, Gundeperga gli fu data in moglie e, alla morte di Arioaldo, fu fatta sposare con il successore Rotari (quello dell’Editto).

Nonostante questi passaggi matrimoniali Teodolinda e Gundeperga non devono aver avuto una vita troppo terribile, sorte peggiore capitò sicuramente a Teodorada e Aurona, rispettivamente moglie e figlia di Ansprando, sconfitto sul campo da Ariperto che a seguito di ciò divenne re dei longobardi. Fuggito Ansprando, Teodorada e la figlia Aurona vennero catturate e mutilate con il taglio di naso e orecchie. A parte l’aspetto macabro della vicenda bisogna sottolineare che la mutilazione era una pratica bizantina per privare i pretendenti al trono dell’integrità fisica, indispensabile per regnare. Questa mutilazione potrebbe indicare quanto Ariperto temesse la regina e sua figlia e quanto anche le donne potessero costituire un ostacolo per le sue pretese al trono anche se Paolo Diacono la giustifica come punizione perché «si vantava con ambizione femminea che sarebbe diventata regina, fu deturpata nella bellezza del viso.»

Sull’importanza della donna nel mondo longobardo non abbiamo a disposizione altre fonti dirette per questo gli esempi che si possono riportare sono pochi ma Diacono pare metterli ben in evidenza

domenica 3 dicembre 2017

Storia dei Longobardi - Paolo Diacono

Storia dei Longobardi, edizione San Paolo con introduzione e note di Felice Bonalumi, Decisamente consigliata!

Può un libro di storia del VIII secolo scritto nell’VIII secolo essere considerato opera letteraria da leggere?
Oh sì!
Oh sì!
Oh sì!


La Historia Langobardorum di Paolo Diacono, oltre a essere il testo più completo che riporti la storia dei Longobardi dalle origini nel mito al regno di Liutprando, oltre a presentare interessanti digressioni geografiche, etniche e storiche che aiutano il lettore di ogni epoca a collocare nel giusto spazio temporale, geografico e politico gli eventi, è sicuramente un'opera di alta letteratura scritta da una penna dotata di concisione, scorrevolezza ed eleganza.

L’opera del resto è una saga, la grande saga del popolo longobardo dalle origini perdute nel mito sino all'ultimo re (in realtà il terz'ultimo ma per amor di letteratura facciamo finta che sia l'ultimo ok?). E in tempi come i nostri in cui si vive questo ritorno al medioevo con opere di consumo come Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco o Vikings, questo libro trova una nuova giovinezza nella riscoperta delle origini germaniche di una parte d’Italia risalendo a un popolo che è tutto nostro e solo nostro e che contribuì enormemente a spostare il baricentro dell’Italia dal Mediterraneo all’Europa continentale (perché l’ho spiegato qui).

Codice del XI s. della Origo gentis Langobardorum, Salerno
L'origine di questo popolo si perde in una nebbia mitica che vede partire dalla Scandinavia una madre con due figli e pochi giovani guerrieri al seguito, partono e subito si scontrano con i Vandali che vogliono sottometterli. Lottano e vincono per la libertà, tema che ricorre lungo tutta l'opera come valore fondamentale e principio irrinunciabile del popolo longobardo che combatterebbe, secondo Diacono, non per desiderio di bottini e gloria ma per difendere la propria libertà, lo stesso avo dell'autore, prigioniero degli Avari, fuggirà e tornerà in Italia tessendo così un parallelo tra la storia del popolo longobardo e la storia della famiglia di Diacono. Si nota, da parte dell'autore, un continuo giustificare le azioni offensive dei Longobardi come necessità per mantenere l’indipendenza, anche l’attacco di Agilulfo a Ravenna avrebbe avuto come motivazione il rapimento della figlia da parte dei Bizantini e poco importa se in seguito a ciò i Longobardi abbiano conquistato Cremona, Mantova e Brescello: secondo Diacono non combattono per conquista ma per difesa.

Un giochetto divertente che si può fare con questo libro è quello di trovare tutti i punti in cui l’aspetto guerriero del popolo Longobardo viene minimizzato se non addirittura taciuto sostituendo le cause che portano agli scontri con motivazioni alla Deus Vult!

E’ con estrema ironia che si leggono alcuni passi, un esempio su tutti quando Diacono parla del regno di Autari successivo all’epoca dei Duchi: “Non vi era violenza, non si tendevano insidie; nessuno angariava gli altri ingiustamente, nessuno depredava; non vi erano furti, non rapine; ognuno andava dove desiderava sicuro e senza timore”, le violenze, le razzie, le uccisioni e confische che hanno caratterizzato la conquista longobarda dell’Italia vengono dall’autore confinane tutte nei dieci anni di regno dei duchi. Al lettore moderno resterà il compito di ricostruire in modo verosimile le vicende bilanciando il tono al limite dell’agiografico di Paolo Diacono con il biasimo lasciato dagli storici franchi e rinascimentali.

Le digressioni sono numerosissime ma mai prolisse e sempre piacevoli se non proprio gustose, sono curiosità su fenomeni naturali straordinari, leggende, fatti storici più o meno pertinenti con la narrazione, elegie, estratti di corrispondenze private che rendono vivi e reali personaggi storici come Teodolinda e Gregorio Magno. Devo confessare che al cospetto dell’elegia dedicata dall’autore al beato Benedetto non ho potuto fare a medo di pensare a Tolkien e alle sue opere in cui canti e ballate si fanno largo tra la prosa. Vi si leggono inoltre esempi di ottima letteratura come il viaggio del bisnonno di Paolo Diacono per tornare in Italia, anche questo tra mito e realtà, prima l'incontro con un lupo, poi un sogno rivelatore e infine il soccorso che gli giunge da un'anziana. Oppure la vicenda di Alboino e Rosmunda che è stata più volte ripresa in letteratura da Ruccellai, Alfieri e Sem Benelli, e si pensa che sia stata d’ispirazione per una canzone popolare lombarda cantata da artisti come Mia Martini, Sergio Endrigo e De Gregori.

L'opera inizia con un'ampia digressione sulle popolazioni germaniche del nord, fenomeni naturali nordici straordinari e poi percorre l'eroica migrazione dei Winili (antico nome dei Longobardi) dalla Scandinavia fino alle porte dell'Italia. Tra le righe del mito si legge il loro abbandono della divinità Freya, madre di fertilità per votarsi al dio Wotan, dio di eserciti e guerre, il loro assimilare popolazioni al passaggio liberando schiavi per farne guerrieri, la presenza di guerrieri mascherati (cinocefali), lotte con le Amazzoni... molte citazioni care agli appassionati di letteratura nordica.

Alle porte dell'Italia si apre una digressione che illustra il periodo storico e culturale, come a voler segnare una rottura nella narrazione tra quello che erano prima i Longobardi e ciò che diventeranno nella loro nuova patria.

Segue un lungo carme a San Benedetto e infine l'arrivo in Italia il lunedì di Pasqua, simbolo di rinascita, di primavera d’Italia.

Dopo l'arrivo in Italia l'autore si sofferma a illustrare le varie regioni d'Italia colorando il tutto con diverse etimologie fantasiose, molte delle quali riprese pari pari da Isidoro di Siviglia, compresa quella della parola Longobardi: “così chiamati a causa della loro lunga barba mai tagliata” (Etimologie XIX, II, 95).

La narrazione delle vicende storiche dei Longobardi continua in modo sempre più scorrevole, intervallata da digressioni storiche e leggende e si potrebbe compiere un’analisi più approfondita su vari aspetti della narrazione, per esempio analizzare le etimologie fantastiche, vere e proprie castronerie laddove per trovare l’origine e il significato di alcuni nomi si invertono, aggiungono o sottraggono consonanti, si comprano vocali e si gira la ruota come in preda a un furore etimologico derivato dal suo celebre predecessore Isidoro di Siviglia che un secolo prima scrisse un’enciclopedia che racchiudeva tutto ciò che era allora conosciuto e che si intitolava, appunto, “Etymologiae”. 

Insomma è un testo storico, è una saga, è un’enciclopedia, il tutto in meno di 200 pagine introduzione compresa. 
Accattatevillo! Leggetevillo!
Duecento pagine per diventare in una settimana al massimo esperti di storia del popolo longobardo.
A che pro non si sa ma sempre essere esperti di qualcosa nella vita che non esserlo affatto.

No?

Se poi volete seguirmi in questa follia longobarda rimando ad altri due post:
- La figura della donna longobarda in Paolo Diacono
- I Longobardi di Diacono: trova la Provvidenza