Buon venerdì!
Domenica scorsa Laura Tangherlini è venuta nella provincia di Pesaro e Urbino per presentare il suo libro Matrimonio Siriano: un reportage scritto con il cuore sulla realtà dei campi profughi in Libano e Turchia che accolgono Palestinesi e Siriani.
L'evento era incluso nell'iniziativa Impronte Femminili: rassegna di arte, cultura e narrativa per le pari opportunità giunta alla seconda preziosissima edizione che coinvolge una decina di comuni nel marchigiano.
Introdotta della curatrice della rassegna Sara Cucchiarini, Laura ha dialogato con Carla Luzi della sezione Emergency di Fano per poi cedere la parola, la musica anzi, al marito Marco Ro, cantautore romano.
Laura non è un volto nuovo: è una conduttrice e inviata del canale all-news RaiNews24, me l'ha fatta notare mio marito Matteo per la prima volta, incuriosito dalla sua spontaneità e, soprattutto, dal fatto che fosse di Jesi, nelle Marche. Matteo aveva visto un suo post su Facebook circa un anno fa in cui parlava del progetto di crowdfounding per pubblicare questo libro, Matrimonio Siriano, e partecipò prenotando la sua copia, poi il progetto ebbe successo, un successo insperato anche per Laura, il libro vide le stampe e ci venne recapitato a casa.
Il Matrimonio Siriano è il punto d'arrivo di un percorso durato anni di avvicinamento alla lingua, alla cultura e al popolo siriano ma è anche punto di partenza per la solidarietà.
La storia parte da lontano: da quando, da piccola, dovette rinunciare a praticare la danza per un problema al ginocchio e per questioni economiche.
Poco dopo vide al telegiornale immagini di una città devastata dalla guerra e, tra le macerie, vedeva appese a un muro un paio di scarpette da danza
Lo considerò un segno e decise di intraprendere la carriera di giornalista.
Laura iniziò a studiare l'arabo e a viaggiare per far pratica. Il primo viaggio la porta in Tunisia, il secondo, nel 2009, in Siria perché aveva sentito dire che lì si parlava l'arabo più classico, quelli meno modificato da influenze regionali.
E' nel 2009 che nasce l'amore per questo Paese e per il suo popolo.
Nel 2011 si trova in Libano, al confine con la Siria, fa richiesta del visto per entrare in Siria ma non le viene concesso, quel che le viene concesso è di passare, con il favore delle guardie, la frontiera per un tragitto a piedi di tre metri, scortata da militari, così fa l'unica cosa che può farla avvicinare alla Siria di più: incontra i Siriani, i Siriani in esilio.
Il Libano non ci sono campi ONU: ci sono situazioni abitative complicate e precarie: i Siriani vivono in garage affittati o in campi profughi palestinesi, tutto il Libano è un campo profughi: Palestinesi, Palestinesi Siriani, Siriani, Libanesi di ritorno. Si stima che in questo paese di 4 milioni di abitanti risiedano un milione e mezzo di profughi dalla Palestina e dalla Siria, a occuparsi di loro è un insieme di piccole e grandi organizzazioni umanitarie dalla più nota Terres des Hommes ad altre sconosciute e tutte fanno una fatica immane per districarsi tra leggi libanesi, consuetudini locali e abitudini dei nuovi arrivati che portano a situazioni paradossali perché molti dei rifugiati non sono in possesso dei documenti e senza documenti non può essere riconosciuto loro lo status di rifugiato, inoltre il Libano è proibito lavorare ai Siriani ma devono pagare per rimanere.
Leggere Matrimonio Siriano riporta alla mente la burocrazia dei racconti di Bulgakov, una lunga spirale di documenti e carte che ostacolano gli aiuti.
I Palestinesi ritengono che i Siriani rubino le opportunità di soccorso, i Libanesi pensano lo stesso dei Palestinesi, è una guerra tra gli ultimi che rischia ogni giorno di scoppiare in qualcosa di troppo grande se la situazione non si dovesse risolvere in fretta.
In Turchia le cose vanno meglio a paragone: possono lavorare e possono dunque sostenersi, tuttavia non vogliono rimanere, nessuno dei profughi vuole rimanere: vogliono tutti tornare i Siria.
Alcuni hanno provato a tornare, hanno trovato macerie e guerra e sono ritornati nel paese che li ospitava, altri, pochi, sono arrivati in Europa ma la maggior parte resta ai confini, pronta a rivarcare la frontiera nell'eterna speranza che le cose cambino e che in Siria torni la pace.
Adesso che si parla di sconfitta dell'Isis in Siria i paesi ospitanti hanno fato capire che è ora che tornino a casa ma cosa troveranno?
A parte macerie e poche fortunate case rimaste in piedi troveranno un presidente che ha già annunciato che la Siria è pronta a riaccogliere i Siriani ma non tutti.
Non tutti.
Non coloro che hanno dimostrato di non gradire il governo di Bashar Al Assad.
Al posto di blocco in frontiera troveranno soldati che obbligheranno i maschi al servizio militare o li manderanno in prigione, come se non bastasse è in progetto un piano di ricostruzione ed è stato chiesto ai siriani di dimostrare che le loro case gli appartengono altrimenti al loro posto troveranno altre case, con altre persone dentro a viverci, Siriani che appoggiano il governo di Assad.
Matrimonio Siriano è un'opera a cornice, l racconto di un matrimonio che racchiude decine di racconti di bambini e di adulti, di Siriani che aiutano e Siriani che chiedono aiuto, non racconta nulla di straordinariamente nuovo: ognuno di noi, pensando a una guerra di queste proporzioni che dura ormai da otto anni, può immaginare il tipo di esperienze che queste persone hanno vssuto e continuano a vivere ogni giorno.
Tuttavia è un libro che andava scritto per ricordarci che al di là di statistiche e numeri e dichiarazioni ufficiali e scaramucce tra i Potenti del mondo ci sono le persone: c'è Muhammad che ha trovato posto in Olanda, c'è Ahmad Aboud Hoch dell'Urda che coordina 85 ong locali che si occupano di rifugiati, c'è Eman, rifugiata siriana che ha deciso di mettere a disposizione dei suoi connazionali la sua casa e il suo tempo per fornire un doposcuola gratuito, c'è Hassan Rabeh, ballerino siriano palestinese che non ce l'ha fatta a sopportare la sconfitta degli ideali e ha eseguito la sua ultima danza sul tetto di un palazzo di sette piani, c'è il gruppo rock metal Tanjaret Danghet che in italiano significa pentola a pressione, i componenti non vogliono essere guardati come profughi siriani ma come musicisti e artisti, c'è Mo'men, il bambino siriano che Laura e Marco aiuteranno come regalo di nozze, c'è un altro Mohammed che ha visto e vissuto l'orrore delle prigioni siriane destiate ai prigionieri politici e ne è uscito.
E' un libro fatto di nomi e di storie.
Eè un libro che si deve leggere.
Nessun commento:
Posta un commento