domenica 28 ottobre 2018

J.R.R. Tolkien - Racconti Incompiuti


Ce l'ho fatta! L'ho finito!
Yeeeeeeaaaahhhh!

Racconti Incompiuti di Tolkien non è un'opera che si legge tanto per: è un libro che si vuole leggere e portarlo a termine senza saltellare qua e là tra le pagine richiede un certo sforzo.
Perché?
Lo dice il titolo stesso: i racconti sono incompiuti e lasciano ahimé un senso di insoddisfazione: come andare a cena e fermarsi all'antipasto. La lettura dell'opera non è scorrevole in quanto ricchissima di note e rimandi all'SdA, allo Hobbit e al Silmarillon perciò se prevedete di leggerla assicuratevi di aver letto questi tre libri prima. Letto eh! I film non valgono! Ah, e assicuratevi di aver letto anche le varie appendici dell'SdA, soprattutto la A: gli annali dei re e dei governatori e tenete a portata di mano la B, la C e la E.
Di fatto è un libro scritto a de mani: Christopher Tolkien, figlio del Maestro e curatore di tutte le sue opere postume, riempie la metà delle pagine per ampliare quanto lasciato incompiuto dal padre: è un lavoro filologico certosino che obbliga il lettore alla continua consultazione di note e appendici. Il grosso difetto a mio parere è che le note sono poste dopo i vari capitoli cui si riferiscono, è una scelta che trovo faticosa per il lettore, se fossero a pie' di pagina sarebbe più scorrevole ma non ho capito se questa scelta è del curatore o della Bompiani.
Ammetto di aver faticato a portare a termine la prima parte dedicata alla Prima Era: Tuor e Turin non sono tra i miei personaggi preferiti, non lo erano nemmeno durante la lettura del Silmarillon.
Molto, molto, molto più interessanti sono i racconti della Seconda Era dedicati a Numenor: di questa isola, della sua geografia, tradizioni e popolazione questa è praticamente l'unica fonte compiuta, troppo lungo e ripetitivo è invece il racconto della Moglie del Marinaio, non stupisce che sia stato abbandonato. Anche la storia di Galadriel e Celeborn fornisce utilissime informazioni e curiosità, soprattutto sul carattere e sui pensieri di Galadriel, personaggio che personalmente mi incanta, curioso il fatto che viene narrato a proposito della sua chioma d'oro e d'argento: si dice che fosse di impareggiabile bellezza e che alla richiesta di Feanor di donargliene una ciocca dei suoi capelli lei abbia risposto per tre volte con un rifiuto. Rifiuto che invece non oppose al nano Gimli in partenza da Lorien.

Infine di grande interesse sono i racconti sulla Terza Era: gli ultimi giorni di Isildur prima di Campi Iridati e i racconti di Gandalf sulla formazione della prima compagnia, quella dello Hobbit e curiosità vere e proprie sui Druedain, sugli Istari e sui Palantiri che altrove non si trovano.

Non è dunque un'opera imprescindibile ma è un tesoro prezioso per gli amanti della Terra di Mezzo.

Nerdissssssssimo. 

sabato 20 ottobre 2018

Michail Bulgakov - La guardia bianca


La guardia bianca by Mikhail Bulgakov
My rating: 4 of 5 stars

Incerto. Come l'incertezza dell'oggi e del domani che bracca gli abitanti di Kiev. Uno strato ovattato ricopre la narrazione, come neve immacolata attutisce i rumori fuori e dentro.
Attorcigliato. Tra narrazioni, sogni, ricordi, avanti e indietro nel tempo e dalla realtà.
Apocalittico. Un'apocalissi lenta, attesa e respinta.
In attesa. Si attende come Drogo nella fortezza Bastiani. Si attende in casa protetti da tende color crema, circondati dai libri, il tempo scandito dai rintocchi dell'orologio. Fuori si vive, fuori si muore, dentro si aspetta.
Faticoso. Troppo lungo, troppo riflessivo, attorcigliato, fumoso. Bulgakov è nel 1925 un autore alla ricerca di sé stesso: di un modo per esprimersi senza soccombere davanti alla censura di regime ma se si osserva attentamente sotto la cenere delle tante, forse troppe parole, si scorge la brace, viva, che esploderà anni dopo. Postuma.

Il capitolo 5, poderoso, con la descrizione della morte a Kiev, anticipa il linguaggio e le atmosfere del Maestro e Margherita.
"Quindi ebbe inizio una vera e propria diavoleria, che si gonfiò e prese a saltellare come bolle di sapone.

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Gita di famiglia a Piobbico


Piobbico!


Cosa c'è ma da vedere a Piobbico?
Fino a poco fa credevo nulla di particolare a parte i brutti, si da infatti il caso che a Piobbico abbia sede il Club Internazionale dei Brutti, nato con lo scopo di maritare le zitelle oggi si dedica a sensibilizzare sui problemi dei brutti (sic).


Il Cortile d'onore del Castello

Un giorno poi, tra le notifiche di eventi su Facebook, trovo la Sagra della polenta alla carbonara e credendo si trattasse di polenta con guanciale mi sono incuriosita: la polenta piace a tutti e quando devi scegliere dove andare e cosa fare con al seguito due marmottine in età prescolare il capitolo cibo ha un'importanza rilevante.


Quasi contemporaneamente vengo a sapere che le Guide Turistiche della Provincia di Pesaro e Urbino organizzano per la mattinata una visita guidata al Castello Brancaleoni.
Perfetto!
Ci riempiamo la pancia, la testa e stanchiamo le gambe.


La torre dell'orologio.
Dall'esterno l'orologio corre in senso orario,
all'interno in senso antiorario., E' una rarità.
Il castello è un gioiellino apparentemente modesto che si è sviluppato nei secoli. Esempio di bellezza ed efficienza coniuga la praticità di architetture adibite a funzioni quotidiane di palazzo con delicate decorazioni, la disposizione è intrigante: 130 stanze attraverso le quali si passa da elementi romantici a quelli gotici, rinascimentali e barocchi; la disposizione ricorda un po' quegli esperimenti sui topolini in cui si mette una fetta di formaggio da un lato e il topolino deve attraversare il labirinto: ideale per curiosi, bambini e furetti.
La fuga delle stanze
All'interno le stanze un tempo adibite ai mestieri sono ora dedicate alla conservazione ed esposizione di attrezzature contadine: strumenti di lavoro di fabbri, contadini e carbonai e l'immancabile sala delle torture, vera o finta che sia è un'attrattiva di cui nessun castello può fare a meno. Al piano nobile troviamo sale sontuosamente stuccate e affrescate, principalmente con temi classici: c'è una camera romana, una greca, altre stanze invece sono state nel tempo ricoperte di intonaco bianco ma svelano frammenti di preziosi affreschi come quello delle due creature mitologiche  nella sala del trono (un drago e un minotauro?).
La visita prosegue nelle stanze dedicate al Museo Civico che si snoda in sette diverse sezioni delle quali la più interessante è sicuramente quella speleologica con lo scheletro ricostruito di un enorme orso delle caverne.
Ursus spelaeus. Ricostruzione dello scheletro

E' vivo il castello Brancaleoni di Piobbico, vivissimo. 
Animato anche dalla passione di una giunta comunale innamorata del proprio paese e del proprio territorio come traspare dalla guida di Sante Fini, ristampata e aggiornata e dall'epigrafe che l'accompagna: 
"L'affetto al luogo natio non si misura
dalla sua vastità o dalla grandezza
delle sue memorie: si ama e si vuole
in qualche maniera illustrato
sol perché è luogo natio."
- A. Tarducci -
Testi e immagini aggiornati alla data di pubblicazione di una guida turistica sono rari. 
E sono preziosi.

Il borgo medievale
Usciti dal castello per recarsi al centro storico si attraversa il Borghetto: un insieme di case tipicamente medievali caratterizzato da una struttura ad avvolgimento distesa sui fianchi della collina orientata verso il castello. Il Borgo sembra cristallizzato nel tempo, uno scorcio sul medioevo, incontaminato dal chiasso e dalla velocità della nostra epoca, tradito solo, discretamente, dai fili della corrente che corrono come lucertole da un palazzo all'altro. E' una poesia di pietra rossa e panna che va all'ingiù (o all'insù se lo si attraversa in senso contrario), immutato nei secoli accoglie e circonda il visitatore.

Il borgo medievale
Più in basso, seguendo il fiume, famiglie di papere e anatroccoli giocano, nuotano e pescano, ad avere le scarpe giuste ci si potrebbe avventurare per il sentiero dei folletti ma abbiamo solo buoni stomaci (cit.) perciò la gita termina con un'ottima polenta alla carbonara che il guanciale non lo ha mai visto: la carbonara infatti è semplicemente la catasta di legna sulla quale dondola il paiolo.
La carbonara e la polenta

domenica 14 ottobre 2018

Raymond Queneau - I fiori blu




Se I fiori blu è un libro intraducibile per Calvino è anche indescrivibile per chiunque.

Il solo modo per leggerlo e parlarne attraverso con la sospensione del giudizio critico, e la sospensione di ogni tipo di unità narrativa e temporale: il lettore deve solo salire sull'arca di Cidrolin, mollare le cime e lasciarsi trasportare dalla corrente soffermandosi sui giochi linguistici, le assonanze, le pedanterie, le astrusità dei discorsi, osservando gli esperimenti alchemici, i disegni rupestri, sorseggiando essenza di finocchio.
Il romanzo è un continuo di salti temporali, salti di pasto e salti di palo in frasca, aggrapparsi alla ragione non aiuta anzi, il filo della ragione ti tira giù sul fondo, tende a ricondurre a una bidimensionalità che tutto appiattisce, annebbia e confonde mentre sulla chiatta, mossi dalla corrente, sulle due sponde del fiume osserviamo a destra il duca d'Auge nei suoi viaggi e a manca Cidrolin nella sua noia, tra Don Chisciotte e Folantin, tra Cervantes e Huysmans se ne sta il lettore. Il racconto si fa sogno, il sogno si fa avventura, l'avventura codardia. Il racconto si fa anche parola e tra le righe affiora, come piuma e come ferro, la mano di Calvino che ha preso il testo di Queneau e lo ha tra-dotto, intro-dotto, trasportato in italiano e in Italia, una sfida che sarebbe stata impossibile per chiunque ma non per il giocoliere della prosa italiana che con maestria ed equilibrismo tiene in aria storia, parole e ironia.
Decine sono le interpretazioni per questa opera e decine ancora potrebbero essercene. Tutte valide e tutte sbagliate: psicanalitica, linguistica, storica, il sogno, la colpa, il cibo.
La sensazione costante di prenderla in quel posto.
Personalmente trovo curiosa l'ossessione per il cibo. Anzi, non proprio il cibo ma il pasto, il pasto dignitoso, possibilmente in compagnia. Cidrolin, sposata la figlia, paga una donna per tenergli pulta l'Arca e poi le chiede di condividere il pasto con lui. Cidrolin è un decadente che tra le pagine di Huysmans si troverebbe a suo agio meglio di Folantin: è annoiato, "paresseux", tormentato dall'idea di un pasto volgare e quando crede di raggiungere la soddisfazione nel desco... la prende in quel posto.
Cos'è dunque che distingue le sorti di Folantin e Cidrolin? La fantasia forse. Il surrealismo di un uomo che viaggia nella Francia e nel tempo e stravolge l'esistenza di chi gli si fa incontro, una furia di uomo che non ammette no in risposta circondato da un seguito brancaleonesco di soggetti sgangherati.


Fosse stato per me avrei lasciato il duca nel milleduecentosessantaquattro e avrei fatto retrocedere Cidrolin perché... perché a volte per andare avanti bisogna andare indietro, tornare, ricominciare, prendere strade diverse, rallentare. Non è mica male il milleduecentosessantaquattro, sono successe un sacco di belle cose, non ricordo quali ma sicuramente ci sono state.

sabato 13 ottobre 2018

Italo Calvino - Il cavaliere inesistente


Il cavaliere inesistente by Italo Calvino
My rating: 5 of 5 stars


Della trilogia degli Antenati di Calvino Il cavaliere inesistente è sicuramente il mio preferito.
Per il concetto di esistenza e non esistenza? Certo. Per la mancanza di compromessi? Può essere.
Un cavaliere che non è, un servo che non sa cosa essere, una donna che decide di essere ciò che vuole. La pura forza di volontà che si risolve in nulla, sfuma di fronte alla Storia, illusione. Il peso del lignaggio si sgretola tra dubbi di identità; io sono chi dico di essere, chi credo di essere o chi altri vogliono che sia? L'incertezza è totale.
Seguendo la più classica traccia della commedia il racconto si apre in una situazione di stasi per poi mettere tutto in discussione, dipanarsi in mille peripezie e trovare nuova stabilità, in mezzo il lettore ride, combatte, viaggia, si innamora. Al principio tutto è come deve essere per poi mutare, divenire, evolvere e tornare in equilibrio; come un funambolo che dinanzi al pubblico agita il suo ombrellino facendo credere al pubblico di poter cadere da un momento all'altro. Sul filo si agita apparentemente scomposto, rotea le braccia e il busto, il pubblico freme per lui presentendo lo schianto.
E invece non cade.

Così anche il racconto ritrova equilibrio e l'anomalia si dissolve.
La mia mappa. E' oscena vero? Beh, credo che Suor Teodora
non avrebbe saputo far di meglio


E poi c'è Carlo Magno, c'è battaglia, agnizione, c'è uno scriba e ci sono mappe... cioè ci sarebbero se fosse un'edizione illustrata e allora il lettore le mappe può disegnarsele da sé, io ci ho provato con risultati pessimi ma ciò che importa è divertirsi vero? E con Calvino ci si diverte di sicuro, Suor Teodora traghetta il lettore da una sponda all'altra del racconto con ingenua ironia ed è una delizia tutta da leggere, non si può descrivere; anche lei, ovviamente, non è chi è o meglio: talvolta lo è, tal altra no.

C'è una canzone di Baglioni che mi è tornata alla mente a ogni pagina di questo libro: Le vie dei colori: ha un testo che definirei calviniano almeno quanto è queneauiano, Ou.Li.Po. in musica insomma: pieno di allitterazioni, rimandi, leggerezza, pieno di terre e tempi lontani, cavalieri blu, rossi, bianchi (inesistenti?), costruito su una musica incalzante, immagini, allitterazioni e assonanze, concatenazioni di sillabe, giochi linguistici e ironia.

O bella mia
io vado via
e non ti porto con me
c'è un viaggio che
ognuno fa solo con sé
perché non è che si va vicino
perché un destino non ha...

Un mattone vuole esser casa
un mattino divenire chiesa
ed il matto che c'è in me
che si chiede che cos'è
vuole diventare qualche cosa...

E sarà una strada senza fine
sotto ad una spada o su una fune
a cercare il mio Far West
a trovare il Santo Graal
una corsa brada oltre il confine...

Una luce prenderò
per te là fuori
quando io camminerò
Le Vie Dei Colori...

Scalerò le rocce in mezzo al vento
sulle tracce di chi ha perso o vinto
vagherò la mia odissea
nella idea di te mia dea
tagliati le trecce e vai in convento...

Una voce prenderò
per te là fuori
quando io camminerò
Le Vie Dei Colori...

C'era un cavaliere
bianco e nero prigioniero
senza un sogno né un mistero
senza fede né eresia...
senza le ali di un destriero
senza le onde di un veliero...

Se la sorte rivolesse ciò che ho speso
io forte non sarei per il tuo peso
a volare in un rodeo
a valere nel torneo
della morte ed essere il tuo sposo...

Una pace prenderò
per te là fuori
quando io camminerò
Le Vie Dei Colori...

C'era un cavaliere
bianco e nero prigioniero
senza un posto né un sentiero
senza diavolo né Dio...
senza un cielo da sparviero
senza un grido di un guerriero...

Io ti lascio senza perderti
e ti perdo un po'
anche se poi
lasciarti è un po' perdermi...

O bella mia
o bella ciao
io sono via
con un pensiero di te immenso
e un nuovo senso di me...

C'era un cavaliere giallo
che rubò un cavallo alle scogliere
ed un cristallo alle miniere di un metrò
sulle ciminiere disegnò un castello di corallo
e al ballo tutto il quartiere andò...

C'era un cavaliere rosso
che salì sul dosso di bufere
sopra il fosso delle sere di città
dietro un cielo mosso di ringhiere dentro il mare grosso
di un braciere d'immensità...

C'era un cavaliere blu
che catturò la gioventù di primavere
che portò chimere in schiavitù
liberò le gru dalle lamiere di un cantiere
verso un campo di preghiere laggiù...

Dove arriverai anche tu
camminando Le Vie Dei Colori

... E adesso beccatevi il video. Sul cavaliere bianco e nero si è impappinato pure lui 😁😁😁




domenica 7 ottobre 2018

Sciascia e Falcone: la teoria e la pratica

Il giorno della civetta un giallo di facciata, il vero scopo è la denuncia, è mettere nero su bianco in letteratura la parola Mafia, è la denuncia di uno stato delle cose negato a tutti i livelli sociali: negato dai concittadini, negato dalle forze di polizia che riconducono i delitti a motivazioni passionali, negato dallo Stato e dal Parlamento.
Forse senza Sciascia la storia dell'antimafia sarebbe stata diversa e forse sarebbe stata diversa anche senza Al Capone ed Eliot Ness. Sciascia cita proprio gli americani tra i monologhi interiori del capitano Bellodi incaricato del caso, comandante della compagnia dei Carabinieri: "Qui bisognerebbe sorprendere la gente nel covo dell'inadempienza fiscale, come in America. (...) Bisognerebbe, di colpo, piombare sulle banche; mettere mani esperte nelle contabilità, generalmente a doppio fondo, delle grandi e delle piccole aziende; revisionare i catasti".

E Sciascia non indica solo il metodo di indagine ma anche il modo per condurre gli interrogatori e ottenere informazioni. Un modo intrinsecamente insulare che può essere applicato solo da un siciliano.
Dice don Mariano durante l'interrogatorio 
-"Ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità (...) la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i pigliainculo e i quaquaraqua. (...) Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo in croce, lei è un uomo.
- Io dunque non la offendo?
- No: lei è un uomo"
Ecco, io qui ci vedo, con più di venti anni di anticipo, il dialogo tra il giudice Falcone e Buscetta riportato in Cosa di cosa nostra: lo stile, il linguaggio ricco di simboli, la necessità di riconoscere nell'altro un uomo affinché possa fluire la comunicazione in modo efficace. Quello che trovo curioso è che Sciascia faccia interpretare la parte dell'inquisitore a un continentale, un parmigiano che in teoria non potrebbe comprendere la realtà e il linguaggio siciliano ma Bellodi è l'uomo fuori dal sistema siciliano che in Sicilia trova l'anomalia e, invece di sottovalutarla, la esalta e la persegue nonostante tutto gli sia contro.
In questa scelta "continentale" dell'investigatore risiede tutta la disillusione dell'autore di fronte a una realtà, quella siciliana, che a i suoi occhi non può essere risolta dall'interno.

Prima di Sciascia di opere letterarie sul tema della Mafia ce ne furono due soltanto ed entrambe ne sottolineavano il carattere folkloristico e il sentimento con atteggiamento quasi apologetico, con Sciascia la letteratura si fa denuncia, la parola Mafia entra, attraverso la letteratura, nelle indagini giudiziarie.

Leggere Il giorno della civetta dopo aver letto Cosa di Cosa Nostra è come fidanzarsi con una splendida donna e poi fare la conoscenza della sua bellissima madre: i due libri sono talmente legati tra di loro che mi viene da pensare che le teorie sulla mafia di Sciascia e su come avrebbe dovuto essere combattuta siano state di ispirazione anche per il giudice Falcone che le mise in pratica e indicò il metodo per indagare sulle organizzazioni mafiose e a delinquere. "Follow the money" era il detto divenuto famoso per il docu-film "Tutti gli uomini del presidente" che metteva in luce schemi di corruzione nelle alte e politiche sfere degli Stati Uniti, "Seguire i piccioli", scriveva Falcone: "Seguire le tracce che lasciano dietro di sé i grandi movimenti di denaro connessi alle attività criminali più lucrose è la strada maestra nelle investigazioni in materia di mafia, perché è quello che maggiormente consente agli inquirenti di costruire un reticolo di prove obiettive insuscettibili di distorsioni".

Nel libro Cosa di Cosa Nostra Falcone cita Sciascia cinque volte, la prima nell'epigrafe: "L'intera Sicilia è una dimensione fantastica. Come si fa a viverci senza immaginazione?" in seguito per l'idea della morte, per la razionalità propria dei siciliani e infine per lo scetticismo e per l'idea si Stato: 
"Mi rimane comunque una buona dose di scetticismo, non però alla maniera di Leonardo Sciascia, che sentiva il bisogno di Stato, ma nello Stato non aveva fiducia. Il mio scetticismo, piuttosto che una diffidenza sospettosa, è quel dubbio metodico che finisce col rinsaldare le convinzioni. Io credo nello Stato, e ritengo che sia proprio la mancanza di senso dello Stato, di Stato come valore interiorizzato, a generare quelle distorsioni presenti nell'animo siciliano: il dualismo tra società e Stato; il ripiegamento sulla famiglia, sul gruppo, sul clan; la ricerca di un alibi che permetta a ciascuno di vivere e lavorare in perfetta anomia, senza alcun riferimento a regole di vita collettiva. Che cosa se non il miscuglio di anomia e di violenza primitiva è all'origine della mafia? Quella mafia che essenzialmente, a pensarci bene, non è altro che espressione di un bisogno di ordine e quindi di Stato."

Sciascia narra un'ipotetico coinvolgimento di funzionari dello Stato e politici, la morte di Falcone lo porterà nelle aule dei tribunali.

Insomma, a mio parere Il giorno della civetta non è solo un romanzo e non è solo una denuncia: è una chiave per interpretare e combattere la criminalità organizzata che si chiami Mafia, Camorra o Roma Capitale, che siano campi coltivati o appalti o droga o sfruttamento, che colpiscano con la lupara o con i posti di lavoro: "piombare sulle banche; mettere mani esperte nelle contabilità, revisionare i catasti".

Posseggo un'edizione di Cose di Cosa Nostra del giugno 1992, mi si stringe il cuore, la prima edizione di questo libro è del novembre 1991 ed è il risultato di venti interviste della giornalista francese Marcelle Padovani nel corso del 1991, la giornalista lo conosceva da anni a grazie a un libro e un film, il primo edito da Gallimard, il secondo girato per Canal Plus. Una giornalista francese, un editore francese, una TV francese, il fatto che non siano italiani lascia aperte molte teorie: in Italia si desiderava proteggere Falcone o lo si desiderava nascondere? Non lo so. Falcone fu il primo a dimostrare con il Teorema Buscetta l'esistenza di un'organizzazione criminale diffusa e radicata in Sicilia (e a Roma) laddove si voleva vedere solo una serie di crimini più o meno efferati separati. Falcone ha dimostrato l'esistenza della Piovra e se ancora all'alba del 1992 qualcuno poteva ancora avere dubbi questi sono stati fugati il 23 maggio 1992 quando la stessa Cosa Nostra palesò in modo inequivocabile la propria esistenza.

Mattina a Rimini centro con i Malatesta


Evidentemente di Rimini si preferisce rimandare l'idea di spiagge, piadine e vita notturna perché se visitate la città e cercate una guida turistica che unisca approfondimento artistico e immagini rappresentative sarete obbligati a far riferimento a ciò che trovate in vendita nelle edicole del centro storico e quel che si trova a disposizione del turista italiano è davvero poco, mal messo, esposto a pioggia, sole e salsedine.
Quel che ho trovato io è questa guida che si sforza di introdurre la città con una panoramica ricca di immagini e scarna di parole, una guida che dovrebbe essere consultata insieme a quella del Touring che è invece ricchissima di descrizioni e praticamente priva di illustrazioni.
Spulciando in giro sul Web ho scoperto che segue passo passo le informazioni contenute sul sito www.rimini.com alla voce "profilo storico della città".
Pollice su: la quantità e la qualità delle immagini
Pollice giù: descrizioni scarne e banali.

Castel Sismondo, foto di ZonzoFox
Mi piacerebbe si diffondesse una cultura della guida turistica che unisca belle immagini e ricchi approfondimenti descrittivi, purtroppo sono rarissimi i casi in cui le due cose combaciano nella stessa guida e nella maggior parte dei casi per conoscere una città lo si deve fare con almeno due se non tre guide turistiche.

Mi mancava una gita solitaria a Rimini città, capitale dei Malatesta di cui ancora conserva la memoria nel centro storico.
Inno alla dominazione malatestiana è Piazza Cavour (cosa c'entra Cavour? ne abbiamo migliaia di piazze a lui dedicate in Italia, si poteva, almeno questa chiamarla Piazza Malatesta o Sigismondo no?). Il Palazzo dell'Arengo e il Palazzo del Podestà erano i luoghi in cui giustizia e potere erano amministrati e le loro facciate imponenti lo ricordano da secoli. Alla Rimini medievale si sovrappongono edifici e monumenti rinascimentali, la fontana della Pigna, neoclassici, la Pescheria e ottocenteschi come il Teatro Galli inaugurato con un'opera di Verdi che fanno della piazza un grande libro di storia alla portata di tutti.



Poco distante dalla Piazza sorge Castel Sismondo, edificato per volere del Principe in nove anni, imponente e fiera residenza-fortezza di cui oggi rimane solo il nucleo centrale ma si può ben immaginare il suo aspetto di allora dalla rappresentazione fattane da Piero della Francesca che si trova oggi nella quarta cappella a destra del Tempio Malatestiano.



Dall'altro lato della Piazza sorge il Tempio Malatestiano, gioiello dell'arte tra Trecento e Quattrocento che racchiude opere di Piero della Francesca, Giotto e Agostino di Duccio dietro la facciata di Leon Battista Alberti oltre alle tombe di Isotta degli Atti, terza moglie di Sigismondo e di Sigismondo stesso.
E' un capolavoro, al suo interno si ha l'impressione che il tempo si sia fermato, fermato nella mente di Sigismondo: il Tempio unisce immagini sacre e profane che valsero, tra gli altri atteggiamenti di sfida al Papa, la scomunica al suo ideatore ma sono lo specchio di un sentimento che da Dante all'Ariosto ha permeato le arti: il divino che si avvicina all'Uomo e l'uomo accostato al Divino.


PS: per chi è incuriosito invece dalla storia romana Rimini è ugualmente straconsigliata: in città si possono ritrovare numerose tracce dell'epoca dalla Domus del Chirurgo, mosaici, reperti custoditi nel Museo della Città, il Teatro Romano e l'Arco d'Augusto. Per approfondire invito alla lettura di questo pdf sulla Rimini Antica.