domenica 10 febbraio 2019

Falstaff. l'ultima parola di Verdi

Falstaff - Teatro della Fortuna - Fano

Per la prima vola sono andata a teatro senza studiare prima l'opera in scena.
Fino a ieri ogni volta che mi accingevo ad assistere a un'opera lirica mi preparavo con ascolti e letture del libretto mentre questa volta, complice mancanza di tempo, ho solo ripescato nella mia biblioteca la commedia Shakespeariana "Le allegre comari di Windsor" per conoscere la trama (e dopo averla letta credo sia il peggior lavoro di Shakespeare: una commedia su ordinazione, ricca di ricercatezze linguistiche ma terribilmente pesante).
Falstaff - Teatro della Fortuna - FanoLa storia in breve: Falstaff è un dongiovanni dal passato ricco di conquiste ma ormai è vecchio, grasso, povero e patetico. Per racimolare due soldi e pagare i suoi conti medita di ottenere i favori di due gentildonne maritate a uomini facoltosi pensando così di poter disporre della loro borsa a piacimento. Viene tradito: il piano rivelato alle signore e ai mariti, le donne cercheranno di vendicarsi del ciccione, gli uomini vorranno mettere alla prova le consorti. In secondo piano vi è la storia d'amore di Nannetta e Fenton due giovani il cui amore è ostacolato dal padre di lei.

Ho cercato di fare mente locale sull'opera verdiana e finendo col rendermi conto che non ricordavo nessuna aria tratta dal Falstaff, sono andata su Wikipedia per cercare un'accenno ad arie celebri e niente, scorrendo l'elenco non ne ho trovata nessuna di familiare.

Ebbene, è stato un idillio!
La storia si srotolava in scena in un crescendo di comicità ed equivoci accompagnati da una musica sempre più incalzante. La partitura del Maestro corre, corre infuriata, siamo lontanissimi qui dalla distensione dell'"Amami Alfredo" appoggiata sugli archi: nel Falstaff la partecipazione dell'orchestra è totale e si può prendere fiato solo a tratti: durante i monologhi patetici del protagonista per esempio e nei dialoghi idilliaci della coppia Nannetta-Fanton dove la poesia viene però costantemente interrotta dall'intrusione di altri personaggi cosicché l'ascoltatore non può godere pienamente e fino in fondo.
Eppure proprio questa giovane e pura coppia  rappresenta l'ideale di gioventù e sincerità cui sembra anelare il compositore, a loro riserva musiche di sublime nostalgia
"Bocca baciata non perde ventura / Anzi rinnova come fa la luna"
che in questa messa in scena Maria Laura Iacobellis rende lunghissimo e dolcissimo strappando applausi e un'ovazione durante gli applausi finali.
Falstaff - Teatro della Fortuna - Fano
Verdi è anziano, ha settantatre anni quando va in scena la prima al Teatro ala Scala, si riconosce in quel mondo di inganni e finzione rappresentato dalle comari, dai loro mariti e da Falstaff nel cui nome risiede il concetto di finzione e inganno (molti nomi, nella commedia di Shakespeare richiamano caratteristiche umane: Mme Quickly, Simple, Pistol, Shallow), sembra guardarsi indietro e rievocare giovinezza e candore. E' un dolce ricordo tuttavia, non c'è rimpianto, solo tenerezza.
E anche verso il personaggio di Falstaff non c'è biasimo ma commiserazione.

L'orchestrazione dicevo, ha un'andatura indiavolata, trascina la storia che diventa mero pretesto per comporre l'opera d'arte definitiva. Le atmosfere richiamano valchirie e divina dannazione ma il soggetto è farsesco e il risultato è un divino grottesco, un ironico stridore che richiama poemi eroicomici dei secoli passati come La secchia rapita del Tassoni o Il riccio rapito del Pope (tutti rapiti a quanto pare).
E' arte per l'arte, svincolata dal messaggio e persino dal pubblico, fine a sé stessa e al suo autore.

Falstaff - Teatro della Fortuna - Fano
La regia di questa messa in scena è del giovane Roberto Catalano che ambienta la storia nei salotti e nei circoli tennis anni Cinquanta: Falstaff è un vecchio Dongiovanni decadente persuaso di essere ancora desiderabile, le comari somigliano alle protagoniste delle commedie anni Cinquanta che avevano per protagoniste Marilyn Monroe e Jane Russel e i mariti... beh, i mariti contan poco qui, Ford, il potenziale cornuto, fa la sua parte ma è Falstaff che giganteggia su lui: esilarante è il loro duetto che vede Falstaff metter le mani sulla testa del rivale in incognito e massaggiargliela quasi a voler favorire la nascita delle ramificazioni e la scena seguente che vede Ford meditare sulla purezza della moglie possiede il lirismo tragico dell'Otello paranoico reso grottesco dal doppio inganno di Falstaff e delle comari.
Ho pensato e ripensato al finale di questa scena, al leitmotif della gelosia di Ford, il suo "E poi diranno che un marito geloso è un insensato" (minuto 52:45 del video inserito giù giù giù) ripreso per due volte, nel monologo e in chiusura, il motivo musicale mi girava e rigirava in testa poi questa mattina mi sono riascoltata l'opera e ho riprovato la stessa sensazione di déjà vu finché non me la sono canticchiata e canticchiando si è trasformata nel walzer di Musetta di Puccini. Alla prima rappresentazione al Teatro alla Scala di Milano nel 1893 Puccini c'era e ritengo assai probabile che quel motivetto appena accennato, una decina di note appena, gli sia entrato in testa per trasformarlo in quel capolavoro di leggerezza e passione che è l'aria "Quando men vo" della Bohème.


Sicuramente il fatto di non essermi preparata all'ascolto-visione ha avuto una certa importanza nel farmi scoprire l'opera a poco a poco e lasciarmi senza fiato. Il vero problema in questi casi è che non si è pronti sull'applauso: a teatro ci sono tempi e modi per applaudire e chi frequenta i foyer lo sa e per ogni messa in scena s quando deve applaudire. La mia impreparazione si è palesata in tutta la sua ingenuità sul finale del secondo atto quando Falstaff, per sfuggire al marito geloso e ai suoi amici che cercano la prova del tradimento, si nasconde in una cesta di panni sporchi e puzzolenti e viene poi rovesciato nel Tamigi. M'è partito l'applauso troppo in fretta forse o forse il pubblico era un po' freddino, non so (cioè... il pubblico era freddino, su questo niente forse) comunque sia su quel "Patatrac" finale mi si è rovesciato il cervello in una sonora sghignazzata di gran gusto e ho iniziato ad applaudire sola e imbarazzatissima seguita di lì a poco dai vicini di balconata. Fortunatamente l'atto era terminato e il resto del teatro ha evitato la clamorosa figura di m.
Un avviso al pubblico teatrale: si può applaudire eh! Ci si può scaldare anche per l'opera! 
Questo è il mio vero problema con l'opera: la vivo come fosse un concerto rock, vorrei cantare e ballare con gli attori, prendo tutto un po' troppo di pancia... pazienza. Pazienza soprattutto per i miei accompagnatori che subiscono l'imbarazzo della mia vicinanza.
Decisamente il mio posto è il rumoroso loggione!

Ritornando al Falstaff il terzo atto si svolge nel parco di Windsor dove il grasso rubacuori riceve una punizione esemplare dalle comari e dai loro mariti che, travestiti da fate e folletti, lo pizzicano, lo pungolano, lo schiaffeggiano e lo coprono di improperi e insulti. La scena è bellissima e ricorda le atmosfere di Sogno di una notte di mezza estate: al posto del bosco c'è una gigantesca coperta appoggiata su due cuscini, il coro del teatro della Fortuna si presenta munito di guanciali preannunciando ciò che non dovrebbe accadere su di un palcoscenico eppure accade: la fuga di Falstaff passa quasi in secondo piano quando sul palco si scatena il più irriverente dei pigiama party sulle note di
Tutto nel mondo è burla / L'uom è nato burlone / La fede in cor gli ciurla, / Gli ciurla la ragione. / Tutti gabbati! Irride / L'un l'altro ogni mortal. / Ma ride ben chi ride / La risata final.
"Signora con piedi in vista"
E' una genialata! Non intendo la battaglia a cuscinate ma proprio il finale: quel "Tutto nel mondo è burla" che parafrasa il celebre "Tutto il mondo è un palcoscenico" della shakespeariana "Come vi piace". E' il congedo del Maestro, il superiore distacco dalle critiche, il lazzo definitivo: Verdi è tornato dopo anni di silenzio in cui ha ascoltato critiche alla sua musica e alla sua musica lascia il verdetto finale, la chiosa di una carriera inarrivabile. 

Un'ultima parola: la sua.

Negli anni precedenti all'attenzione del pubblico musicale e letterario si era mostrata una corrente letteraria fortemente critica verso tutto quello che sapeva di romanticismo e si proponevano, scrisse Boito librettista di Falstaff, di far scappare l'arte italiana "dalla cerchia del vecchio e del cretino". Il melodramma verdiano venne preso di mira: quei giovani scapigliati si erano invaghiti di Wagner e della cultura mitteleuropea, Wagner rappresentava il futuro, Verdi il passato.
Verdi detestava questi giovani rancorosi che volevano rivoluzionare il suo mondo, due su tutti: il librettista Boito e il compositore Faccio, tuttavia il buon senso e il comune obiettivo di generare arte li unì: Boito diventò librettista degli ultimi capolavori verdiani, Faccio il suo direttore d'orchestra e Verdi rispose all'accusa di vecchiaia lasciando ai melomani la più perfetta delle sue opere: il Falstaff.


1 commento:

  1. E' così piacevole leggerti...
    Nonno Mario, che amava profondamente Verdi e Falstaff, ti applaudirebbe in piedi...
    E forse lo sta facendo.

    RispondiElimina