domenica 16 dicembre 2018

Shirley - Charlotte Bronte


La trama del libro la potete trovare ovunque quindi parlerò solo degli aspetti che ho trovato più significativi.
Charlotte Bronte affronta nel 1849 il tema della rivoluzione industriale agli albori, la storia è infatti ambientata nel 1810-1811, e la narra dal punto di vista esclusivamente femminile, lontano dalle fabbriche e dal lavoro operaio.
Non c'è l'analisi sociale di Dickens né la compassione della Gaskell.
Ma c'è una storia.
La storia segue l'andamento della commedia classica: preludio sereno, contrattempo tendente al tragico, gran finale.
Quel che è più curioso nello svolgimento del romanzo è che la protagonista che concede il titolo all'opera compare solo dopo il primo terzo del libro: prima non viene nemmeno citata.
Questo espediente, oltre a suscitare una certa curiosità nel lettore impedendogli di abbandonare la lettura, permette all'autrice una lunga divagazione sulla società dei primi dell'Ottocento, sul ruolo dei curati, sull'economia inglese e sulla storia contemporanea nel pieno delle guerre napoleoniche e delle contromisure commerciali adottate dall'Inghilterra contro il Corso.
L'autrice è onnipresente e richiama continuamente il lettore a prestare attenzione, lo richiama quando ritiene che alcuni momenti narrativi siano importanti, gli sottopone domande retoriche che sfrutta per esprimere il suo punto di vista.
Cita Racine, Corneille, Bruce di Scozia, cita Robin Hood e fatti storici contemporanei alla narrazione, si abbandona volentieri a scrivere in francese e sottolinea più e più volte la mancanza di parità tra i sessi. La questione della parità le è tanto a cuore considerata anche la necessità di pubblicare sotto pseudonimo maschile per ottenere la considerazione di editore e pubblico.
Le sorelle Bronte erano sicuramente donne colte ma laddove in Anne la cultura sfocia in pedanteria, in Charlotte c'è davvero poesia.
Soprattutto nella prima parte di Shirley, quando la protagonista ancora non si palesa e l'autrice è più libera nelle digressioni, la prosa nelle sue descrizioni compie voli pindarici di parole e paesaggi per poi tornare a narrare con delicata ironia, romantico sentimento e cristiana devozione.

Di seguito uno dei passi più belli, melodico a tratti, sicuramente suggestivo.
"La notte era nera come la pece, luna e stelle soffocate da grigie nuvole cariche di pioggia; nubi che di giorno sarebbero apparse grigie, ma che al buio sembravano carbone. Malone non era un uomo dedito all'attenta osservazione della natura, dei cui mutamenti mai si accorgeva. Poteva camminare per miglia e miglia, nel più mutevole giorno d'aprile, senza accorgersi degli armoniosi giochi della terra e del cielo. Mai che notasse quando il sole baciava le cime delle colline, a renderle chiare di verde luce e sorridenti; o quando sulle colline piangeva un acquazzone che ne nascondeva le creste con le trecce scarmigliate di una nuvola a bassa quota".

La pecca? E' prolissa. Descrizioni esterne, interne... lascia ben poco all'immaginazione e se non fosse così dannatamente dotata certe pagine si salterebbero con foga invece non si sa mai dove può nascondersi la poesia delle sue parole e per questo il lettore rimane incollato.
Inoltre è proprio grazie a questo fervore descrittivo pienamente ottocentesco, presente anche nelle arti figurative, che riusciamo a ricostruire l'aspetto delle città, la società, i costumi e le idee che circolavano allora. 
I romanzetti d'appendice snobbati dagli intellettuali, considerati materiale per donnette, letteratura di secondo ordine e di dubbia qualità tramandano i sogni e le speranze delle epoche che li generano. Sono strumenti preziosi nelle mani degli storici.

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