domenica 7 ottobre 2018

Sciascia e Falcone: la teoria e la pratica

Il giorno della civetta un giallo di facciata, il vero scopo è la denuncia, è mettere nero su bianco in letteratura la parola Mafia, è la denuncia di uno stato delle cose negato a tutti i livelli sociali: negato dai concittadini, negato dalle forze di polizia che riconducono i delitti a motivazioni passionali, negato dallo Stato e dal Parlamento.
Forse senza Sciascia la storia dell'antimafia sarebbe stata diversa e forse sarebbe stata diversa anche senza Al Capone ed Eliot Ness. Sciascia cita proprio gli americani tra i monologhi interiori del capitano Bellodi incaricato del caso, comandante della compagnia dei Carabinieri: "Qui bisognerebbe sorprendere la gente nel covo dell'inadempienza fiscale, come in America. (...) Bisognerebbe, di colpo, piombare sulle banche; mettere mani esperte nelle contabilità, generalmente a doppio fondo, delle grandi e delle piccole aziende; revisionare i catasti".

E Sciascia non indica solo il metodo di indagine ma anche il modo per condurre gli interrogatori e ottenere informazioni. Un modo intrinsecamente insulare che può essere applicato solo da un siciliano.
Dice don Mariano durante l'interrogatorio 
-"Ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità (...) la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i pigliainculo e i quaquaraqua. (...) Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo in croce, lei è un uomo.
- Io dunque non la offendo?
- No: lei è un uomo"
Ecco, io qui ci vedo, con più di venti anni di anticipo, il dialogo tra il giudice Falcone e Buscetta riportato in Cosa di cosa nostra: lo stile, il linguaggio ricco di simboli, la necessità di riconoscere nell'altro un uomo affinché possa fluire la comunicazione in modo efficace. Quello che trovo curioso è che Sciascia faccia interpretare la parte dell'inquisitore a un continentale, un parmigiano che in teoria non potrebbe comprendere la realtà e il linguaggio siciliano ma Bellodi è l'uomo fuori dal sistema siciliano che in Sicilia trova l'anomalia e, invece di sottovalutarla, la esalta e la persegue nonostante tutto gli sia contro.
In questa scelta "continentale" dell'investigatore risiede tutta la disillusione dell'autore di fronte a una realtà, quella siciliana, che a i suoi occhi non può essere risolta dall'interno.

Prima di Sciascia di opere letterarie sul tema della Mafia ce ne furono due soltanto ed entrambe ne sottolineavano il carattere folkloristico e il sentimento con atteggiamento quasi apologetico, con Sciascia la letteratura si fa denuncia, la parola Mafia entra, attraverso la letteratura, nelle indagini giudiziarie.

Leggere Il giorno della civetta dopo aver letto Cosa di Cosa Nostra è come fidanzarsi con una splendida donna e poi fare la conoscenza della sua bellissima madre: i due libri sono talmente legati tra di loro che mi viene da pensare che le teorie sulla mafia di Sciascia e su come avrebbe dovuto essere combattuta siano state di ispirazione anche per il giudice Falcone che le mise in pratica e indicò il metodo per indagare sulle organizzazioni mafiose e a delinquere. "Follow the money" era il detto divenuto famoso per il docu-film "Tutti gli uomini del presidente" che metteva in luce schemi di corruzione nelle alte e politiche sfere degli Stati Uniti, "Seguire i piccioli", scriveva Falcone: "Seguire le tracce che lasciano dietro di sé i grandi movimenti di denaro connessi alle attività criminali più lucrose è la strada maestra nelle investigazioni in materia di mafia, perché è quello che maggiormente consente agli inquirenti di costruire un reticolo di prove obiettive insuscettibili di distorsioni".

Nel libro Cosa di Cosa Nostra Falcone cita Sciascia cinque volte, la prima nell'epigrafe: "L'intera Sicilia è una dimensione fantastica. Come si fa a viverci senza immaginazione?" in seguito per l'idea della morte, per la razionalità propria dei siciliani e infine per lo scetticismo e per l'idea si Stato: 
"Mi rimane comunque una buona dose di scetticismo, non però alla maniera di Leonardo Sciascia, che sentiva il bisogno di Stato, ma nello Stato non aveva fiducia. Il mio scetticismo, piuttosto che una diffidenza sospettosa, è quel dubbio metodico che finisce col rinsaldare le convinzioni. Io credo nello Stato, e ritengo che sia proprio la mancanza di senso dello Stato, di Stato come valore interiorizzato, a generare quelle distorsioni presenti nell'animo siciliano: il dualismo tra società e Stato; il ripiegamento sulla famiglia, sul gruppo, sul clan; la ricerca di un alibi che permetta a ciascuno di vivere e lavorare in perfetta anomia, senza alcun riferimento a regole di vita collettiva. Che cosa se non il miscuglio di anomia e di violenza primitiva è all'origine della mafia? Quella mafia che essenzialmente, a pensarci bene, non è altro che espressione di un bisogno di ordine e quindi di Stato."

Sciascia narra un'ipotetico coinvolgimento di funzionari dello Stato e politici, la morte di Falcone lo porterà nelle aule dei tribunali.

Insomma, a mio parere Il giorno della civetta non è solo un romanzo e non è solo una denuncia: è una chiave per interpretare e combattere la criminalità organizzata che si chiami Mafia, Camorra o Roma Capitale, che siano campi coltivati o appalti o droga o sfruttamento, che colpiscano con la lupara o con i posti di lavoro: "piombare sulle banche; mettere mani esperte nelle contabilità, revisionare i catasti".

Posseggo un'edizione di Cose di Cosa Nostra del giugno 1992, mi si stringe il cuore, la prima edizione di questo libro è del novembre 1991 ed è il risultato di venti interviste della giornalista francese Marcelle Padovani nel corso del 1991, la giornalista lo conosceva da anni a grazie a un libro e un film, il primo edito da Gallimard, il secondo girato per Canal Plus. Una giornalista francese, un editore francese, una TV francese, il fatto che non siano italiani lascia aperte molte teorie: in Italia si desiderava proteggere Falcone o lo si desiderava nascondere? Non lo so. Falcone fu il primo a dimostrare con il Teorema Buscetta l'esistenza di un'organizzazione criminale diffusa e radicata in Sicilia (e a Roma) laddove si voleva vedere solo una serie di crimini più o meno efferati separati. Falcone ha dimostrato l'esistenza della Piovra e se ancora all'alba del 1992 qualcuno poteva ancora avere dubbi questi sono stati fugati il 23 maggio 1992 quando la stessa Cosa Nostra palesò in modo inequivocabile la propria esistenza.

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