giovedì 1 agosto 2019

Henry James - Il carteggio di Aspern


Fino a che punto è lecito spingersi per amor di letteratura?

Una Venezia gotica emerge dalle pagine di James, in questa città è conservato il carteggio amoroso di uno dei più importanti poeti del XIX secolo: Jeffrey Aspern.

Aspern è un personaggio fittizio ricalcato sulla figura del poeta Lord Byron, un ricercatore  scopre quasi per caso che il suo carteggio si trova a Venezia, in possesso dell'anziana signorina, Bordereau.
L'anonimo protagonista è disposto a tutto pur di impossessarsi di quelle lettere e con stratagemmi e un falso nome si stabilisce in casa dell'anziana signorina che, si rumoreggiava, aveva avuto in gioventù una relazione con il grande poeta.

Lungo tutto il racconto lo studioso pensa solo a come appropriarsi di quelle carte, riconosce la meschinità del suo comportamento ma non può trattenersi: il fine che persegue è troppo importante, per sé stesso e per la letteratura mondiale.

James ci pone di fronte, di nuovo, al tema a lui caro di Americani in Europa, dello sradicamento, del vivere in limine tra i due mondi e sentirsi estranei a entrambi.

Il soggetto principale del racconto è il dubbio: quanto sia moralmente corretto indagare nella vita dei grandi che ci hanno preceduti e quali atti si possano compiere in nome della cultura, se si possa arrivare a calpestare i sentimenti delle persone e se questo lo si faccia per amor di letteratura o per consegnare sé stessi alla storia.

L'anziana signorina Bordereau custodisce quelle lettere impedendone la diffusione, le difende con le ultime energie che le sono rimaste e con il proprio corpo, incutendo un discreto disagio nel protagonista e nel lettore.
Il racconto è immerso in un'atmosfera goticheggiante, la mente del protagonista trasforma l'anziana signora e gli ambienti trasfigurandoli in immagini minacciose e si immerge in questo inferno fatto di stanze disadorne e personaggi inquietanti da lui stesso creati. L'atmosfera perturbante emerge solo dalle impressioni del protagonista, voce narrante del racconto, e ogni avvenimento, ogni mutamento di atteggiamento negli altri viene filtrato dai suoi sentimenti del ricercatore, gli altri personaggi sono visti attraverso la sua percezione e, in ultimo, il suo senso di colpa.
Da questa visione colpevole scaturisce un senso di inquietudine, di disturbo e l'immagine della signorina Bordereau giganteggia imperiosa su tutti, ultimo ostacolo che il ricercatore deve superare per raggiungere il suo Graal.

Altro soggetto del racconto è Venezia, in descrizioni lunari che sfiorano il gotico si dispiegano i mille canali percorsi da gondole, piazza san Marco risplende in tutta la sua luce e il Florian assurge a simbolo di Venezia diventando una delle mete turistiche più desiderate. Le descrizioni di James hanno riportato in vita la curiosità per la città lagunare, Venezia deve molto a James.

Pungente, altero, James ha un talento unico nello svelare i suoi personaggi attraverso il dialogo che è sempre estremamente efficace e reale: con poche, brevi battute riesce a descrivere precisamente gli attori del suo racconto, meglio ancora riesce a farci vedere, sentire e provare le stesse emozioni del protagonista.

La deliziosa tecnica di Henry James consiste nello schierare tutte le sue pedine in una breve introduzione e poi farci attendere e attendere che accada qualcosa così come attende il ricercatore, così come attende il cacciatore nascosto tra le foglie la sua preda. A metà del racconto gli eventi subiscono una brusca accelerazione, la preda si mostra e fugge, il cacciatore si mette all'inseguimento. La preda infine si volta e fronteggia il suo inseguitore guardandolo negli occhi... sublime, James ha un tocco sublime.

Al termine, come spesso accade nei racconti di James, al lettore rimangono più domande che risposte: James pone sottilmente domande morali cui il lettore dovrà rispondere frugando in sé stesso.

Un ottimo articolo su "Aspern Papers" e il legame con Venezia si può trovare a questo link di Openedition.



Questo racconto ha un'ispirazione davvero suggestiva: nei suoi quaderni Henry James racconta di aver avuto un'informazione curiosa da Eugene Lee-Hamilton, poeta tardo-vittoriano. Eugene conosceva il capitano Edward Augustus Silsbee di Salem, Massachusets, un marinaio mercantile con una passione illimitata per il poeta inglese Percy Bysshe Shelley. Silbee gli svelò che l'anziana signorina Claire Claremont, sorellastra di Mary Wollstonecraft Shelley, conosciuta per la sua relazione con il poeta romantico Lord Byron e per aver dato alla luce sua figlia Allegra, viveva a Firenze.
All'epoca Clare Clairmont aveva ottanta anni e viveva in compagnia di una sua nipote che di anni ne aveva circa cinquanta. Silbee venne a conoscenza che l'anziana signorina era in possesso di carte interessanti che riguardavano Shelley e decise di impossessarsene a ogni costo: pianificò di recarsi a Firenze per conoscere le signorine sperando che, visto l'avanzata età, Claire morisse durante la sua visita permettendogli così di mettere le mani sul carteggio.
I fatti si svolsero esattamente come sperato: durante il periodo che Silbee trascorse a Firenze la signorina Clairmont morì ma quando Silbee si recò dalla nipote cinquantenne e le chiese le carte, la risposta della signorina fu "Vi darò le lettere se mi sposerete!"
James restò visibilmente attratto da questa storiella e ne fece un racconto trasferendo però l'azione a Venezia e non a Firenze per due ragioni: in primo luogo per delicatezza "Sentivo che il mio appropriarmi della leggenda fiorentina dovesse ripulirla dai riferimenti troppo ovvi". Il secondo motivo è che Venezia, storica città di amore e intrigo, era più adatta al tipo di racconto che l'autore americano stava scrivendo, del resto Byron visse a Venezia dal 1816 al 1819 e la Giuliana di questa storia sarebbe stata più credibile nella laguna piuttosto che tra i palazzi rinascimentali di Firenze.

Questa storia è racchiusa nei quaderni di Henry James, "Florence, 12 January 1887, Notebooks 33".

mercoledì 24 luglio 2019

Canne al vento - tra verismo e fiaba


Canne al vento è la storia di un delitto e della sua espiazione attraverso un castigo autoimposto (suona familiare?).
È anche la conclusione di una saga familiare la cui storia precedente emerge dalle pagine poco a poco: le nobili sorelle Pintor, un tempo padrone rispettate sono cadute in disgrazia mentre la borghesia emerge come il ceto sociale dominante. A prendersi cura delle sorelle è rimasto solo un servitore che a loro dedica tutta la sua vita.

È attraverso gli occhi di questo servo che impariamo a conoscere le sorelle Pintor quasi nel momento in cui la stantia quotidianità viene travolta dalla notizia dell'arrivo del nipote, figlio della quarta sorella Pintor fuggita anni prima in Continente.

Il mondo è mutato negli anni e l'arrivo del giovane nipote impone un'accelerazione al declino economico delle Pintor ma allo stesso tempo le metterà di fronte alla necessità di adattarsi, di imparare a conoscere la nuova realtà, di piegarsi come fanno le canne al vento per scoprire che non è così male.

Adattarsi.
Non opporsi ma non lasciarsi nemmeno sradicare o rompere.
È la cedevolezza che vince la forza nella filosofia judo, così lontana dalla nostra cultura alimentata da eroi che si ribellano al proprio destino. È la filosofia dei campi e della terra, della natura che vede l'alternarsi di tempi di abbondanza e privazioni e l'uomo nei campi, che non si può ribellare, impara ad accettare, pianificare, assecondare.

La storia a vocazione verista della è inserita in un'atmosfera favolistica governata da spiriti, nani, fate tessitrici di stoffe d'oro (le janas), giganti con cavalli enormi e draghi. Gli elementi fantastici emergono con estrema discrezione a ogni passo, sono lì, accanto alla narrazione, discretamente si affacciano nei detti, nelle sensazioni, nelle immagini della natura di Sardegna dipinta a parole come un quadro di Turner.
Le descrizioni nel libro sono la parte più bella, la prosa semplice e delicata comunica l'incanto bucolico dei luoghi con periodi brevi e il lettore è immerso nella sardegnitudine senza alcuno sforzo di immedesimazione.
In questo libro la natura è, non appare.

Vi lascio il link per scaricare il libro e, sotto, un estratto

Clicca qui per accedere alla pagina e scaricare il testo

"E un silenzio grave odoroso scendeva con le ombre dei muricciuoli, e tutto era caldo e pieno d'oblio in quell'angolo di mondo recinto dai fichi d'India come da una muraglia vegetale, tanto che lo straniero, arrivato davanti alla capanna, si buttò, steso sull'erba ed ebbe desiderio di non proseguire il viaggio.
Fra una canna e l'altra sopra la collina le nuvole di maggio passavano bianche e tenere come veli di donna; egli guardava il cielo d'un azzurro struggente e gli pareva d'esser coricato su un bel letto dalle coltri di seta.
Vedeva Efix aprire la capanna, volgersi richiamandolo con un gesto malizioso dell'indice, poi ritornare con qualche cosa nascosta dietro la schiena e inginocchiarsi ammiccando. Sognava? S'alzò a sedere cingendosi le ginocchia con le braccia e si fece un po' pregare prima di prendere la zucca arabescata piena di vino giallo che il servo gli porgeva.
Infine bevette: era un vino dolce e profumato come l'ambra e a berlo così, dalla bocca stretta della zucca, dava quasi un senso di voluttà.
Efix guardava, inginocchiato come in adorazione: bevette anche lui e sentì voglia di piangere.
Le api si posarono sulla zucca; Giacinto strappò di mezzo alle sue gambe sollevate uno stelo d'avena, e guardando per terra domandò:
— Come vivono le mie zie?
Era giunto il momento delle confidenze. Efix sporse la zucca di qui e di là, a destra e a sinistra.
— Guardi, vossignoria, fin dove arriva l'occhio la valle era della sua famiglia. Gente forte, era! Adesso non resta che questo poderetto, ma è come il cuore che batte anche nel petto dei vecchi. Si vive di questo.

sabato 20 luglio 2019

Quel giorno sulla Luna - Oriana Fallaci


"Lo vedete? Non s'è ancora alzato, ecco, si alza, sale, guarda come sale, bello diritto, che lancio! Mai visto un lancio così! Perfetto! Lo senti il rumore? Qui c'è stato uno spostamento d'aria che ci ha quasi buttato per terra... Guarda come sale... come sale! Dio, ci vorrebbe Omero per descrivervi quello che vedo! Dio, a volte gli uomini sono così belli! Sentilo, il rombo! Sembra un bombardamento, ma non ammazza nessuno, mioddio! Oh, che cosa stupenda... si alza così lentamente, sai, lentamente... va sulla Luna... la Luna... Vorrei che oggi nessuno morisse."
L'esperienza dell'Oriana a Cape Kennedy è totale e drammatica, è sanguigna, incendiaria.
Oriana ha negli anni più volte incontrato l'equipaggio dell'Apollo 11, l'equipaggio "unmanned", deumanizzato: Amstrong e Aldrin sono delle specie di automi senza pensieri che non riguardino il volo, senza emozioni, senza passioni, senza fantasia, "cold calculating guys". Il più umano dei tre è proprio quello che sulla Luna non metterà mai piede: Mike Collins, l'unico dei tre che non si offrì volontario per la guerra in Corea, l'unico che potrebbe raccontare con reazioni umane la luna è l'unico che non ci scenderà, l'uomo più solo dell'universo mentre la Terra se ne sta col naso all'insù, mentre Armstrong e Aldrin passeggiano sulla Terra, lui, nell'Apollo 11, orbita solo attorno alla Luna nell'impossibilità persino di comunicare con il resto dell'universo.

"Quel giorno sulla Luna" è il racconto dell'esperienza di Oriana insieme agli astronauti, le interviste a loro, ai tecnici, la relazione fedele e allo stesso tempo potente di quel che accadde tra il 16 e il 23 luglio del 1969: i preparativi, le paure celate, la tensione.
È il racconto dell'emozione, molto lontano dall'asettico giornalismo: sono riportate le telefonate di Oriana alla redazione dell'Europeo, la descrizione di chi assisteva al lancio e all'allunaggio, le impressioni sui giornalisti accreditati, sulla vita attorno a Cape Kennedy, diventato all'improvviso il centro del mondo con gli alberghi pieni e camere affittate nelle case private
"L'atmosfera che vi ho descritto è completamente cambiata: il carnevale ora è entrato anche qui dentro: camicie colorate, cappelli alla cowboy, c'è una vecchia giornalista che ha in testa una specie di vascello con su un'aquila impagliata... sì, lo giuro, un'aquila impagliata"
Scientificamente accurato non ha nulla del report giornalistico classico: Oriana ci fa letteralmente vivere l'avventura lunare come se fossimo con lei, come se fossimo sull'Apollo 11, sul LM, sulla Luna, come se fossimo con Armstrong, Aldrin e Collins, come se fossimo Armstrong, Aldrin e Collins.
Tra le pagine di cronaca affiorano le meditazioni della giornalista ispirate ai pensieri di Pascal che aveva appreso in Vietnam dal suo collega francese François Pelou.
"Gli uomini sono così: inventano la bomba atomica, uccidono con essa centinaia di migliaia di creature, e poi vanno sulla Luna. Né angeli né bestie ma angeli e bestie"
È un racconto drammatico e con questa parola intendo dire che sarebbe perfetto recitato a teatro senza cambiare una virgola. Non so esprimerlo meglio... ci sono opere teatrali che andrebbero lette e poi opere in prosa che andrebbero recitate e questa è tra le seconde: durante la lettura, passatemi l'espressione, si sentono le voci, si sentono gli astronauti dell'Apollo che parlano con Houston e proprio questi dialoghi, che Oriana definisce "i dialoghi dei giorni feriali" sono i più suggestivi: tutti conoscono e hanno riportato i dialoghi storici riguardanti il momento dello sbarco ma dialoghi Terra-Apollo ci furono durante tutto il viaggio e sulla Luna e sono davvero indicativi dell'atmosfera che regnava in quei giorni in cui dallo spazio si notavano i temporali sulla Terra e dalla Terra si comunicavano le notizie sportive e come il mondo stesse vivendo l'avventura lunare.
E in queste "notizie del mattino", come le chiamavano a Houston, c'è spazio anche per l'Italia di Oriana: si riporta infatti che il Santo Padre si è fatto installare una televisione a colori nella sua residenza estiva nonostante la TV italiana trasmetta ancora solo in bianco e nero e viene comunicato agli astronauti che la notte dell'allunaggio, sempre in Italia, si è registrato il più basso numero di furti.
"Poi d'un tratto scoppiarono le tre del pomeriggio. Sai, come quando nasce un bambino e per nove mesi lo si vede crescere nel ventre, si sa che dal ventre dovrà uscire, ma arriva il momento e ti coglie una specie di sorpresa, di panico, nasce il bambino, è appena nato il bambino e ci accorgiamo che non siamo pronti a riceverlo."
Armstrong: Qui base della Tranquillità. L'Aquila ha atterrato 
"Charlie Duke: "Roger. tranquillità, ti leggiamo da Terra. C'è un bel mucchio di gente qui che stanno per diventare blu, ma respirano di nuovo. Grazie infinite."
Le parole di Charlie Duke non le udì nessuno, perché dopo il messaggio di Armstrong la tensione si ruppe e salì al cielo un applauso che era l'applauso più fragoroso e più lungo che avessi mai udito, e insieme all'applauso un concerto di singhiozzi, di urli, di esclamazioni dove il sollievo si univa alla gioia, la gioia allo stupore, lo stupore all'orgoglio, e ciò non soltanto nell'auditorium ma nei corridoi, nelle cabine radio, nelle stanze delle telescriventi, negli uffici, nello stesso Centro Controllo dove mi dicono che von Braun piangesse come un bambino. E piangeva Wally Schirra, e molti altri astronauti, e i direttori di volo.
E lo ammetto, lettore, cinquanta anni dopo l'allunaggio, leggendo le parole di Oriana, ho pianto anche io.
Io e Matteo alla conferenza-spettacolo dell'astronauta Paolo Nespoli al Museo del Balì, PU

mercoledì 17 luglio 2019

Conversazione su Tiresia - un viaggio tra mito e storia


Che opera meravigliosa!
In sole 56 pagine è racchiuso un intero excursus sulla figura di Tiresia da Omero a Primo Levi passando per Foscolo e i miei adorati Pound ed Eliot.
Camilleri racconta con un'ironia deliziosa la storia tragica di Tiresia: dalla sua trasformazione in donna a quando viene accecato da Era, dal dono di vivere sette vite non successive al dono della divinazione imposto da Zeus e a come questo suo dono si trasformi con il trascorrere dei secoli fino a giungere al XX secolo; una narrazione che coinvolge non solo la letteratura ma anche il cinema con Pasolini e Woody Allen.

Sessantatré autori hanno scritto su Tiresia, sessantatré punti i vista, versioni, allusioni, menzogne, verità.

Un tempo Tiresia fu chiamato da Edipo affinché gli rivelasse la verità, Dante lo condanna nel girone dei fraudolenti con la testa sulle scapole come punizione per aver visto troppo avanti, nell'epoca moderna vede ancora il futuro ma è squallido e desolante nelle mani di Eliot:
"Lui, il giovane pustoloso, arriva,
impiegato in una piccola agenzia di locazione,
con un solo sguardo baldanzoso
(...)
il pranzo è finito, lei, annoiata e stanca, cerca di impegnarla in carezze
che non sono respinte, anche se indesiderate"

Eliot fa di Tiresia un guardone sulle umane miserie e Woody Allen segue le sue orme ne "La dea dell'amore"trasformandolo in un mendicante cieco e veggente che rivela a Woody il tradimento della moglie.

Tanto in basso è finito Tiresia che un tempo parlava con gli dèi

Anche Camilleri ogni tanto viene chiamato a fare da comparsa in un film, dice lo scrittore, ed ecco che persona e personaggio diventano una cosa sola e l'identificazione del vecchio saggio veggente cieco diventa totale.

Con Pound Tiresia rivede i grandi uomini di potere uccisi: il divinatore apre e chiude lo srotolarsi dei suoi Cantos a rappresentare l'anima stessa della sua poesia. Pound racchiude nei suoi 47 Cantos duemila anni di storia dell'umanità, così fa il mito di Tiresia e così lo declama Camilleri.
Così Camilleri si fa Pound che narra Tiresia.

Le parole più belle Camilleri le riserva all'Orlando di Virginia Woolf che di Tiresia non parla ma che con Orlando cammina nel tempo come uomo e come donna ed elogia la grande capacità della scrittrice inglese di descrivere la differenza di pensieri tra i due sessi.

Immenso Camilleri: in cinquantasei pagine ha saputo racchiudere tutta l'essenza di Tiresia, ci ha mostrato come possa un personaggio essere narrato da diversi punti di vista, tutti possibili e tutti bugiardi.
Conversazione su Tiresia è uno di quei rari libri che non terminano all'ultima pagina ma obbligano il lettore ad aprirne altre, e altre, e altre ancora, a frugare nei meandri della letteratura per colmare il senso di fame.

Standing Ovation

giovedì 4 luglio 2019

Il fantasma dell'Opera


È strano... leggere un libro che parla di musica senza la musica.

Sono andata a guadami qualche video del musical ma non mi ha entusiasmata e non credo che lo inserirò tra le prossime visioni.


Il libro di Leroux invece mi è piaciuto, oserei dire che mi ha divertita.
La storia è arcinota: Erik, il fantasma, tiranneggia i direttori del teatro dell'Opéra di Parigi imponendo la sua presenza e le sue regole. Si innamora di una giovane cantante lirica con un buon potenziale, inizia a darle lezioni di canto in cambio di devozione e la sedurrà grazie alla sua voce e al suo talento.
Erik è un geniaccio musicale, intrappolato in un corpo orribile, la sua passione creatrice contagiosa e terribile e Leroux riesce perfettamente a far simpatizzare il lettore con questo suo personaggio. Il terzo incomodo è Raoul, un visconte inesperto innamorato e ricambiato dal soprano Christine che proverà a liberarla dalla seduzione del fantasma.

Leroux costruisce scena dopo scena un castello di eccitazione e inquietudine dosando con cura le diverse voci del racconto, diversi punti di vista che collaborano ad aumentare la tensione. Tutta la prima parte del libro è un crescendo di emozioni contrastanti: soggezione per il fantasma, sgomento per i fatti terribili che accadono in teatro, comicità per i siparietti buffi, compassione per il povero Raoul e soprattutto curiosità: Chi è il fantasma? cosa vuole? da dove viene?
Nella seconda parte dell'opera Leroux smonta, pagina dopo pagina, il suo castello riconducendo l'elemento deliziosamente perturbante alla realtà quasi banale di un appartamento borghese e un desiderio di normalità.
Credo che Nabokov ne avrebbe riso per ore.

Non sono riuscita a entrare nell'atmosfera patetica che forse l'autore desiderava creare, troppi elementi eccessivi che rasentavano il grottesco per i miei gusti, le parti migliori sono state, secondo me, i siparietti, i brevi racconti nel racconto che, pur spezzando la narrazione, aggiungevano leggerezza e un che di frizzante.
I due direttori del teatro dell'Opéra di Parigi sembrano usciti dalla penna di Molière così come la maschera del palco numero 5, il palco del fantasma. C'è un che di Balzac nel ritrarre la società dei teatri e un pizzico di Hugo nella figura del fantasma, il ragazzo ha studiato bene i suoi predecessori ma la pratica è un'altra cosa e là dove Hugo strappava lacrime nel personaggio di Gwynplaine dell'Uomo che ride, Leroux mi ha donato una sensazione di grottesco... oserei dire stonato.

Perché mi è piaciuto?
Mi è piaciuto per l'andamento in crescendo della tensione, per le descrizioni del teatro e dei suoi meccanismi scenici tanto dettagliati quanto piacevoli che mai allontanano l'attenzione dalla storia principale, mi è piaciuto per la commistione di generi: dalla ricostruzione storica al dramma larmoyant, dalla farsa all'epopea avventurosa.
Non mi hanno fatta invece impazzire le esagerazioni e sopratutto il modo didascalico con cui Leroux ha smontato pagina dopo pagina il suo castello togliendo molta parte del divertimento all'immaginazione del lettore.

Lo consiglio?
Sì se non avete altro da leggere, non rientra nella mia top10 e neanche nella top50.
Però intanto mi vado a recuperare il Faust di Gounod perché se c'è un aspetto che mi è davvero piaciuto è il richiamo all'opera lirica dal Don Giovanni al Faust.