Canne al vento è la storia di un delitto e della sua espiazione attraverso un castigo autoimposto (suona familiare?).
È anche la conclusione di una saga familiare la cui storia precedente emerge dalle pagine poco a poco: le nobili sorelle Pintor, un tempo padrone rispettate sono cadute in disgrazia mentre la borghesia emerge come il ceto sociale dominante. A prendersi cura delle sorelle è rimasto solo un servitore che a loro dedica tutta la sua vita.
È attraverso gli occhi di questo servo che impariamo a conoscere le sorelle Pintor quasi nel momento in cui la stantia quotidianità viene travolta dalla notizia dell'arrivo del nipote, figlio della quarta sorella Pintor fuggita anni prima in Continente.
Il mondo è mutato negli anni e l'arrivo del giovane nipote impone un'accelerazione al declino economico delle Pintor ma allo stesso tempo le metterà di fronte alla necessità di adattarsi, di imparare a conoscere la nuova realtà, di piegarsi come fanno le canne al vento per scoprire che non è così male.
Adattarsi.
Non opporsi ma non lasciarsi nemmeno sradicare o rompere.
È la cedevolezza che vince la forza nella filosofia judo, così lontana dalla nostra cultura alimentata da eroi che si ribellano al proprio destino. È la filosofia dei campi e della terra, della natura che vede l'alternarsi di tempi di abbondanza e privazioni e l'uomo nei campi, che non si può ribellare, impara ad accettare, pianificare, assecondare.
La storia a vocazione verista della è inserita in un'atmosfera favolistica governata da spiriti, nani, fate tessitrici di stoffe d'oro (le janas), giganti con cavalli enormi e draghi. Gli elementi fantastici emergono con estrema discrezione a ogni passo, sono lì, accanto alla narrazione, discretamente si affacciano nei detti, nelle sensazioni, nelle immagini della natura di Sardegna dipinta a parole come un quadro di Turner.
Le descrizioni nel libro sono la parte più bella, la prosa semplice e delicata comunica l'incanto bucolico dei luoghi con periodi brevi e il lettore è immerso nella sardegnitudine senza alcuno sforzo di immedesimazione.
In questo libro la natura è, non appare.
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"E un silenzio grave odoroso scendeva con le ombre dei muricciuoli, e tutto era caldo e pieno d'oblio in quell'angolo di mondo recinto dai fichi d'India come da una muraglia vegetale, tanto che lo straniero, arrivato davanti alla capanna, si buttò, steso sull'erba ed ebbe desiderio di non proseguire il viaggio.
Fra una canna e l'altra sopra la collina le nuvole di maggio passavano bianche e tenere come veli di donna; egli guardava il cielo d'un azzurro struggente e gli pareva d'esser coricato su un bel letto dalle coltri di seta.
Vedeva Efix aprire la capanna, volgersi richiamandolo con un gesto malizioso dell'indice, poi ritornare con qualche cosa nascosta dietro la schiena e inginocchiarsi ammiccando. Sognava? S'alzò a sedere cingendosi le ginocchia con le braccia e si fece un po' pregare prima di prendere la zucca arabescata piena di vino giallo che il servo gli porgeva.
Infine bevette: era un vino dolce e profumato come l'ambra e a berlo così, dalla bocca stretta della zucca, dava quasi un senso di voluttà.
Efix guardava, inginocchiato come in adorazione: bevette anche lui e sentì voglia di piangere.
Le api si posarono sulla zucca; Giacinto strappò di mezzo alle sue gambe sollevate uno stelo d'avena, e guardando per terra domandò:
— Come vivono le mie zie?
Era giunto il momento delle confidenze. Efix sporse la zucca di qui e di là, a destra e a sinistra.
— Guardi, vossignoria, fin dove arriva l'occhio la valle era della sua famiglia. Gente forte, era! Adesso non resta che questo poderetto, ma è come il cuore che batte anche nel petto dei vecchi. Si vive di questo.
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