Ho appena terminato la lettura di Ivanhoe di Sir Walter Scott e le prime parole che mi vengono in mente sono OH! MIO! DIO!
Ma che figata di libro è?
Perché nessuno me l'ha mai detto? Perché nessuno ne parla?
La prima volta che ne sentii parlare ero al liceo e il prof stava introducendo I Promessi Sposi presentandolo come romanzo storico. "Il genere del romanzo storico trae la sua origine dall'Ivanhoe di Sir Walter Scott e bla, bla, bla...". Se prima avevo considerato Ivanhoe come romanzo per maschietti sotto i tredici anni l'associazione con l'opera del Manzoni aveva definitivamente mandato all'aria ogni possibilità di considerarlo tra le opere da leggere.
Poi un anno fa sono capitata su di un'intervista de La Stampa allo storico medievale Jacques Le Goff, l'autore de " Il Meraviglioso e il Quotidiano nell'Occidente medievale", "La Nascita del Purgatorio" e innumerevoli altre opere di carattere storico. Nell'intervista racconta di aver letto Ivanhoe quando aveva dodici anni e di esserne rimasto entusiasta, anche questo contribuì a far nascere in lui la passione per il Medioevo.
E ora capisco perché! Questo libro infiammerebbe un iceberg, c'è così tanta passione e tanta sorprendente ironia da potersi considerare modernissimo.
L'introduzione di Francesco Marroni nell'edizione Mondadori avvisa subito il lettore che l'opposizione tra sassoni e normanni attorno alla quale ruota tutta l'opera era alla fine del XIII secolo ormai superata ma in fondo al lettore poco importa, la godibilità del libro sta proprio nell'inserire personaggi storici entrati ormai nel mito come re Riccardo, il principe Giovanni, Robin Hood e tutta la sua banda di fuorilegge in una situazione politica di incertezza e ribellioni: re Riccardo è prigioniero del duca d'Austria, in sua vece governa il fratello Giovanni che sta cercando di farsi riconoscere re, nel frattempo l'antica nobiltà sassone, ancora non del tutto domata, si sta organizzando per riportare i sassoni al potere a discapito degli "usurpatori" normanni.
L'eroe Ivanhoe è il punto di congiunzione tra le due fazioni in quanto sassone al servizio giurato di re Riccardo, alla fine è l'uomo che risolverà idealmente il conflitto tra le due anime inglesi lasciando immaginare un futuro di pace e concordia.
MA
La caratteristica secondo me più straordinaria e narrativamente innovativa è che l'eroe Ivanhoe di cui tutti parlano e che dà il titolo al libro non compare per tre quarti dell'opera se non per mostrarsi a letto ferito e tutto il romanzo narra di eventi e persone che ruotano attorno alla sua figura.
La grande maestria di Scott risiede nel portare all'attenzione del pubblico inglese una storia che sembra ricalcare i romanzi gotici che tanto successo avevano riscosso nei decenni precedenti.
Sono presenti elementi gotici come la corruzione, dell'anima o della carne, si pensi al nobile Fitzurse che nutre rancore verso re Riccardo e sostiene il principe Giovanni perché debole e facilmente manovrabile. Oppure si pensi al potente priore dell'Abbazia di Jorvaulx, "amante della caccia, della buona tavola e di altri piaceri mondani ancora meno compatibili con i voti monastici".
Un altro elemento gotico si può ritrovare nella vertiginosa verticalità del castello di Torquilostone dalle segrete sotterranee luogo di prigionia e tortura all'alta torre in cui sono prigionieri Rebecca e Ivanhoe.
Infine la figura di Ulrica, fatta prigioniera da giovane e sfruttata come schiava da letto che per anni, decenni, ha covato il suo odio meditando vendetta: la distruzione dei suoi aguzzini, del loro castello e di se stessa.
Ma nel dare una patina di gotico al suo racconto Scott lo libera allo stesso tempo del mistero proprio di quel genere letterario e lo riveste di ironia. E' così che il nobile Athelstane, pallido e smagrito, sembra resuscitare col solo scopo di concedersi un pasto decente, in questo modo Scott con la veste gotica (romance) appassiona il lettore per poi ricondurlo nella sfera del reale (novel) spogliandolo di tutto il mistero.
Anche l'idea di eroe all'interno del romanzo subisce un capovolgimento rispetto ai canoni del romanzo gotico e del classico romanzo medievale nei quali l'eroe è perfetto, coraggioso, saggio, pondera con senno ogni decisione anteponendo l'interessa della collettività al proprio. In Ivanhoe quello che viene presentato come eroe, il cavaliere nero, agisce in realtà per soddisfare il proprio desiderio di gloria e la sua smodata passione per il rischio e l'avventura e poco importa che questo possa rappresentare un pericolo per l'intero regno.
A fare da contraltare a questi celebrati eroi che mettono inutilmente a repentaglio le sorti del regno o giacciono feriti in un letto oppure ancora sono devastati da passioni mortali come Bois-Guilbert ci sono gli eroi che non ti aspetti: il frate beone e godereccio, il bandito, il porcaro e il buffone Wamba che chiude perfettamente questo processo di smitizzazione della cavalleria e del valore dicendo "Quando il valore e la follia viaggiano insieme è la follia che deve portare il corno perché sa suonarlo meglio" e infatti alla fine sarà proprio Wamba a suonare il corno quando con re Riccardo si troverà in grande pericolo risparmiando al re il destino che toccò a un altro grande paladino della letteratura medievale, Orlando, l'eroe le cui gesta diedero inizio alla letteratura romanza.
Chiude questa rappresentazione invertita del mondo cavalleresco il duello finale in cui l'eroe vince e la bella Rebecca è salva non tanto per le capacità e il valore di Ivanhoe ma perché l'avversario collassa sconfitto dal proprio conflitto interiore.
E se ancora serve un motivo per convincersi a leggere quest'opera dirò che tra queste pagine prendono vita personaggi quasi mitologici che popolano la nostra immaginazione sin dall'infanzia: re Riccardo Cuor di Leone, Giovanni Senza Terra, Robin Hood e Frate Tuck sono così vivi che paiono saltare fuori dalle pagine. Su tutti è proprio frate Tuck che suscita la maggior simpatia, questo frate ubriacone e godereccio, amante della buona tavola, della caccia e delle ballate sassoni, il guardiano delle anime dei fuorilegge di Sherwood che non risparmia sagge randellate a chi se le merita e il capitolo che lo vede insieme al cavaliere nero a bere, mangiare, cantare e suonare è a mio parere il capitolo più divertente di tutta la letteratura classica, irrispettosamente dissacrante, un pezzo di pura pancia. La figura di frate Tuck è perfettamente bilanciata dall'altro buffone malgré lui, il comico non ufficiale dell'opera, il nobile indolente Athelstane, ultimo discendente della più gloriosa stirpe sassone il cui unico scopo nella vita e di garantirsi pasti adeguati al suo status.
Insomma un romanzo bello bello bello, talmente piacevole che le ultime pagine le ho dovute centellinare per prolungare quanto più possibile l'atmosfera in cui ero immersa.
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